I porti italiani nel PNRR: una visione geostrategica

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Il Porto di Genova. [EPA-EFE/LUCA ZENNARO]

Da poche settimane è iniziato il percorso che ci condurrà, sino al 2026, alla costruzione di un piano di investimenti che potrebbe segnare una svolta per l’Italia e per l’Europa. Il 29 aprile scorso il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza (PNRR) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, dopo aver ricevuto il voto favorevole dei due rami del Parlamento. Il documento è stato quindi inviato dal Governo alla Commissione europea, esattamente nell’ultimo giorno utile previsto per la consegna. Questo atto finale deve però essere letto assieme agli altri due fotogrammi che formano il trittico della discussione svoltasi tre le forze politiche, nel periodo tra l’inizio di dicembre dello scorso anno e la fine di aprile del 2021. Approfondiremo questo viaggio nella discussione sulle riforme e sugli investimenti necessari nel settore portuale.

Nonostante l’evidente natura strategica della questione per decifrare il ruolo dell’Italia nell’economia internazionale, il tema stenta a trovare il posto di rilievo che dovrebbe avere nella discussione pubblica sulle prospettive dell’Italia. Nel PNRR non emergono novità particolarmente significative nella visione del sistema portuale italiano.  Prosegue una visione delle infrastrutture che si disarticola per le diverse modalità, senza una visione unitaria del disegno logistico. Non emerge una prospettiva internazionale in chiave europea e mediterranea. Oggi – ancor di più – si avverte l’esigenza di un disegno geopolitico e geostrategico che sia in grado di collocare gli investimenti infrastrutturali in un perimetro largo composto dalle politiche industriali, logistiche e turistiche di scala internazionale.

Torna di attualità la vecchia tesi delle due “ascelle” portuali settentrionali, collocate nel Tirreno e nell’Adriatico, mentre il resto del sistema è visto sostanzialmente in una funzione ancillare.  Eppure, gli scali delle regioni meridionali contribuiscono per più del 40% alla movimentazione delle merci dell’intero comparto marittimo nazionale, ed hanno un ruolo decisivo nel settore del traffico passeggeri e crociere.

Oltretutto, la quota più rilevante delle risorse destinate agli investimenti nella portualità (3.3 miliardi di euro per la durata del PNRR, sino al 2026) è indirizzata alla realizzazione della diga foranea di Genova, con uno stanziamento previsto di 500 milioni di euro, rispetto ad un costo dell’intero progetto pari, secondo le stime più attendibili, a poco meno di 2 miliardi di euro. Al di là dell’opinabile scelta di stanziare risorse per un quarto del totale del costo di investimento, vale la pena di sottolineare che si potrebbe sin da ora adottare il nome per questa infrastruttura ‘Diga Cavalier Aponte’, dal momento che il quasi esclusivo beneficiario di un’opera così ingente e costosa è l’armatore sorrentino, trapiantato ormai da decenni a Ginevra.

La novità più significativa, aggiunta nella fase conclusiva della redazione del PNRR, riguarda il rilancio delle zone economiche speciali (Zes). Il Governo di Mario Draghi, per iniziativa del Ministro Mara Carfagna, ha assunto, nell’ambito del Decreto Semplificazioni, l’opportuna iniziativa di varare l’autorizzazione unica per insediare nelle Zes nuovi stabilimenti industriali e logistici: rispetto alle 34 autorizzazioni precedentemente necessarie si tratta di un rilevante passo in avanti per attrarre investimenti e rilanciare lo sviluppo. Questo provvedimento si affianca ai 600 milioni di euro per rafforzare l’armatura infrastrutturale delle Zes, portando a circa 4 miliardi il totale delle risorse stanziate per il sistema portuale italiano nel PNRR.  Lo strumento delle zone economiche speciali, che sono oggi più di 5.000 nel mondo, costituisce una nuova chiave di politica industriale che ha rappresentato la formula di successo dei porti di Tanger Med in Marocco o Shenzhen in Cina.

Insomma, emerge un disegno strategico implicito del sistema portuale nazionale sbilanciato e concentrato ancora uva volta negli approdi al servizio del Nord Italia e dell’Europa Centrale. Un disegno lacunoso che deriva da carenza di visione geopolitica e geo-economica. Per l’intera Unione Europea la partita dei prossimi due decenni si giocherà nel Mediterraneo: un quarto dei traffici marittimi mondiali transitano nel Mare Nostrum, all’interno del quale la Cina ha posizionato le due pedine strategiche nel porto del Pireo e nei porti del Nord-Africa. Dal punto di vista militare Russia e Turchia stanno progressivamente incrementando la propria sfera di influenza mediante il ricorso ad una presenza militare sempre più visibile, dalla Siria alla Libia.

L’Unione Europea non potrà mai aspirare ad un ruolo nel confronto tra le grandi potenze se non sarà in grado di imporre il proprio punto di vista nel sistema mediterraneo. L’Italia potrebbe e dovrebbe svolgere questo ruolo, assieme a Francia, Spagna, Grecia. Il Next Generation EU prevedeva non soltanto azioni nazionali dei singoli membri, ma anche interventi trasversali di diverse nazioni su temi strategici di interesse comune. Che a nessuno sia venuto in mente di costruire un disegno di consolidamento e di sviluppo per il Southern Range mediterraneo è sintomo di una grave debolezza strategica del pensiero europeo.

Nulla si dice sulla necessità di potenziare le autostrade del mare tra la sponda Nord e quella Sud del Mediterraneo, così come è stato fatto nel Nord Europa, dove questi collegamenti sono finanziati con risorse europee. Sarebbe nell’interesse collettivo intessere una rete fitta di collegamenti marittimi nello spazio mediterraneo, per contrastare l’egemonia cinese.

Le connessioni, oltre alle infrastrutture, giocano un ruolo di assoluto primo piano nella politica commerciale internazionale, perché determinano opportunità di scambio che possono modificare anche la mappa delle relazioni internazionali dalla quale dipende il confronto concorrenziale tra i grandi blocchi economici. Si rischia di perdere una grande occasione che riguarda non solo l’Italia, ma l’intera Europa.

La principale innovazione contenuta nella ultima versione del PNRR riguarda lo stretto legame tra piano degli investimenti e riforme per la modernizzazione. Sin dall’inizio questo principio costituiva un pilastro nelle linee guida del Next Generation EU. Ciononostante, anche perché si trattava di questione divisiva, il Governo Conte 2 aveva lasciato tale questione sullo sfondo. Il Governo Draghi non ha potuto tralasciare tale questione prioritaria. È proprio si questo terreno, più che non sulla allocazione delle risorse per gli investimenti, che si giocherà il destino del PNRR agli occhi della Commissione Europea, che ne dovrà monitorare l’attuazione, ed agli occhi degli altri Paesi comunitari, che continuano a nutrire dubbi sulla capacità dell’Italia di uscire dalle secche del suo declino.

Anche per l’organizzazione futura dei porti il disegno riformatore sarà un elemento centrale. Sono previsti una serie di interventi importanti per superare gli immobilismi che hanno rallentato la competitività del sistema italiano. Innanzitutto, la semplificazione normativa dovrebbe consentire tempi di attraversamento minori per la realizzazione degli investimenti. Sarà definito finalmente un regolamento sulle concessioni che si attende dalla legge 84/94, con la definizione dei criteri in base ai quali saranno assegnate ai privati le concessioni delle attività economiche nei porti.

Si vedrà come saranno superare le resistenze che si preannunziano già per le concessioni turistico-ricreative, per le quali oggi esiste una legge nazionale, in ampio e chiaro contrasto con la normativa comunitaria, che prevede una proroga di queste concessioni al 2033.

Proprio sul fronte delle riforme si potrà misurare l’efficacia delle azioni previste dal PNRR. Superare l’ingessamento burocratico – che ha sinora impedito una risposta competitiva dei porti italiani rispetto alla evoluzione dei mercati – sarà la sfida fondamentale per consentire al sistema portuale italiano di supportare il tessuto industriale mediante un’adeguata organizzazione logistica.

Resta però la necessità di allargare la vista, e di considerare il futuro della portualità italiana all’interno di un orizzonte più vasto, connettendola al rilancio industriale, alla logistica, al ridisegno delle relazioni internazionali. Non si tratta solo di costruire infrastrutture. È necessario avere una visione.