Dopo aver indagato il tema della comunicazione, oggetto della rubrica della Rivista presentata con l’editoriale del 18 maggio 2021 attraverso il pensiero della magistratura di legittimità e di merito (si rimanda ai contributi di Gianni Canzio, Giovanni Melillo, Claudio Castelli) ed aver approfondito il valore della comunicazione e della parola quale mezzo di emancipazione dell’individuo e della società grazie allo scritto di Francesco Messina passando per un’analisi del tema del linguaggio dell’Accademia con Marina Castellaneta e della questione cruciale della comprensibilità e della conoscibilità dell’attività giurisdizionale attraverso il pensiero di Marcello Basilico, Giustizia insieme ha dedicato una serie di interviste ai professionisti della comunicazione e, facendo seguito a quelle di Rosaria Capacchione, Giovanni Bianconi, sono stati coinvolti i giornalisti Claudia Morelli e Giovanni Tizian.
Oggi è la volta di Edmondo Bruti Liberati, con un approfondimento sul drafting relativo all'attuazione della dir.UE 2016/343 sulla presunzione di innocenza-
Giustizia e comunicazione:11) La problematica attuazione della direttiva UE 2016/343 sulla presunzione di innocenza
di Edmondo Bruti Liberati
Sommario: 1.Presunzione di innocenza e diritto di difesa.- 2.Le misure di coercizione. Manette e altro.- 3. “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza”.- 4. I mezzi di ricorso.- 5. Presunzione di innocenza e dignità della persona.
1.Presunzione di innocenza e diritto di difesa
L’Unione Europea ha adottato il 9 marzo 2016 una Direttiva “Sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”[1]. Il nostro paese ha lasciato trascorrere cinque anni prima di impegnarsi per l’attuazione della direttiva ed ora si trova di fronte alla difficoltà di provvedere in tempi brevi misurandosi con un testo, che presenta non pochi aspetti problematici.
Il 5 agosto 2021 il Governo ha depositato alle Camere (n285) uno “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale “ alla Direttiva Ue.
La presunzione di innocenza trova la sua prima tutela nelle norme del processo sulle garanzie del diritto di difesa[2]. Le prescrizioni di cui al capo 3 della Direttiva ”Diritto di presenziare al processo”, art. 8 “Diritto di presenziare al processo” e art.9 “Diritto a un nuovo processo” rimandano a puntuali disposizioni della procedura penale.
Il capo 2 intitolato “Presunzione di innocenza” contiene prescrizioni di natura molto diversa. Le disposizioni di cui all’art. 6 “Onere della prova” e all’art. 7 “Diritto al silenzio e diritto di non autoincriminarsi” rimandano anch’esse a puntuali disposizioni della procedura penale. Nella relazione illustrativa dello “Schema” si rileva che le previsione degli artt. 6,7,8 e 9 “non richiedono ulteriori disposizioni attuative” essendo l’ordinamento interno già rispettoso di tali principi e diritti.
2.Le misure di coercizione. Manette e altro
Sulla questione della presentazione in pubblico di imputati in manette o con altri mezzi di coercizione fisica, affrontata all’art. 5 della Direttiva UE
Art.5 Presentazione degli indagati e imputati
1.Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica.
2.Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri applichino misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi
basterebbe nel nostro Paese dare attuazione alle disposizioni e alle direttive già vigenti. Nell’Ordinamento penitenziario del 1975 si prescrive l’adozione nelle traduzioni di detenuti di “opportune cautele per proteggere i soggetti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità” (art 42). Ma il tema rimane aperto tanto che il 13 giugno 1986 una circolare del Ministro di Grazia e Giustizia Mino Martinazzoli richiama all’osservanza della disposizione [3]; con la legge 12 dicembre 1992 n. 492 si introduce nell’Ordinamento penitenziario l’art.42 bis che ridisciplina la materia introducendo disposizioni restrittive sui mezzi di coercizione:
4. Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad essi inutili disagi. L'inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari.
5. Nelle traduzioni individuali l'uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l'uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato. Nel caso di traduzioni individuali di detenuti o internati la valutazione della pericolosità del soggetto o del pericolo di fuga è compiuta, all'atto di disporre la traduzione, dall'autorità giudiziaria o dalla direzione penitenziaria competente, le quali dettano le conseguenti prescrizioni.
6. Nelle traduzioni collettive è sempre obbligatorio l'uso di manette modulari multiple dei tipi definiti con decreto ministeriale. E' vietato l'uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica.
Il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica prevede all’art. 8:
1. Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine.
2. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell’interessato.
3. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi[4].
Nel 1999 sul tema interviene una modifica del Codice di procedura penale
È vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta[5].
Per quanto riguarda il dibattimento pubblico, è già previsto che “L’imputato assiste all’udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza” (art.474 c.p.p.).
Nella pratica il problema è rappresentato dalle gabbie presenti in molte aule di udienza; le più vecchie sono vere e proprie gabbie con sbarre metalliche, le più recenti sono in vetro, soltanto meno appariscenti. In taluni casi l’utilizzo delle gabbie si rende necessario soprattutto quando vi siano più detenuti. Ma non è infrequente che gli imputati siano posti in queste gabbie, senza che vi siano stringenti esigenze di sicurezza, ma solo perché ciò consente di utilizzare un numero più ridotto di personale di polizia penitenziaria per la scorta. In altri casi la sistemazione logistica dell’aula è tale che per gli imputati non vi è altro posto se non quello nelle gabbie. Su questo tema non occorrono norme, ma impegno per l’adeguamento logistico delle aule di udienza e delle regole per le scorte
Purtroppo sono frequenti i casi in cui le autorità di polizia consentono la ripresa di arresti o di persone in manette, ma occorre anche ricordare che molto più spesso questo tipo di riprese è attuato a dispetto delle precauzioni adottate e la responsabilità della diffusione sui media è degli operatori della comunicazione.
Nel Bilancio di Responsabilità Sociale 2014/2015 della Procura della Repubblica di Milano, un punto della Introduzione è dedicato alla “Comunicazione della Procura”:
Il rispetto della dignità delle persone ha comportato, d’intesa con le forze di polizia, la adozione di precise prassi operative per evitare la ripresa fotografica o televisiva di persone al momento dell’arresto. Nel quinquennio, nonostante siano stati eseguiti numerosi arresti in tema di criminalità mafiosa, terrorismo, corruzione e criminalità economica suscettibili di grande risonanza mediatica, in nessuna occasione vi è stata la diffusione di immagini delle persone[6].
L’Italia ha subito una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha ritenuto la violazione dell’art. 8 della Convenzione nella divulgazione alla stampa da parte della autorità di polizia della foto di una persona arrestata, in quanto ingerenza non giustificata nel diritto al rispetto della vita privata, non essendo necessaria per lo sviluppo delle indagini[7].
La perdurante diffusione di prassi scorrette emerge in modo evidente dalla circolare 19 dicembre 2017 del Procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, diretta alle autorità di polizia, ma indirizzata anche al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati e al Presidente del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti. Dopo aver premesso che:
La doverosa cura delle condizioni di efficace tutela della dignità delle persone sottoposte ad indagini ovvero comunque coinvolte in un procedimento penale appare, infatti, maggiormente meritevole di attenzione qualora la persona versi in condizioni di particolare vulnerabilità, come nel caso in cui sia privata della libertà personale- […] Il sistema normativo vigente impone il raggiungimento di un ponderato equilibrio tra valori diversi contrapposti, tutti di rilievo costituzionale, stante l’esigenza di un necessario contemperamento tra i diritti fondamentali della persona, il diritto dei cittadini all’informazione e l’esercizio della libertà di stampa[8].
la circolare conclude:
In conformità alle precise indicazioni normative appena ricordate, pertanto, le SS.LL. vorranno assicurare – impartendo ogni opportuna disposizione agli uffici e ai comandi dipendenti – la più scrupolosa osservanza del divieto di indebita diffusione di fotografie o immagini di persone arrestate o sottoposte ad indagini nell’ambito di procedimenti la cura dei quali competa a questo Ufficio, segnalando preventivamente le specifiche istanze investigative o di polizia di prevenzione ritenute idonee a giustificare eventuali, motivate deroghe al principio sopra richiamato.
3. “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza”.
Il principio della presunzione di innocenza è richiamato nella Direttiva Ue all’art.3.
Art.3.Presunzione di innocenza. Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza.
La presunzione di innocenza è un dato acquisito a livello europeo[9] e nel nostro sistema processuale, ma molto delicato è il tema delle misure da adottare per assicurarne la tutela, individuando un punto di equilibrio rispetto ad altri valori come, da un lato, il dovere di comunicare e di rendere conto accountability da parte del sistema di giustizia e, dall’altro, il diritto di informazione, di cronaca e di critica. Si tratta di questioni su cui vi è ormai un’ampia elaborazione sollecitata anche da documenti a livello europeo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[10].
La Direttiva Ue, nella premessa esplicativa dei motivi si limita alla sbrigativa formuletta “fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media” [11] e all’art. 4 adotta formulazioni molto restrittive.
Art.4.Riferimenti in pubblico alla colpevolezza 1.Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità.
2.Gli Stati membri provvedono affinché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell'obbligo stabilito al paragrafo 1 del presente articolo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva, in particolare con l'articolo 10.
3.L'obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale o per l'interesse pubblico.
La Commissione ha recentemente depositato al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulle misure di recepimento della Direttiva nel frattempo adottate da diversi Stati membri[12]. Non sorprende che si dia atto che la disposizione di cui all’art.4 paragrafo 1 sia stata la più problematica.
Tuttavia la presente relazione evidenzia ancora qualche difficoltà in alcuni Stati membri in relazione a disposizioni chiave della direttiva. Tali difficoltà riguardano soprattutto l'ambito di applicazione delle misure nazionali di attuazione della direttiva e il recepimento delle disposizioni della direttiva riguardanti il divieto di riferimenti in pubblico alla colpevolezza e il diritto di non autoincriminarsi[13].
La proposta del nostro Governo nello “Schema” depositato alle Camere all’art.2, ribadisce il principio, e detta misure riparative per il caso di violazione da parte di “autorità pubbliche”.
Gli aspetti più problematici si pongono nel definire quali siano i “riferimenti in pubblico alla colpevolezza” di cui al titolo dell’art.4 della Direttiva Ue, che al punto 3 limita la possibilità da parte delle autorità pubbliche di “divulgare informazioni sui procedimenti penali”, ai soli casi in cui “ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico”.
Una esemplificazione di queste ipotesi “eccezionali” è contenuta nella premessa esplicativa:
come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell'individuazione del presunto autore del reato, o per l'interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un'altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell'ordine pubblico[14].
E’ una esemplificazione del tutto insoddisfacente e riduttiva, tanto più che questi limiti stringenti alla comunicazione si riferiscono, nel quadro di una ampia accezione dell’“autorità pubblica”, anche a
qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un'autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all'applicazione della legge, o da un'altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici[15].
La formulazione restrittiva viene sostanzialmente vanificata con il riferimento finale all’”interesse pubblico” come criterio per la divulgazione di informazioni su procedimenti penali. Senza questa cautela sarebbe stato precluso a ministri o funzionari governativi, oltre che alla magistratura, di fornire notizie, ad esempio in occasione di attentati terroristici o di gravi fatti di criminalità organizzata o mafiosa.
A fronte di queste infelici formulazioni della Direttiva Ue, lo “Schema” presentato dal governo all’art. 3 cerca di limitare i danni intervenendo essenzialmente sulle dichiarazioni rese dalle Procure della Repubblica[16], ma inevitabilmente ripropone le ambiguità della Direttiva. Stabilire che “i rapporti con gli organi di informazione “del Procuratore della Repubblica possano attuarsi “esclusivamente tramite comunicati ufficiali, oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”, è privo di senso, poiché, alla lettera, escluderebbe tutti gli altri mezzi di comunicazione compresi quelli che propongono una informazione più articolata come interventi a convegni, articoli su quotidiani o riviste o addirittura il modello Bilancio di Responsabilità Sociale, che invece è stato incoraggiato.
Una ulteriore norma proposta nell’art. 3 dello “Schema” riprende pressoché testualmente l’ambigua formulazione del punto 3 dell’art. 4 della Direttiva Ue.
La diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico. Le informazioni sui procedimenti in corso sono fornite in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell'imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili[17].
Peraltro si nota nello “Schema” una importante innovazione su un tema non affrontato espressamente nella Direttiva con la prescrizione che le informazione siano fornite “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende”. Questo tipo di informazione, ove non si riduca al mero testuale riferimento all’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento (Pubblico Ministero, Giudice delle indagini preliminari, Giudice dell’Udienza Preliminare, Tribunale, Corte di Appello), può contribuire a formare nella pubblica opinione la comprensione del reale valore della presunzione di non colpevolezza.
Si introduce poi il divieto “di assegnare ai procedimenti pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza” nei comunicati e nelle conferenze stampa, formula aperta e inutile a fronte di una questione, quella di assegnare nomi roboanti a partire da “Mani pulite” alle inchieste, che va risolta a livello di costume e di buon gusto. Per di più queste denominazioni in molti casi non sono assegnate dal pubblico ministero, ma autonomamente dai media.
4. I mezzi di ricorso
All’art. 2 lo “Schema” introduce disposizioni sull’obbligo di rettifica cui è tenuta l’ “autorità pubblica” che abbia violato il divieto di “ indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l'imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevoçabili”. Con una impostazione analoga all’art.4 si introduce, con il nuovo art. 115 bis c.p.p,, la possibilità per “l’interessato” di ottenere dal giudice che procede una correzione del provvedimento che abbia violato la presunzione di innocenza.
Articolo 115-bis (Garanzia della presunzione di innocenza).
l. Salvo quanto previsto dal comma 2, nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell'imputato, la persona sottoposta a indagini o l'imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili. Tale disposizione non si applica agli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini o dell’'imputato.
2. Nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi dì prova o indizi di colpevolezza, diversi dalle decisioni indicate al comma l, l 'autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l'adozione del provvedimento.
3. In caso di violazione delle disposizioni di cui al comma l, l'interessato può, a pena di decadenza, nei dieci giorni successivi ·alla conoscenza del provvedimento, richiederne la correzione, quando è necessario per salvaguardare la presunzione di innocenza nel processo.
4. Sull'istanza di correzione il giudice che procede provvede, con decreto motivato, entro quarantotto ore dal suo deposito. Nel corso delle indagini preliminari è competente il giudice per le indagini preliminari. Il decreto è notificato all'interessato e alle altre parti e comunicato al pubblico ministero, i quali, a pena di decadenza, nei dieci giorni successivi, possono proporre opposizione al giudice che lo ha emesso, che provvede in camera di consiglio a norma dell'articolo 127.
La norma, affermato il principio nella sua assolutezza, deve poi introdurre una serie di limitazioni che di fatto la renderanno difficilmente praticabile. Ma vi è anche il rischio di incentivare una interpretazione burocratica e difensiva del principio di innocenza che si traduca in formule di stile cautelative.
In realtà, come si rileva in più punti della Relazione della FRA European Union Agency for Fundamental Rights[18] sull’impatto della direttiva in diversi sistemi nazionali, le violazioni del divieto di “ indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l'imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevoçabili”, trovano rimedio piuttosto negli strumenti nazionali a tutela della onorabilità e della privacy e soprattutto nelle decisioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Fondamentale al riguardo la decisione del 1995 nel caso Allenet de Ribemont [19] con la quale la Corte di Strasburgo interviene su dichiarazioni rilasciate dal Ministro dell’Interno francese e da organi di polizia nei confronti di un accusato di concorso in omicidio, ritenute violazione dell’art. 6 comma 2 della Convenzione: “Ogni persona accusata di un reato si presume innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”.
Secondo la Corte questa disposizione “non impedisce alle autorità di informare il pubblico su indagini penali in corso, ma esige che ciò sia fatto con tutta la discrezione e con tutto il riserbo imposti dalla presunzione di innocenza”. La violazione della presunzione di innocenza, in questo caso, deriva dal fatto che si è trattato di “una dichiarazione di colpevolezza che, da un lato, induceva il pubblico ad accettarla e, dall’altro, pregiudicava l’accertamento dei fatti da parte dei giudici competenti”[20].
5. Presunzione di innocenza e dignità della persona
Lo “Schema” del nostro Governo provvede agevolmente, ove necessario, al recepimento della gran parte delle prescrizioni della Direttiva, ma come già avvenuto per altri Stati membri, è in difficolta nel misurarsi con l’art 4, paragrafo 1 sul divieto di riferimenti in pubblico alla colpevolezza. Si direbbe una mission impossible poiché sul punto le buone intenzioni della Direttiva scontano una impostazione burocratica e unilaterale. Forse si tratta di questione che sarebbe stato più opportuno riservare agli strumenti di soft law, più idonei a fornire orientamenti nell’individuazione del delicato equilibrio tra i diversi valori in gioco, piuttosto che l’hard law della Direttiva.
La presunzione di innocenza trova la sua essenziale tutela nelle norme del processo sulle garanzie del diritto di difesa. La pretesa di intervenire sul terreno della comunicazione con normative apparentemente stringenti si rivela insieme vana e potenzialmente lesiva degli altrettanto rilevanti valori dell’informazione, della cronaca e della critica.
Qualunque normativa il nostro legislatore adotterà, rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e degli operatori dell’informazione. Per quanto riguarda i magistrati non saranno mai abbastanza sottolineati i danni che provocano alla complessiva credibilità della giustizia le esternazioni lesive del principio di innocenza e in contrasto con i criteri dell’equilibrio e della misura di alcuni magistrati, soprattutto pubblici ministeri.
La questione di fondo rimane quella efficacemente indicata da un magistrato particolarmente impegnato sul tema.
Si tratta allora di trovare la formula quasi alchemica, in grado di assicurare il perfetto equilibrio fra efficacia e correttezza della informazione, ciò che per un giurista, e a maggior ragione per un magistrato come tale soggetto solo alla legge, vuol dire una comunicazione efficace nei limiti nei quali può rendersi rispettando le regole, non solo prettamente processuali, ma anche della cultura e della deontologia del processo penale di una società liberale[21].
Il principio di innocenza deve essere affrontato con attenzione a livello di informazione ad evitare l’ipocrisia che lo riduca a mero formalismo a fronte di “casi risolti”, ove la colpevolezza si presenti come dato storicamente acquisito, che il processo dovrà solo “attestare” e verterà essenzialmente sulla individuazione della pena da infliggere o, in taluni casi, sulla capacità di intendere e di volere.
Anche nei confronti del più feroce degli assassini, colto in flagranza o comunque apparentemente raggiunto da inoppugnabili elementi di accusa, il richiamo al principio della presunzione di innocenza fino alla sentenza irrevocabile non è ipocrita formalismo, perché rimanda alle regole del “giusto processo” e alle garanzie di difesa, contribuisce a formare l’acquisizione della distinzione tra VERITA’ storica e verità processuale.
La verità processuale, con la “v” minuscola, è quella che si costruisce attraverso la verifica della impostazione accusatoria davanti al giudice, con pronunzie che possono essere riviste nel sistema delle impugnazioni; è quella che deve ignorare prove illegittimamente acquisite; è quella che la cui “definitività” è persino revocabile, attraverso il procedimento di revisione, quando emergano nuove prove a favore del condannato. Al contrario la “definitività” non può essere scalfita ove successivamente emergano prove a carico dell’assolto, in base al principio che in tutti gli ordinamenti continua ad essere definito con la formula latina del “ne bis in idem”, il quale preclude in modo assoluto la possibilità di sottoporre nuovamente a processo per lo stesso fatto chi è stato assolto.
Lo Stato, negli ordinamenti liberaldemocratici, si riserva il monopolio della potestà punitiva, ma ne detta i limiti, con le regole e le garanzie del processo. Ma oltre le norme processuali vi è il principio del rispetto della persona, nei diritti e nella dignità. Non è un caso che nella nostra Costituzione e nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, sin dai primi articoli, dignità e diritti della persona si presentino come inscindibili. La Carta dei diritti dell’Unione Europea si apre con “Art.1 Dignità umana. La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
Lo scarso respiro dell’approccio adottato nella Direttiva Ue emerge anche da questo dato lessicale molto significativo: nelle undici pagine che il documento occupa nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea non compare neppure una volta la parola “dignità”. Eppure, appena l’orizzonte si allarghi oltre le norme del processo, è fondamentale il riferimento al rispetto della dignità della persona sottoposta ad indagini e processo ed anche definitivamente condannata, quale che sia la colpa di cui si è macchiata. Anche l’esecuzione delle pene detentive nei confronti dei condannati definitivi la nostra Costituzione vuole sia attuata nel rispetto della persona e miri al reinserimento nella società.
Questo profilo non è sfuggito alle Linee Guida del Consiglio Superiore della Magistratura del 2018 con riferimento alla comunicazione da parte delle Procure.
E’ assicurato il rispetto della presunzione di non colpevolezza; va dunque evitata, tanto più quando i fatti sono di particolare complessità o la loro ricostruzione è affidata ad un ragionamento indiziario, ogni rappresentazione delle indagini idonea a determinare nel pubblico la convinzione della colpevolezza delle persone indagate; particolare tutela va dedicata alle vittime e alle persone offese; vanno adottate tutte le misure utili ad evitare l’ingiustificata diffusione di notizie ed immagini potenzialmente lesive della loro dignità e riservatezza[22].
L’esigenza di rispettare nella comunicazione sui processi la dignità della persona umana è ripetutamente richiamata nei già ricordati documenti “Codice in materia di protezione dei dati personali” del Garante per la protezione dei dati personali (1998), “Corrette modalità di rappresentazione dei procedimenti giudiziari nelle trasmissioni televisive” dell’Autorità per la garanzia delle comunicazioni AGCOM (2008), “Codice di autoregolamentazione” siglato dai rappresentanti delle emittenti Tv pubbliche e private, dell’Ordine nazionale dei giornalisti e della Federazione nazionale della stampa italiana (2009) e “Testo unico dei doveri del giornalista” approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti (2016).
La legge sulla “Tutela della presunzione di innocenza e dei diritti della vittima” approvata dal Parlamento francese nel 2000 prevede il divieto di pubblicazione di fotografie di arrestati in manette o che violino la dignità di vittime di reati.
Le regole dirette ai magistrati del Codice etico dell’Associazione Nazionale Magistrati del 1994 erano già imperniate sul rispetto della dignità di ogni persona.
Art. 2 - Rapporti con le istituzioni, con i cittadini e con gli utenti della giustizia
Nei rapporti con i cittadini e con gli utenti della giustizia il magistrato tiene un comportamento disponibile e rispettoso della personalità e della dignità altrui […]
Art. 9 - L'imparzialità del magistrato
Il magistrato rispetta la dignità di ogni persona, senza discriminazioni e pregiudizi di sesso, di cultura, di ideologia, di razza, di religione.
Più di recente è stato proposto un profilo ulteriore per il magistrato: l’etica della relazione.
Che si comunichi anche con il proprio comportamento può sembrare una banale psicologismo da salotto. Resta però vero che c’è un agire comunicativo che sta venendo sempre più in luce […] Non si comunica un fatto o un’opinione o un messaggio, ma una moralità di fondo, un’interpretazione del ruolo ispirata alla consapevolezza che il rapporto tra il magistrato e il cittadino è inteso come un rapporto tra persone di pari dignità[23].
Il cardinale Carlo Maria Martini “inizia la sua attività pastorale come arcivescovo di Milano scegliendo come luogo di elezione proprio il carcere di San Vittore”[24] e nella sua successiva riflessione ritorna più volte sulla dignità della persona.
L’errore e il crimine […] indeboliscono e deturpano la personalità dell’individuo, ma non la negano, non la distruggono, non la declassano al regno animale, inferiore all’umano. Perciò le leggi […] hanno senso se operano in funzione dell’affermazione, dello sviluppo e del recupero della dignità di ogni persona[25].
Queste parole del cardinale Martini richiamano quelle di Giovanni XXIII:
Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. (1963 Pacem in terris n.83).
Ciascun caso, ciascuna vicenda presenta aspetti particolari ma il rispetto della dignità della persona offre un orientamento indefettibile.
[1] Direttiva (UE) 2016/343 del 9 marzo 2016 reperibile nella versione italiana in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea IT 11 marzo 2016 L65/1-11.
[2]L. Camaldo, “Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un’unica direttiva dell’Unione Europea”, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 marzo 2016
[3] Il testo della circolare è riportato in Cassazione penale, 1988, p 2208, in appendice a E. Selvaggi, “Dibattimento penale e ripresa televisiva: decisioni, orientamenti … e osservazioni minime a margine”, in Cassazione penale, 1988, p.2200 sgg
[4] Provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 29 luglio 1998, Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179
[5]Art. 14, comma 2 legge 16 dicembre 1999, n. 479 che introduce un nuovo comma 6 bis all’art. 114 c-p.p.
[6] Il testo dei Bilanci di Responsabilità Sociale è reperibile nel sito www.procura.milano.giustizia.it
[7] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza 11 gennaio 2005, n. 50774/99 Sciacca contro Italia
[8] Il testo integrale della circolare è riportato in Questione giustizia, 8 gennaio 2018
[9] S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky, Commentario Breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Cedam, Padova 2012, sub art 6 pp. 222-228;V. Zagrebelsky,R.Chenal. L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, 2.ed. Il Mulino, Bologna 2019, p243 sgg
[10] Vedi M. Guglielmi, “Uno sguardo oltre i confini. Principi ed esperienze della comunicazione giudiziaria in Europa”, in Questione Giustizia, 4,2018, p. 278-282: G. Melillo, “La comunicazione dell’ufficio del pubblico ministero” in Giustizia Insieme, 1 giugno 2021
[11] Vedi il “considerando” n. 19: “Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire che, nel fornire informazioni ai media, le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli, fino a quando la loro colpevolezza non sia stata legalmente provata. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero informare le autorità pubbliche dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media.”
[12] Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione della Direttiva (UE) 2016/343 31.3.2021 COM (2021) 144 final.
[13] Relazione… cit,§.4 Conclusioni
[14] Vedi il “considerando” n.18
[15] Vedi il “considerando” n. 17
[16] Si tratta di emendamenti aggiuntivi all’art. 5 Dlgs n.106/2006
[17] Comma 2 bis inserito all’art. 5 Dlgs n.106/2006
[18] FRA European Union Agency for Fundamental Rights, Presumption of Innocence and Related Rights.Professional Perspectives. Report, March 2021 reperibile in www.fra.europa.eu
[19] Sentenza Corte Edu 10 febbraio 1995 n. 15175/89 Allenet de Ribemont c. Francia
[20] § 38 e 41
[21] G. Melillo, “La comunicazione dell’ufficio del pubblico ministero” cit
[22] CSM, Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale. Linee guida per gli uffici requirenti Punto 2.4
[23] E. Fassone, “Un esempio virtuoso di comunicazione, l’etica della relazione”, in Questione Giustizia, 4,2018 p. 323
[24] Lo ricorda M. Cartabia, “Riconoscimento e riconciliazione”, in M. Cartabia, A. Ceretti, Un’altra storia inizia qui, Bompiani, Milano 2020, p.56
[25] Citato da A. Ceretti, “Pensare pensieri non-pensati e loro destino”, in M. Cartabia, A. Ceretti, Un’altra storia inizia qui, cit. p.24