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Per salvare il patto europeo serve un salto verso il federalismo

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I ministri delle finanze della zona Euro (Eurogruppo), poi i ministri delle finanze dei 27 (Ecofin) ed infine i capi di Stato e di governo dell’EU (Consiglio europeo) si riuniranno nel giro di una settimana (11-18 giugno) per cercare un accordo su quello che la Commissione ha chiamato “l’Unione di nuova generazione” (Next Generation EU) e sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027.

E’ molto probabile che il negoziato dovrà continuare sotto la presidenza tedesca che inizierà il 1° luglio 2020 e il risultato finale non è scontato perché è forte l’opposizione dei cosiddetti paesi frugali (Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia) a cui si sono associati a sorpresa due paesi beneficiari netti dei fondi europei (Repubblica Ceca e Ungheria) e perché il salto politico in avanti per una “unione sempre più stretta” è ben più importante della dimensione finanziaria delle proposte della Commissione europea.

Nonostante le difficoltà la realtà della situazione economica europea dopo gli effetti della pandemia mostra che l’unica strada teoricamente percorribile in alternativa alla proposta della Commissione è quella dello scioglimento del patto che unisce i paesi membri perché alla quasi simmetria delle conseguenze sanitarie (non tutti i paesi europei sono stati colpiti in egual misura dal contagio) seguirà una profonda asimmetria economica e sociale che provocherà fatture insanabili nel mercato interno, effetti insostenibili nella competitività dei sistemi produttivi, chiusure nell’area Schengen di libera circolazione delle persone e aumento del dumping sociale.

La situazione potrebbe peggiorare inoltre se il picco dei contagi dovesse tornare ad aumentare nel prossimo autunno nell’assenza probabile di vaccini per far fronte ad una nuova pandemia.

Per far fronte ai rischi dello scioglimento del patto fra gli Stati membri, la proposta della Commissione europea è stata articolata su quattro pilastri che introducono elementi innovativi nel progetto franco-tedesco del 18 maggio e che, sul piano finanziario, sono difficilmente contestabili dai paesi cosiddetti frugali e ancor di più dai sorprendenti loro alleati sovranisti:

– la Commissione non propone di mutualizzare i debiti pubblici nazionali ma di ricorrere al mercato finanziario internazionale privato per creare debito pubblico europeo e cioè per indebitare l’Unione europea verso privati investitori vendendo loro “buoni del tesoro europeo” (permetteteci di chiamarli così) rimborsabili fra il 2028 e il 2058 che produrranno (bassi o bassissimi) tassi di interesse.

– il debito così creato non sarà garantito dagli Stati membri ma dal bilancio europeo che dovrà essere rafforzato da risorse proprie europee sotto forma non di imposte “federali” generalizzate che colpirebbero tutti i cittadini europei ma di tasse legate sostanzialmente a profitti transfrontalieri (i prodotti extra-europei ad alto contenuto di carbonio, le grandi imprese multinazionali del web, i vantaggi provenienti dall’elusione fiscale dovuta alle asimmetrie dei sistemi fiscali nazìonali…)

– una parte (2/3) delle risorse provenienti dal debito europeo sarebbe certo distribuita non a pioggia ma con una proporzionalità legata alla dimensione della crisi economica e sociale (grants o sovvenzioni) e sulla base del rispetto di priorità europee – transizione ecologica e digitalizzazione – ma una parte (1/3) sarebbe concessa sotto forma di prestiti (loans) che gli Stati beneficiari dovranno restituire

– il livello del quadro finanziario pluriennale e cioè delle “tradizionali” politiche comuni resterebbe circoscritto nei limiti della proposta presentata dal Presidente Charles Michel al Consiglio europeo del 26 febbraio con la conseguenza di non dover aumentare i contributi nazionali (se saranno nel frattempo introdotte le nuove risorse proprie!) ma anche di applicare dei tagli a programmi europei come Europe for Citizens, Erasmus Plus, Europa creativa e Corpo di solidarietà europea come è stato denunciato da molte organizzazioni della società civile.

E’ evidente che la resistenza alle proposte della Commissione europea non è legata solo ai suoi aspetti finanziari (che sono presentati nei paesi ostili sotto forma di una diffusa campagna di disinformazione acuendo l’opposizione di governi che rispondono alle loro opinioni pubbliche nazionali) ma alla dimensione politica sopranazionale che è sottesa agli effetti finanziari delle proposte e che tende a rafforzare il ruolo della stessa Commissione europea rispetto ai governi nazionali.

Anche se fosse accettato all’unanimità dai governi il piano della Commissione per la parte che riguarda la creazione di debito pubblico europeo e la sua distribuzione fra sovvenzioni (grants) e prestiti (loans) e se si raggiungesse un accordo fra Consiglio e Parlamento sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 l’ostacolo principale riguarderà le nuove risorse proprie che il Parlamento europeo considera essenziali per esprimere il suo consenso sul bilancio, che il trattato sottopone al doppio vincolo dell’unanimità nel Consiglio e delle ratifiche nazionali e che in alcuni casi richiedono armonizzazioni a monte dei sistemi fiscali nazionali.

Nel presentare il piano della Commissione molti commentatori hanno stabilito un legame fra il salto sopranazionale della “Unione di nuova generazione” (Next Generation EU) e l’accordo che fu sottoscritto fra Alexander Hamilton e Thomas Jefferson davanti al Congresso americano dopo la guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna delle tredici ex-colonie britanniche, parlando di Hamilton moment.

Il paragone è fuorviante perché Hamilton ottenne l’accordo dei “confederali” – che erano gli Stati finanziariamente virtuosi – alla condizione che tutti gli Stati confederati accettassero il principio del pareggio di bilancio e che la capitale della Confederazione fosse trasferita dalla fortemente indebitata Pennsylvania (Philadelphia) alla ricca Virginia (Washington), sapendo che lo Stato federale fu autorizzato ad emettere moneta federale solo dopo la guerra di secessione (1862) e che le prime imposte federali (le “risorse proprie”) furono emesse solo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale (1913).

Come pochi ricordano, si parlò di Hamilton moment al tempo della crisi finanziaria del 2012 quando il Consiglio degli economisti tedeschi propose che l’Unione europea si facesse carico dei debiti pubblici nazionali al di sotto del 60% del PIL degli Stati membri e il think tank Bruegel propose la soluzione inversa di una mutualizzazione dei debiti nazionali al di sopra del 60% dei PIL nazionali.

Non se ne fece nulla perché passò l’idea tedesca secondo cui la crescita dei debiti pubblici fosse la causa e non l’effetto della crisi finanziaria e furono introdotti dai governi o su proposta della Commissione tutti gli strumenti della nuova governance economica (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, Semestre Europeo) con l’accondiscendenza del Parlamento europeo.

Il rafforzamento della dimensione politica sovranazionale non implica un vero salto federale che richiederebbe invece la creazione di un Tesoro europeo e cioè l’attribuzione alla Commissione di poteri di governo, l’introduzione di imposte federali codecise dal Parlamento europeo (no taxation without representation), l’eliminazione del voto all’unanimità, la soluzione a quella che Carlo Azeglio Ciampi chiamava la zoppia fra la politica monetaria e la politica economica nel quadro dell’UEM, il trasferimento di competenze dal livello nazionale a quello europeo come condizione per un bilancio europeo più sostanzioso.

E’ la via che tentò Altiero Spinelli il 9 luglio 1980 fondando un intergruppo federalista che si chiamò Club Crocodile dal nome del ristorante dove si riunirono per la prima volta i deputati che decisero di sostenere la sua iniziativa e da cui scaturì il lavoro sostanzialmente costituente del Parlamento europeo e l’approvazione il 14 febbraio 1984 del “progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea” (progetto Spinelli).

Ci sono dei coccodrilli nell’attuale Parlamento europeo pronti a ripercorrere la via indicata quaranta anni fa da Altiero Spinelli?

PIER VIRGILIO DASTOLI

 

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