“La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.
Così scriveva il Manifesto di Ventotene nell’inverno del 1941 definendo i compiti del dopoguerra concludendo:
“Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del movimento per l’Europa libera e unita”.
Il testo esiste in tutte le lingue dell’Unione europea (e anche in arabo !) e varrebbe la pena di diffonderlo in tutta Europa nei movimenti che stanno nascendo qua e là, in modo spesso spontaneo e nella maggior parte dei casi l’uno indipendente dagli altri nella solitaria convinzione che il metodo scelto e l’obiettivo adottato come prioritario da ciascuno di essi sia il migliore per sconfiggere quelli che il “Manifesto” chiamava partiti reazionari.
Pulse of Europe, Soul for Europe, New Europeans, Civico, Volt, 13-10, Alliance Europa, Stand up Europe, DIEM25, PeoplesEuropeForum, Change of Course in Europe, Citizens for Europe, Democracy International, Civil Society Europe, Empower e la campagna di contro-informazione del Movimento europeo (www.movimentoeuropeo.it) sono alcune delle innumerevoli iniziative che si sono affiancate alle manifestazioni popolari contro la democrazia illiberale a Varsavia, a Budapest e a Praga o contro il Brexit nel Regno Unito ma che non hanno ancora trovato una strada comune per forgiare un unico movimento “per l’Europa libera e unita”.
Nella maggior parte dei casi questi movimenti sono nati e restano al di fuori dei partiti tradizionali, non hanno nulla a che fare con gli inconsistenti partiti europei, sono per natura transnazionali e agiscono indipendentemente dalle organizzazioni federaliste che a loro volta hanno evitato di “contaminarsi” con i nuovi movimenti nella convinzione che il loro tasso di federalismo sia quasi inesistente.
Tutto ciò avviene mentre sono in atto manovre più o meno scoperte per far convergere in un unico contenitore i partiti o movimenti sovranisti che in alcuni casi sono giunti al governo (Italia, Austria, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca) ma che, in generale, condizionano dall’esterno gli orientamenti delle forze politiche tradizionali su temi sensibili come l’immigrazione, la sicurezza, la povertà e le diseguaglianze.
Rovesciando il ragionamento del Manifesto di Ventotene, i partiti sovranisti hanno capito che il fine essenziale della loro lotta politica nel 2019 sarà la conquista del potere a livello europeo perché solo in questo modo essi potranno scardinare il sistema dell’Unione e restituire, dal suo interno, la sovranità agli Stati nazionali.
I partiti tradizionali continuano ad agire con la vecchia logica secondo cui le elezioni europee sono un secondo turno delle elezioni nazionali, convinti che la sconfitta dei sovranisti in Europa suonerà la campana a morto dei nazionalismi a livello nazionale e consentirà loro di governare l’Unione europea così come hanno fatto in questi ultimi venti anni.
I sistemi elettorali proporzionali, che si accompagnano nella maggior parte dei paesi europei a liste uniche nazionali, facilitano questa logica perversa cosicché avremo alle elezioni europee un sistema piramidale con cinquecento partiti nazionali dai quali ne scaturiranno centocinquanta che cercheranno di ricomporre la vecchia geografia politica europea: PPE, S&D, ALDE, Verdi, GUE e tenere ai margini i tre gruppi euro-ostili orfani degli euroscettici britannici.
Secondo questa logica perversa, i partiti europei cercheranno di ripetere l’esercizio di apparente democrazia rappresentativa immaginato da Martin Schulz nel 2013 per conquistare la poltrona di presidente della Commissione europea usando il grimaldello dello Spitzenkandidat. Il grimaldello non funzionò alle europee del 2014 perché il PPE mantenne la maggioranza relativa di voti e seggi e fu così eletto Jean-Claude Juncker, imposto da Angela Merkel al Congresso di Dublino per bloccare la candidatura francese di Michel Barnier.
Il modello degli Spitzenkandidaten non funzionerà più nel 2019 perché né nel Consiglio europeo né nel Parlamento sarà possibile ricostituire l’accordo di potere fra popolari e socialisti e la frammentazione politica europea sarà ancora più grande che in passato.
I sovranisti, usciti rafforzati dal voto delle europee, approfitteranno di questa frammentazione per imporre un “governo” dell’Assemblea e dunque della Commissione secondo il modello dei governi bulgaro o austriaco e cioè un’alleanza fra popolari ed estrema destra con l’obiettivo di demolire l’Unione europea.
Tommaso Padoa Schioppa aveva intuito nel 1998 i rischi di un sistema di selezione del Presidente della Commissione fondato sulla scelta del candidato proposto dal partito a maggioranza relativa e aveva saggiamente suggerito un sistema di coalizioni, da costituirsi prima e non dopo le elezioni europee.
Per vincere la battaglia europea contro i sovranisti dobbiamo tornare alla linea di divisione suggerita dal Manifesto di Ventotene nel 1941 con una coalizione di movimenti che indirizzi le forze popolari verso la creazione di una solida Comunità federale anteponendo alla scelta del candidato alla presidenza della Commissione la condivisione di un programma per la legislatura (che dovrà essere costituente) fondato su alcuni elementi essenziali legati a beni pubblici a dimensione europea: lo stato di diritto, l’eliminazione delle diseguaglianze, il governo dei flussi migratori e la politica di accoglienza, lo sviluppo sostenibile, la sicurezza esterna e interna, il governo democratico dell’economia e della moneta, un’identità multilivello, una politica fiscale europea, una cittadinanza federale.
La scelta del candidato alla presidenza della Commissione potrebbe avvenire attraverso primarie di coalizione in tutti i paesi europei sulla base del programma condiviso per la legislatura rendendo così realmente democratico e partecipativo il processo di formazione del governo dell’Unione.
Pier Virgilio Dastoli - Presidente
19 settembre 2018