Perché è difficile eleggere i vertici delle istituzioni europee

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Il negoziato per la definizione dei vertici delle istituzioni europee è molto complicato, come vediamo in queste ore. Ciò dipende dai contrasti politici tra gli stati e gli schieramenti, ma anche dalle farraginosità e dalle contraddizioni del metodo che si è andato consolidando. Vediamo come e perché.

Sovranisti divisi all'EuroparlamentoLa procedura di formazione della Commissione europea è stata modificata nel corso degli ultimi venticinque anni, a partire dal Trattato di Maastricht, con un rafforzamento parallelo dei poteri del suo Presidente e del ruolo del Parlamento europeo a cui i trattati di Roma avevano attribuito – anche dopo la sua elezione diretta nel 1979 – il solo ruolo negativo di costringere l’intero collegio a dimettersi se l’Assemblea avesse adottato una mozione di censura.

Il Trattato di Lisbona

Con il Trattato di Lisbona, che riconosce il fatto che l’Unione è una organizzazione sui generis, di Stati e di cittadini è stato stabilito che a partire dal 2014:

- Il Consiglio europeo – tenuto conto delle elezioni europee e dopo aver effettuato delle consultazioni appropriate (senza precisare con chi) – propone al PE un candidato alla presidenza della Commissione decidendo a maggioranza “super-qualificata”, che non si applica alle decisioni legislative dove vale il calcolo della maggioranza qualificata ma si applica invece all’elezione del Presidente del Consiglio europeo, alla nomina dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all’adozione di sanzioni contro un paese membro che viola lo stato di diritto e al passaggio dal voto all’unanimità a quello a maggioranza in particolare nella PESC. In una Unione a 28 la maggioranza super-qualificata richiede il voto favorevole di 21 paesi membri che rappresentano il 65 % dell’insieme della popolazione europea e cioè almeno 334 milioni di cittadini. A contrario, una minoranza di bloccaggio deve riunire almeno otto paesi che rappresentino 179 milioni di cittadini con l’obiettivo di escludere sia una minoranza di bloccaggio dei quattro-cinque grandi (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna) che un’alleanza dei “piccoli”. Secondo questi calcoli i paesi di Visegrad non possono riunire una minoranza di bloccaggio anche nel caso in cui ad essi si associasse l’attuale governo italiano.
- Il Presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo deve essere eletto dal PE con la maggioranza dei suoi membri (376 in una Unione a 28). Nel caso in cui la sua candidatura fosse respinta, il Consiglio europeo avrebbe un mese di tempo per proporre un nuovo candidato secondo la stessa procedura. Il Trattato non prevede nessuna soluzione nel caso di un prolungato braccio di ferro fra Consiglio e Parlamento anche se, nel corso delle molte riflessioni sulle riforme istituzionali qualcuno aveva lanciato l’idea di uno scioglimento anticipato del PE senza essere capace di indicare l’autorità europea incaricata di scioglierlo.

I membri della Commissione

- La lista dei membri della Commissione è adottata dal Consiglio (a maggioranza semplice) di comune accordo con il Presidente della Commissione eletto che si sottopone con i suoi colleghi al voto di fiducia del PE (alla maggioranza dei voti espressi) prima della nomina di tutto il collegio da parte del Consiglio europeo a maggioranza super-qualificata. Durante i lavori della Convenzione sulla Costituzione europea era stata avanzata l’idea che ogni governo avrebbe dovuto offrire al Presidente eletto una rosa di nomi (nel rispetto dell’equilibrio di genere) lasciandogli il potere di scegliere i suoi commissari in ragione della loro competenza, del loro impegno europeo e delle loro garanzie di indipendenza ma il Trattato di Lisbona ha mantenuto i criteri eliminando la “rosa” così come la Costituzione europea aveva previsto una composizione della Commissione corrispondente ai 2/3 degli Stati membri con un principio che è rimasto nella lettera del Trattato ma che è stato accantonato dal Consiglio su richiesta del governo irlandese.
Da notare il fatto, previsto dal regolamento del PE ma non dal Trattato, che i singoli commissari devono passare attraverso delle rigorose audizioni davanti alle commissione parlamentari competenti per i “portafogli” che saranno loro attribuiti su scelta autonoma del Presidente della Commissione e che il voto negativo di una commissione costringe di fatto il Presidente a scegliere un altro commissario dello stesso paese o a proporre un altro “portafoglio”.

Come si vede la procedura è molto complicata e presenta vistose contraddizioni sui sistemi di voto nei vari passaggi e con equilibri politici, geografici e geopolitici facilmente superabili in un quadro interistituzionale coerente ma che rischia di paralizzarsi di fronte alla frammentazione emersa dalle elezioni del 26 maggio.

Gli Spitzenkandidaten

A queste complicazioni si è aggiunto il metodo degli Spitzenkandidaten immaginato dai partiti europei nel 2014 che , contrariamente a quel che pensava qualcuno, non ha rafforzato la democrazia parlamentare ma ha creato una graduale conflittualità fra un sistema di partiti europei ancora embrionale e il sistema di potere dei governi che si è consolidato con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Nel 2014 la conflittualità è rimasta latente perché ha funzionato nel Consiglio europeo e fra i partiti la “grande coalizione” europea fra popolari e socialdemocratici che per vent’anni hanno ottenuto la maggioranza assoluta nel Parlamento europeo. La conflittualità è esplosa a vari livelli (fra i partiti, nel Parlamento europeo, fra i governi, all’interno dei governi di coalizione) aprendo la via ad una potenziale paralisi interistituzionale che può essere risolta o consolidando il sistema intergovernativo consacrato di fatto con il Trattato di Lisbona o procedendo sulla via di un governo parlamentare che, per sua natura, dovrà avere inevitabilmente poteri federali.

2 Luglio 2019
Pier Virgilio Dastoli