Mes: indegna campagna sovranista, ma Conte sbaglia a dire no

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I toni esasperati della destra contro l’intesa che ha sbloccato l’impasse dell’Eurogruppo sulla strategia di lotta all’epidemia rischiano di danneggiare seriamente l’Italia in vista di una riunione, il 23 aprile, del Consiglio europeo che sarà decisiva non solo per trovare gli strumenti contro la crisi ma per la tenuta stessa dell’Unione europea. I sovranisti Matteo Salvini e Giorgia Meloni – ma anche i rappresentanti di Forza Italia che pure militano nel Partito Popolare Europeo – contestano durissimamente quello che ritengono un “cedimento” del governo Conte al fronte dei paesi rigoristi sulla questione del MES. Un cedimento che non c’è stato affatto, giacché i paesi dell’Eurogruppo hanno specificato molto chiaramente che l’impiego del MES sarà destinato soltanto alla lotta all’epidemia e, soprattutto, non sarà accompagnato da “condizioni”, ovvero imposizioni di misure di rigore, da parte dei paesi che vi ricorreranno (e l’Italia, assicura il governo di Roma, comunque non è intenzionato a farlo).

La campagna della destra, però, trova in qualche modo una sponda nell’atteggiamento tenuto dal presidente del Consiglio italiano. Il “così o non firmo”, pronunciato venerdì a reti unificate da Giuseppe Conte e rivolto, come avvocato degli italiani, ai suoi colleghi leader europei, sorvola infatti su molti aspetti dell’accordo raggiunto nell’Eurogruppo, su quel che si deve negoziare al Consiglio europeo del 23 aprile e sulla strada impervia che l’Unione europea dovrà percorrere dopo l’eventuale consenso che potrebbe essere raggiunto dai capi di Stato e di governo.

Un “Fondo salva-salute”

Innanzitutto il famoso MES (Meccanismo Europeo di Stabilità). Di fronte alla crisi sanitaria la funzione di “stabilizzazione dell’eurozona” – che ne era la caratteristica al tempo del suo negoziato condotto dal governo Berlusconi e ratificato dal Parlamento italiano su proposta del governo Monti – è stata sospesa e il “Fondo Salva Stati” diventerà un Fondo Salva Salute e potrebbe essere poi archiviato dopo l’emergenza se sarà accettata la sua comunitarizzazione e la sua trasformazione in un Fondo Monetario Europeo (FME) come ha proposto la Commissione nel 2017 o in una Cassa Depositi e Prestiti Europea (CDEPE) come è stato suggerito dal Movimento Europeo e dal Centro Studi sul Federalismo.

L’Eurogruppo ha proposto che l’unica condizione è che i suoi prestiti a tassi ridotti vengano utilizzati – non obbligatoriamente – per aiutare gli Stati (probabilmente tutti e non solo quelli dell’Eurozona) a affrontare nell’emergenza le spese sanitarie dirette e indirette e le misure di prevenzione. Se il capo del governo ritiene che l’Italia non abbia bisogno di risorse aggiuntive – seppure limitate a 37 miliardi di Euro – per regioni e città, ospedali, sanità pubblica, attrezzature, ricerca per i vaccini, potrà decidere di farne a meno seguendo le pulsioni della Lega, di Fratelli d’Italia, di una parte del Movimento 5 Stelle e di parte della sinistra e sapendo che l’attivazione del MES apre la possibilità dell’uso delle Operazioni Monetarie Definitive (OMT dall’inglese Outright Monetary Transactions) annunciate dal Consiglio direttivo della BCE fra agosto e settembre 2012.

Ci sono poi i cosiddetti Eurobond. Anche in questo caso si tratta di prestiti a tasso agevolato ma il capo del governo si illude e illude gli italiani se egli ritiene che essi metteranno centinaia di miliardi di Euro a disposizione degli Stati dopo il 23 aprile. Si tratta di un’idea rilanciata da Mario Monti nel 2012 poi da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio con il sostegno del PE ma proposta prima da Altiero Spinelli nel 1981 e poi da Jacques Delors nel 1987 e ribattezzati nelle ultime settimane Corona bond o European RecoveryI prestiti, che potranno molto difficilmente essere attivati dalla Commissione europea che pur usa decenni lo strumento dei prestiti insieme alla BEI e nel quadro di alcuni fondi europei confermando che i trattati rendono già oggi possibile “debito pubblico europeo”, dovranno essere agganciati a un fondo – che potrebbe essere quello “di solidarietà” la cui madre è francese ma che ha almeno un paio di auto-padri (Italia e Germania) – che a sua volta dovrà trovare uno strumento che funga da garanzia o che provenga dagli Stati membri o preferibilmente dal bilancio europeo. Una strada ancora tutta da percorrere dopo l’eventuale e auspicabile accordo (all’unanimità) del Consiglio.

Contrariamente a quel che afferma Giuseppe Conte, il paragrafo 20 delle conclusioni dell’Eurogruppo non cita gli Eurobond o come si vogliano chiamare ma lascia aperte molte opzioni su cui si dovrà trovare un accordo prima politico e poi giuridico.

Intervento per la Cassa Integrazione

C’è poi, in terzo luogo il cosiddetto SURE (Support to mitigate Unemployment risk in an emergency) che potrebbe essere considerata una cassa di integrazione europea a supporto dei dipendenti che abbiano perso o ridotto le ore di lavoro e degli autonomi che abbiano interrotto le loro attività. Anche nel caso del SURE si tratta di prestito a tasso agevolato e questi tre strumenti di credito e debito (MES, Fondo di Solidarietà e SURE) si aggiungono ai prestiti della BEI potrebbero raggiungere un ammontare totale fra i 1000 e i 1500 miliardi di Euro.

Trattandosi di crediti e debiti aumenteranno i debiti degli Stati membri che decideranno di farvi ricorso – sapendo che nessuno di questi strumenti è obbligatorio e non produrranno politiche comuni né nel settore del welfare né nella dimensione ambientale né nel settore agro-alimentare né nello sviluppo di una ricerca comune a medio termine né in interventi programmati nelle aree interne né nella politica industriale con particolare riferimento alle PMI né, last but non least, nel terzo settore. Tutti insieme questi settori dovrebbero rientrare in una programmazione (una volta si chiamava così!) finanziaria cioè in un bilancio quinquennale come strumento di quel che è stato chiamato European Recovery Plan o European Social and Greeen Deal.

Piuttosto che minacciare “così o non firmo” il capo del governo farebbe bene a riflettere razionalmente sugli interessi del paese e non di questa o quella forza politica nella scelta degli strumenti adottati dalle istituzioni europee e fornire alla Commissione europee e proposte in vista della decisione che l’esecutivo europeo adotterà il 29 aprile sul nuovo quadro finanziario quinquennale dal punto di vista delle entrate sfruttando la capacità impositiva dell’UE sulla base dell’art. 311 del trattato di Lisbona e delle spese che dovrebbe raggiungere un ammontare globale di almeno 2000 miliardi.
Nel riflettere razionalmente, smettendo i panni del giurista, gli offriamo una breve sintesi delle vicende europee degli ultimi anni per arricchire le sue conoscenze storiche.

La lezione di Mary Poppins

Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore nel dicembre 2009 mentre la tempesta prima finanziaria si era abbattuta sull’Unione europea avendo attraversato l’Atlantico dopo il fallimento della Banca statunitense Lehman Brothers con una reazione incontrollata e forse incontrollabile di panico sui mercati di capitali.

La reazione ricorda la lezione di economia nel film Mary Poppins e il principio secondo cui il sistema bancario si regge essenzialmente sulla fiducia dei clienti. Molti ricordano la scena del film in cui Mr Daws, proprietario della banca dove lavora il Sig. Banks, cerca di convincere Michael, figlio del signor Banks, a depositare due penny nella banca. Michael non vuole rinunciare alle sue monete che gli vengono brutalmente strappate dalle mani dal banchiere spingendo gli altri clienti a chiedere indietro i loro depositi e creando una caotica corsa agli sportelli come successe poi nel 2007 presso le filiali inglesi della Northern Rock.

Se la reazione dei mercati fu caotica altrettanto fu quella dei governi europei che hanno innescato un processo di controllo intergovernativo dell’Unione economica e monetaria i cui principi di fondo erano legati alla convinzione che dalla crisi si sarebbe usciti garantendo che nessun paese dell’Euro mettesse in pericolo la stabilità dell’area e che la causa dell’instabilità fosse legata alla crescita incontrollata dei debiti pubblici. Dal primo principio nasce il Meccanismo Europeo di Stabilità, un trattato intergovernativo per l’Eurozona entrato in vigore nell’ottobre 2012 e fondato sulla modifica dell’art. 136 del Trattato di Lisbona che afferma “Gli Stati membri che hanno come moneta l’Euro possono creare un meccanismo di stabilità da attivare se indispensabile a preservare la stabilità dell’Euro nel suo complesso. La concessione di ogni aiuto finanziario richiesto nell’ambito del meccanismo verrà effettuata in subordine a condizioni severe”.

Dal secondo principio nasce il cosiddetto Fiscal Compact il cui negoziato fu avviato nel marzo 2011 sotto il governo Berlusconi, firmato il 9 dicembre 2011 al Consiglio europeo da Mario Monti e entrato in vigore il 1* gennaio 2013 nonostante il voto contrario del Parlamento europeo che ha su questa materia un potere solo consultivo.

In Italia la modifica dell’art. 136 con la subordinazione delle “condizioni severe” è stata approvata dal governo Berlusconi il 3 agosto 2011 che negoziò contestualmente il MES approvato poi nel Consiglio europeo del dicembre 2011. Modifica del Trattato e MES furono ratificati nel Parlamento italiano contestualmente nel luglio 2012 dalla maggioranza che sosteneva il governo Monti fra cui PD, il Popolo della Libertà e l’UDC. MES e Fiscal Compact da trattati internazionali avrebbero dovuto essere “comunitarizzati” – in un termine di cinque anni dalla loro entrata in vigore (2017 e 2018) – e cioè iscritti nell’ordinamento dell’Unione europea dando poteri veri alla Commissione e riducendo quelli dei governi nazionali e aprendoli in questo modo al controllo del Parlamento europeo. Così la Commissione europea ha proposto il 6 dicembre 2017 di creare un Fondo Monetario Europeo per sostituire il MES e di integrare il Fiscal Compact nel diritto europeo attraverso una direttiva e non inserendolo nei trattati. L’una e l’altra proposta sono state ignorate dai governi nazionali nonostante l’impegno preso al momento della loro entrata in vigore.

Il ruolo del MES per garantire la stabilità dell’eurozona è stato marginale perché dal luglio 2012 ha fornito in totale 295 miliardi di prestiti (rimborsabili con interesse) concessi a Portogallo, Cipro e Spagna (41 miliardi) e soprattutto Grecia (61 miliardi) a fronte di una garanzia fornite dai paesi membri fra cui 14 miliardi di Euro dall’Italia che torneranno nel bilancio dello Stato con i dividendi mentre come si sa l’effetto determinante è venuto dalle misure della BCE dopo il whatever it takes and belive me it will be enough di Mario Draghi.

La crisi finanziaria scoppiata il 15 settembre 2008 con il fallimento della Lehman Brothers è finita dopo dieci anni ma ha lasciato danni politici, economici e sociali che hanno rischiato di creare un vuoto incolmabile fra i cittadini e le istituzioni soprattutto per le politiche economiche devastanti decise dai governi nazionali. La crisi che si apre ora provocata dal coronavirus è radicalmente diversa da quella del 2008 perché è simmetrica e non asimmetrica, globale e non limitata ai paesi dell’Eurozona, sociale prima che economica e finanziaria.

Pier Virgilio Dastoli

12/04/2020