DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA E COMUNICAZIONE PUBBLICA

Stampa
Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Fabiana Dadone 1200 690x362

Il 7 giugno 2000 entrava in vigore la Legge 150/2000 sulla comunicazione istituzionale che concludeva un decennio di rinnovamento normativo fissando l’importanza strategica della comunicazione, definendo le regole fondamentali per una sua gestione efficace, individuandone gli ambiti di applicazione e dando una legittimazione professionale agli operatori dell’informazione.

Agendo ultra vires e in assenza di un approfondito dibattito nel Parlamento e all’interno del governo, la Ministra Fabiana Dadone ha frettolosamente creato un Gruppo di Lavoro, ha unito la questione delle riforma della comunicazione pubblica – ritenendo la legge 150/2000 “in gran parte inadeguata alla nuova PA trasparente e digitale” - all’obbiettivo giuridicamente ultroneo di un’indeterminata “social media policy nazionale” che non rientra nelle sue competenze né in quelle dei soggetti che sono stati chiamati a far parte del Gruppo di Lavoro e ne ha affidato il coordinamento al di fuori della PA a un soggetto di parte.

Sfruttando il tempo sospeso a causa del COVID19, il Gruppo di Lavoro ha esaurito –  in poche riunioni e con una rapidità degna di ben altra causa (dal 9 gennaio al 20 aprile) – un dibattito che venti anni fa era durato un decennio partorendo “dieci proposte operative” (!) che dovranno ora passare al vaglio dei tecnici della pubblica amministrazione e del legislatore.

Il risultato del consenso raggiunto fra i membri del Gruppo di Lavoro sarà presentato dalla Ministra Dadone il prossimo 16 giugno. La Ministra compirà così un altro atto ultra vires considerando che le proposte sono indirizzate al governo nel suo insieme e poi al Parlamento e che la Ministra dovrebbe limitarsi a prenderne atto per rispetto dei colleghi di governo.

Si dovrebbe evitare il pericolo che il tema della riforma della comunicazione pubblica e ancor di più quello di una social media policy nazionale (vaste programme, avrebbe detto il Generale De Gaulle) sia manipolato garantendo che le scelte di indirizzo siano espressione di una volontà la più ampia possibile delle associazioni rappresentative e della società civile e non solo di una parte del tavolo dell’open government partnership ed evitando di mutuare metodi di consultazione molto vicini alle scelte che il movimento, a cui appartiene la Ministra, ha affidato ad un numero ristretto di cittadini attraverso la Piattaforma Rousseau.

Stupisce in primo luogo che il Gruppo di Lavoro non abbia sentito la necessità o avuto la possibilità e l’opportunità di riflettere sulle esperienze di quattro mesi della pandemia per tener conto del fatto che l’emergenza sanitaria abbia significativamente alterato i modelli comunicativi, partecipativi e informativi creando confusione e spesso disinformazione e accompagnando alla mancanza di verità (fake news) l’assenza della verificabilità delle informazioni.  L’autorevolezza delle fonti è stata piegata alla necessità di “riempimento”, la quantità a discapito della qualità lasciando spazio al “consumismo “ dell’informazione. 

Colpisce in secondo luogo il fatto che sia stato ignorato il  mutamento avvenuto nei nostri sistemi di democrazia occidentale a causa dell’influenza dei social media e dell’eccesso di informazione che si può tramutare in disinformazione provocando quella che si chiama infodemia che altera i rapporti tra i cittadini e le istituzioni creando le condizioni di una democrazia populista e sovranista (demoicrazia e cioè il potere ai popoli) e non una forma nuova di democrazia partecipativa (politeicrazia e cioè il potere ai cittadini).

Vorremmo in terzo luogo denunciare il fatto che in quel Gruppo di Lavoro non c’era nessun un’adeguata rappresentanza delle organizzazioni della società civile che sono o dovrebbero essere i primi fruitori della comunicazione pubblica e coloro a cui occorre garantire l’uso del bene pubblico della rete affinché essi siano in grado di effettuare liberamente le loro scelte. Non sono stati invitati i rappresentanti del Terzo Settore, i promotori del Festival della partecipazione civica, la neo-costituita Consulta Giovanile, la rete delle Fondazioni culturali, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, le organizzazioni dei consumatori e il Forum delle diseguaglianze oltre ai partner sociali per citare solo alcuni soggetti collettivi.

Il Gruppo di Lavoro ha in quarto luogo ignorato tutta la questione della tutela dei diritti sui social network su cui hanno legiferato in Germania e in Francia e su cui esiste la “Dichiarazione dei diritti in Internetelaborata nel 2015 per la Camera dei Deputati dalla Commissione presieduta da Stefano Rodotà e che attende da anni di essere tramutata in legge, diritti che sono collegati alla lotta alle fake news, agli hate speeches e alla manipolazione dell’informazione su cui esistono direttive europee, atti del Consiglio d’Europa e proposte del Parlamento europeo e della Commissione europea (che saranno tradotte il prossimo 10 giugno in un Action Plan) e un Osservatorio dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze oltre che l’Unità di monitoraggio (task force) contro le fake news del governo italiano priva tuttavia di competenze sanzionatorie.  

Infine il Gruppo ha ignorato le possibilità offerte dall’Unione europea per quanto riguarda la  cooperazione amministrativa. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed in modo particolare degli articoli 197 e 298 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e degli articoli 41 e 42 della Carta dei diritti fondamentali sono state assegnate nuove competenze all'Unione europea nel campo della pubblica amministrazione e delle relazioni fra amministratori e amministrati. L'articolo 197 TFUE fa dell'applicazione effettiva del diritto dell'Unione europea da parte degli Stati membri una “questione di interesse comune” (par. 1). L'articolo 298 TFUE ha lo scopo di garantire, attraverso l'adozione di un regolamento europeo, il carattere “aperto, efficace ed indipendente” dell’amministrazione europea che dovrebbe essere adottato da tutte le amministrazioni nazionali. L'esigenza della apertura si accompagna a quella della trasparenza, l'efficacia corrisponde ad una gestione rigorosa e ad un uso appropriato dei soldi dei contribuenti mentre l'indipendenza si esercita sia nei confronti delle amministrazioni nazionali che dei gruppi di interesse. 

Conviene collegare questa nuova disposizione all'articolo 41 della Carta dei diritti senza dimenticare gli articoli dedicati dal Trattato e dalla Carta all'accesso ai documenti ed alla trasparenza. Da questo punto di vista, l'evoluzione del diritto europeo è in linea sia con gli orientamenti del Consiglio d'Europa e con l'OCSE sia con il gran numero di misure legislative e di riforme adottate dagli Stati membri dell'Unione europea nel settore della trasparenza amministrativa come diritto fondamentale del cittadino e come componente essenziale della democrazia. Attraverso tale diritto, i cittadini possono partecipare attivamente al processo decisionale, controllare il governo – o meglio le istituzioni che fanno parte della multilevel governance – prevenire la corruzione e le forme della cattiva amministrazione.

Noi chiederemo al governo e al Parlamento italiani di promuovere un ampio Forum sulla riforma della comunicazione pubblica nel quadro di una visione dinamica ed europea della democrazia rappresentativa, partecipativa e di prossimità che vada ben al di là dell’approccio tecnocratico del Gruppo di Lavoro istituito dalla Ministra Dadone e che punti all’obbiettivo di cambiare per migliorare e non cambiare pur di cambiare.

Roma, 7 giugno 2020