Newsletter n.11/2020 - Un programma per l’Europa: oltre le finanze

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L’Europa non è in guerra, come ha detto per tre volte in un suo intervento televisivo alla “Nazione” il presidente francese Emmanuel Macron, ma le conseguenze della pandemia dopo la pandemia saranno devastanti (e lo sono in parte già adesso) non solo per i sistemi produttivi – lavoratori e imprese – ma per l’insieme delle nostre società.

E’ sufficiente pensare al vuoto che si è creato nelle nostre comunità per la strage di persone anziane e al vuoto pedagogico ed educativo che si sta creando nelle scuole di ordine e grado e nelle università laddove gli studenti non possono seguire i corsi online.

Da due mesi l’argomento principale nei dibattiti fra governi, nelle istituzioni europee e fra esperti è legato ad una domanda che potremmo sintetizzare in modo drammaticamente banale: chi (e come) pagherà il conto finanziario delle conseguenze della pandemia dopo la pandemia?

Certamente la questione di chi si farà carico del debito pubblico europeo o dell’insieme dei debiti pubblici nazionali che cresceranno inevitabilmente parallelamente alla decrescita del reddito europeo lordo è centrale per le decisioni che dovranno essere prese nelle prossime settimane sapendo che il calcolo del reddito è diverso da quello del prodotto perché ad esso bisogna aggiungere i profitti delle imprese e i salari.

Sarà centrale la questione delle entrate e delle spese del bilancio europeo sapendo che, se esso rimanesse incatenato alla percentuale scandalosamente irrisoria di poco più dell’1% del PIL europeo, il costo di quello che viene ormai chiamato lo Europeam Recovery Plan (che qualcuno chiama in modo abusivo Marshall Plan) inciderebbe drasticamente non solo su altre linee di bilancio “tradizionali” come la PAC (politica agricola comune) che copre attualmente il 38% delle spese europee e le più modeste linee di bilancio dell’Europa per cittadini che sono linfa vitale per le attività non profit e di volontariato ma anche per quell’altro piano che “fu” (?) al centro del programma della Commissione europea sotto il nome di European Green Deal  e per cui era stato preventivato un ammontare totale di mille miliardi di Euro.

Non vorremmo che la discussione su chi pagherà il conto fra gli Stati e degli Stati mettesse il silenziatore su problemi di società (delle società) di quella che Willy Brandt aveva chiamato la Europaeische Gesellschaft Politik (EGP) e cioè la politica della società che è ben più della politica sociale.

All’interno della politica della società vi è in primo luogo quella “clausola sociale orizzontale” che sopravvisse nella costituzione europea e poi nel Trattato di Lisbona al dibattito sulle questioni sociali (che qualcuno avrebbe voluto cancellare fra i temi della Convenzione sul futuro dell’Europa) e che recita testualmente

nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un alto livello di occupazione (sapendo che l’art. 3 del Trattato sull’Unione europea pone fra i suoi obiettivi “una economia sociale di mercato – ahimè – fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”), la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta all’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana(art. 9 TFUE).

e che ha trovato una sua traduzione politica nel Pilastro Sociale adottato a Göteborg nel novembre 2017 e che attende di essere implementato giuridicamente passando dalle parole solenni ai fatti.

Vi sono poi gli articoli  24 e 25 della Carta dei diritti fondamentali (che la Convenzione aveva inizialmente dimenticato di aggiungere) dedicati ai diritti dei minori e degli anziani per non parlare di tutto l’ex-pilastro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rimasto sostanzialmente fermo al Programma di  Stoccolma del 2010, un settore in cui è stato privilegiato un apparente diritto alla sicurezza piuttosto che la sicurezza dei diritti.

Il piano europeo per la ricostruzione, che sarà finanziariamente al centro del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (che noi chiediamo insistentemente per una periodicità quinquennale e non settennale), dovrà essere aggiuntivo e non sostitutivo delle spese attualmente previste in materia di PAC, di coesione economica, sociale e territoriale, di ricerca e sviluppo tecnologico, di fondo sociale europeo, di Europa dei e per i cittadini, di cultura e – last but not least – di azioni esterne come la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario insieme al sostegno per i paesi candidati all’adesione.

Per questa ragione noi chiediamo un ammontare complessivo quinquennale di 2000 miliardi di Euro.

Insieme e meglio al di sopra del piano europeo per la ricostruzione, la Commissione europea deve avere l’ambizione e il coraggio di elaborare, di proporre e discutere con il Parlamento europeo (che dovrebbe poi assumere la leadership costituente del suo follow up) e di fronte all’opinione pubblica un “progetto per l’Europa “ in una prospettiva di lungo periodo.

Si deve avviare un dibattito su una radicale trasformazione delle strutture economiche e sociali con elementi programmatici legati alla uguaglianza delle opportunità, alla riorganizzazione dello spazio, al ruolo delle città, alla organizzazione della mobilità, alla redistribuzione del tempo e del tempo di lavoro, alle forme della partecipazione, all’auto-organizzazione sociale e all’auto-organizzazione nell’economia e al futuro della cooperazione, alla democrazia economica, alla formazione permanente e allo sviluppo della comunicazione e dell’informazione.

In questo quadro è importante fare sempre riferimento ai diciassette Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile adottati dalle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e ispirarsi a proposte come quelle contenute nel rapporto Boosting Investments in Social Infrastructure in Europe coordinato da Romano Prodi.

E’ evidente che un progetto siffatto per l’Europa pone una questione ineludibile delle conseguenze per la democrazia, per le democrazie e sulla necessità di uscire dai riti paralizzanti dei meccanismi intergovernativi con l’obiettivo di colmare il vuoto che separa i valori insiti nelle società europee e le incrostazioni esistenti nelle istituzioni.

In definitiva e molto semplicemente si tratta di cambiare le istituzioni per rendere il sistema europeo più trasparente, più democratico e più resiliente.

 

coccodrillo