Newsletter 4 Marzo/2024

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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

Come e perché serve un’autentica difesa europea al servizio della pace

L’aggressione imperialista della Federazione Russa all’Ucraina il 24 febbraio 2022, preceduta dall’occupazione della Crimea nel 2014, ha riaperto sul Continente europeo il solco storico fra l’Occidente delle democrazie liberali - che condividono l’idea di un superamento delle sovranità assolute nel quadro del sistema comunitario ma anche della promozione delle libertà individuali nel Consiglio d’Europa - e l’Oriente delle autocrazie illiberali.

L’autocrazia non finisce a Mosca ma si estende all’Azerbajan, alla Bielorussia e al Kazakistan con evidenti pulsioni nazionaliste in tutta l’Europa Centrale e Orientale che permangono - ed anzi si sono rafforzate a causa dalle violenze putiniane - in tutti quei Paesi che hanno scelto di “passare ad Occidente” con l’adesione alla NATO e all’Unione europea o che sono candidati per superare quel solco.

Apparentemente, il grande allargamento dal 2004 al 2013 aveva lasciato sperare che si colmasse quel solco superando le tre divisioni: religiose fra cristiani d’Occidente e cristiani d’Oriente, geografiche e culturali fra mondo slavo e mondo latino che aveva permeato il mondo anglosassone, politiche e costituzionali sul rispetto dello Stato di diritto.

Ciò non è avvenuto perché i tentativi del dialogo e della cooperazione, prima con l’Unione Sovietica ai tempi di Helsinki (1975) e Parigi (1990) e poi con la Federazione Russa dal Founding Act con la NATO nel 1997 al Consiglio NATO-Russia nel 2002, si sono progressivamente interrotti per la conflittuale volontà degli Stati Uniti di George Bush ma anche di Barak Obama di consolidare il vantaggio strategico dell’egemonia americana  ottenuto con la fine della Guerra Fredda e la decisione di Vladimir Putin, dopo la momentanea presidenza di Dmitrij Medvedev, di riprendere in mano il controllo della Russia come attore internazionale e non più regionale.

Ciò non è avvenuto perché, con la ripresa del nazionalismo o, meglio, della volontà imperialista di Vladimir Putin, la reazione russofoba degli ex Paesi satelliti dell’Unione sovietica non si è indirizzata a rafforzare la sovranità europea ma a rilanciare invece ciascuno la propria identità e la propria sovranità sotto l’ombrello protettivo della NATO.

Questa nuova e solo in parte inattesa situazione geopolitica e militare ha riaperto la questione della difesa europea - settanta anni dopo la caduta della Comunità europea di Difesa - la cui soluzione appare urgente e necessaria sia per l’inconsistenza di quello che è stato realizzato finora con la inutile cooperazione strutturata permanente nel 2018 e con la cosiddetta “Bussola Strategica” nel 2022 sia per l’avvio di una vera autonomia strategica europea come pilastro della Alleanza Atlantica anche in vista delle elezioni presidenziali americane del prossimo 5 novembre e di chi entrerà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025.

L’esito del conflitto russo-ucraino è solo una parte della questione della difesa europea sapendo tuttavia che la riemergente e inarrestabile russofobia nei Paesi Baltici e nell’Europa centrale - con la sola, temporanea eccezione dell’Ungheria di Viktor Orban - esige dall’Unione europea una più ampia risposta alla richiesta di solidarietà all’Ucraina oltre al (consistente) sostegno finanziario e all’uso (irrisolto) dei 350 miliardi di asset sequestrati alla Russia.

Per quanto riguarda il ruolo dell’Unione europea nella soluzione del conflitto russo-ucraino, né il Consiglio europeo né l’Alto Rappresentante - che pure potrebbe essere autorizzato ad esprimersi davanti al Consiglio di Sicurezza a nome dei Ventisette e se i Ventisette avessero raggiunto una posizione comune - hanno mai elaborato una proposta per una via d’uscita che garantisca la sicurezza, la stabilità e la pace.

Con l’esclusione della “soluzione finale” o di una vittoria globale di Volodymyr Zelensky e cioè della liberazione dei territori occupati dalle truppe russe nel 2014 in Crimea e nel 2022 nelle regioni russofone o di una vittoria globale di Vladimir Putin e cioè con la sostituzione dell’attuale governo ucraino legittimo con un governo-fantoccio agli ordini di Mosca, ci sono tre soluzioni di cui si parla fin dall’inizio del conflitto:

Noi riteniamo che il futuro dell’Europa e in particolare della sua politica estera, della sicurezza e della difesa – sapendo che il processo di allargamento dell’Unione europea all’Europa orientale (Ucraina, Moldova e Georgia) e ai Balcani cosiddetti Occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) è una parte importante di questa politica – passa in primo luogo dalla soluzione che l’Unione europea sarà in grado di proporre e di contribuire a trovare per il conflitto russo-ucraino (e, naturalmente, per il conflitto in Medio Oriente se l’Unione europea uscirà dal suo permanente torpore rilanciando la proposta di Pedro Sanchez di una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo che fu, all’inizio degli anni ’90, di Gianni De Michelis e della diplomazia italiana).

La soluzione “austriaca”, che l’Unione europea dovrebbe proporre all’Ucraina nel quadro dei negoziati di adesione e dei programmi di ricostruzione del Paese che costeranno ben più dei 50 miliardi di Euro iscritti dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, può essere un passo importante e pragmatico sulla via della difesa europea evitando fughe in avanti come l’illusione di un’accelerazione della creazione di un esercito europeo o l’idea – buona solo per la stampa e per la campagna elettorale  – di Ursula von der Leyen di un “commissario… agli armamenti europei” senza forze armate e senza competenze.

Prima di creare un debito pubblico europeo – pur necessario e ben al di là di 1.5 miliardi di Euro che Ursula von der Leyen, ormai lanciata verso il bis, intende proporre nel suo piano strategico – il Consiglio europeo e il Parlamento europeo dovrebbero definire gli elementi essenziali di una autentica condivisione degli obiettivi di politica estera, di sicurezza e di difesa insieme ad una comune percezione delle minacce esterne, alla disponibilità alla messa in comune di strumenti di difesa ivi compresi quelli legati alla deterrenza nucleare, al servizio di missioni e di strategie comuni a sostegno della costruzione e del mantenimento della pace, alla maggiore interoperabilità delle forze armate nazionali, ad una base finanziaria comune per una graduale industria pubblica europea e per acquisti comuni, a regole comuni e vincolanti nella vendita degli armamenti a Paesi terzi.

Nella prospettiva di un nuovo Trattato-costituzionale, noi vorremmo che il titolo dedicato alla difesa europea sia preceduto da un articolo in cui si proclama che “l’Unione europea ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. L’Unione europea consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia, promuove e favorisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite rivolta a tale scopo”.

Roma, 4 marzo 2024

coccodrillo

 

 

 

 


 ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

Le sfide del processo di regolazione europeo dell’Ai e delle tecnologie digitali

Introduzione (rivista) al Webinar organizzato il 28 febbraio dal Movimento europeo e dall’Associazione Italiana della Comunicazione pubblica e istituzionale.

Il tema che tratteremo oggi è di evidente, estrema, complessità, toccando da un lato praticamente ogni disciplina da quelle più generali come la filosofia o la sociologia a quelle più settoriali come il diritto, l’economia, l’educazione sino alle discipline squisitamente tecniche-operative, dall’altro direttamente o indirettamente riguarda tutte le politiche pubbliche ed i rapporti privati. Abbiamo deliberatamente scelto di non limitarci a valutare l‘emanando regolamento sull’AI (ci dirà più dettagliatamente l’introduzione sul punto dell’On. Benefei) ma più in generale il processo regolativo sovranazionale delle tecnologie digitali che ha già prodotto quella che alcuni commentatori  hanno definito come un’ “alluvione normativa”  (dal Digital Service Act (DSA), al Digital Market Act (DMA), al Data act) che potrebbe anche recuperare la questione dei diritti dei lavoratori delle piattaforme con un voto in extremis l’11 marzo. Si tratta di un processo iniziato con la Strategia 20-30 e con il cosidetto Digital compass che ha già portato a fare della transizione digitale uno dei tre pilastri delle politiche dell’Unione insieme alla sostenibilità verde  (Green Deal) e a quella sociale (attuazione del Social Pillar) che naturalmente andrebbero assunti nella loro sinergia non atomisticamente come reso evidente anche nel Recovery plan. I tre pilastri nel loro insieme costituiscono quella “condizionalità buona” cui sono stati sottoposti gli aiuti per la ripresa post-pandemica.

Stiamo parlando del lato forte, vincente, che apre possibilità inedite, e che dovrebbe rendere noi europei orgogliosi del processo di integrazione che rafforza così le sue istituzioni mostrando come l’UE, sia comunque arrivata a sviluppare un proprio modello ed a generare nuovi istituti ed una originale narrativa della tecnologia in rapporto allo sviluppo sociale([1]).

Dal punto di vista istituzionale però esistono della fragilità e delle incertezze come la sopravvivenza anacronistica di 27 garanti che pur dovrebbero applicare tutti il diritto dell’Unione i cui orientamenti non sembrano essere sempre convergenti ( cfr. il recente caso di chiusura per la sola Italia e per pochi giorni del programma di  Chatpot GPT appena uscito e con già 100 milioni di fruitori nel mondo). C’è una parte ancora abbozzata di questo processo e cioè l’obiettivo di offrire all’80% dei cittadini europei  competenze digitali di base che dimostra che l’Unione mira non solo a dirigere il progresso tecnologico ed a renderlo  coerente con i fundamental rights ma anche a rafforzare le capacità di controllo e partecipazione dei cittadini, a riprogettare la democrazia anche se, a parte la Conferenza sul futuro dell’Unione (Cofoe),  ancora latitano i progetti e le anticipazioni di questa  nuova capacitazione partecipativa dei soggetti.

In questa materia magmatica la nostra  cartina di tornasole è la natura della scelta regolativa dell’Unione e la sua qualità oggi che i suoi prodotti sono stati quasi tutti varati e dovranno necessariamente essere tra loro coordinati ed interpretati unitariamente e  che saranno certamente sottoposti all’ortopedia della Corte di giustizia il cui timbro, grazie  all’art. 8 della Carta che dobbiamo a Stefano Rodotà, è particolarmente penetrante ed innovativo.

Sono, quindi, possibili prime valutazioni: innanzitutto sulla razionabilità ed accettabilità della metafisica influente la lunga catena regolativa e le sue sfide  e cioè il principio dell’umanesimo digitale, o di libertà dal dominio, se vogliamo utilizzare una espressione più generale ([2])

In realtà tale principio non sembra sempre accolto essendo ancora molto forti le forme di  resistenza (tra i sindacati così come nei partiti) che ancora  credono al possibile arresto dell’innovazione. Troppi epigoni, un po’ fuori tempo massimo, della Scuola di Francoforte ([3]) tengono il broncio al proprio tempo conferendo una radicale tonalità negativa ad una certa disillusione diffusasi dopo la prima fase della digitalizzazione ed alla preoccupazioni (in sé razionali) che si possano diffondere modalità di controllo oppressivo e sviamenti del gioco politico democratico. Ma questa forma di  Kultur pessimismus finisce, a mio parere, solo per indebolire il grandioso tentativo di offrire una direzione ed una prospettiva alla “grande trasformazione”, a quello che il “mitico” direttore di Wired (la rivista più autorevole degli anni ruggenti di Internet) Kevin Kelly ha definito come l’”inevitabile”([4]).

Inoltre l’ondata regolativa è coerente con le sue premesse: come si disciplina una rivoluzione tecnologica come questa? Che tipo di cautele rispetto agli evidenti rischi da quelli alla blade runner sino alle dinamiche oligopolistiche ed anticoncorrenziali ed alle denunciate  invasioni passivizzanti dei mondi della vita (cfr. l’ultimo volume di Habermas ([5]) ? Il digital constitutionalism (che in Ue ha optato per la linea forte e non solo per l’autoregolamentazione del settore, nella scelta di settori di grave  rischio e di divieti assoluti di alcune prassi) è all’altezza dei principi e degli obiettivi che declama o opererà come la Nottola di Minerva (come ha rischiato di essere lo stesso regolamento AI ACT nel non aver previsto originariamente i meccanismi di intelligenza generativa) ?

Ci sono infine gli aspetti rischiosi già ampiamente esaminati in una sterminata letteratura: gli effetti sul mondo del lavoro ([6]) e sul lavoro giudiziario ([7])che potrebbero, se non governati o bilanciati, provocare reazioni molto negative nell’opinione pubblica: aspetti sui quali anche l’UE sembra essere in affanno, se non altro nella progettazione di misure all’altezza delle sfide in corso.

Termino accennando all’altra dimensione più politico- istituzionale del tema: una cosa è disciplinare un settore, un’ altra governarlo e indirizzarlo. La competitività UE può essere solo legata, come sino ad oggi è avvenuto sul tema della privacy (con il cosiddetto Bruxelles effect), ai suoi aspetti legal-costituzionali ma senza politiche pubbliche adeguate e di caratura globale? E’ mai possibile che tra le 10 maggiori aziende tecnologiche non vi sia neppure una impresa europea e che nessuno stato (la migliore è la Francia) disponga di una sua policy su questo fronte correlata ad investimenti di un qualche rilievo? Vorrei ricordare i dubbi espressi dal Prof. Oreste Pollicino sulle pagine del Sole24ore sulla possibilità di replicare i successi del Bruxelles effect anche in questa materia (AI)  ben più delicata e strategica.

Da ultimo la questione del dominio sui dati personali (non uso l’indigeribile termine “sovranità”): anche l’imponente normativa UE è sufficiente  per arrivare a conferire ad ogni individuo la possibilità di disporre liberamente dei suoi dati?

Importanza straordinaria del tema se si assume, come necessario, che il capitalismo è ormai prevalentemente “estrattivo” e “data driven” per cui da questa utilizzazione di dubbia legalità la comunità che  produce questi dati in una sorta di “intelligenza collettiva” (per usare l’espressione di Pierre Lévy ([8]) non riceve abbastanza, non guadagna per i suoi appartenenti una libertà di partenza. Anche il sistema europeo completato sarà davvero “umanista”, senza robusti correttivi di politiche e fiscali e sociali ([9])?  

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo 

 

 

[1] Cfr. la  pregevole Dichiarazione sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale del 15.12. 2022 che rappresenta una sorta di Manifesto filosofico-istituzionale del processo di regolazione nel suo complesso. Sulla Dichiarazione rimando al mio  Diritti e principi per il decennio digitale: i tre Presidenti sottoscrivono la Dichiarazione comune in Newsletter del Movimento europeo Gennaio 2023

[2] Cfr. la Tavola rotonda su “Le iniziative dell’Unione europea sul lavoro tramite piattaforme digitali” in RGL, n.3/2022 p. 507 ss. in particolare l’intervento di Adalberto Perulli

[3]  Cfr. T.W. Adorno, M. Horkeimer Dialettica dell’illuminismo, 1974 Einaudi, p. 45: "quanto è più complicato e più sottile l’apparato sociale, economico e scientifico, a cui il sistema produttivo ha adattato da tempo il corpo che lo serve e tanto più povere le esperienze di cui questo corpo è capace".

[4] K. Kelly  L’Inevitabile , Il Mulino, 2022

[5] J. Habermas Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, Raffaello Cortina Editore 2023 

[6] Cfr. la survey appena pubblicata di E. Dagnino sul sito del Cnel su  Intelligenza  artificiale e mercati del lavoro: INTELLIGENZA ARTIFICIALE E MERCATO DEL LAVORO (cnel.it).

[7] Cfr. il parere del Febbraio 2024 del Comitato consultivo dei giudici europei per il Consiglio d’Europa Moving forward: the use of assistive technology in the judiciary che offre paletti importanti, anche se non paralizzanti l’innovazione, per l’uso dell’AI nel lavoro giudiziario: The CCJE adopts Opinion No. 26 (2023) “Moving forward: the use of assistive technology in the judiciary” - Human Rights and Rule of Law (coe.int)

[8] Cfr. la bella introduzione del Volume Il virtuale. La rivoluzione digitale l’umano, Meltemi 2023

[9] Questa necessità sembra avvertita anche dai grandi innovatori come Sam Altman, il fondatore di Open AI, società produttrice di Chatpot GBT, che insieme ad altri imprenditori della Silicon Valley, anni orsono  fondò un’associazione  filantropica (X Combinator)  con lo scopo di assicurare forme di “reddito minimo” per le zone più colpite dalla disoccupazione tecnologica  in un paese come gli USA nel quale il pubblico non garantisce neppure  l’accesso a tutti all’assistenza sanitaria.

 

 

 


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