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Newsletter n.10/2020 - Europa: zone d’ombra nello stato di diritto

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L'editoriale
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Carta dei diritti fondamentali
L'Europa dei diritti
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Emergenza sanitaria e democrazia

In un articolo su The Guardian  del 27 marzo  2020 il politologo olandese Cass Mudde ci avvertiva: “Will the coronavirus kill populism ? Don’t count on it”.

Negli stessi giorni veniva pubblicato l’indice annuale dello stato della democrazia nel mondo che mostrava una preoccupante decrescita delle democrazie cosiddette liberali o complete di cui usufruirebbe solo il 5.7% della popolazione mondiale suddiviso in 22 paesi fra cui la Norvegia al primo posto e la Svezia al terzo come paese membro dell’Unione europea. L’Italia è al 33mo posto con una media che la colloca fra le “democrazie imperfette”.

Gli studiosi dei sistemi democratici e dei regimi autoritari ricordano il libro pubblicato nel 1929 da Lord Hewart, Lord Chief of Justice of England, dedicato al nuovo dispotismo e cioè a un regime capace di subordinare il Parlamento, esautorare la Corte e i tribunali e rendere supremo il potere dell’esecutivo.

Come sappiamo, dopo la marcia su Roma del 1922 quasi tutta l’Europa è stata conquistata o invasa da regimi autoritari con l’eccezione, durante la seconda Guerra mondiale, del Regno Unito e della Svizzera neutrale.

I regimi autoritari fondavano il loro potere sulla necessità di far fronte a situazioni di emergenza per combattere contro nemici esterni o interni attribuendo ad un solo centro di comando il compito di agire e a leggi eccezionali le decisioni per affrontare con immediatezza e efficacia l’emergenza.

Novanta anni dopo il libro di Lord Hewart, il politologo australiano John Keane ha pubblicato The new dispotism dedicato al virus dei populismi al potere incontrastato in vari stati del mondo (Cina, Russia, Corea del Nord, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Siria ed altri ancora) in cui vive il 35% della popolazione mondiale ma anche ai populismi emergenti nelle cosiddette democrazie liberali.

John Keane attira la nostra attenzione sul rischio che il virus dei populismi possa diffondersi come risposta a nuove emergenze così come i regimi autoritari furono la risposta alle emergenze fra le due guerre mondiali.

Le analisi di Lord Hewart e John Keane così come l’avvertimento di Cass Mudde sono di grande attualità e interesse, non solo scientifico, di fronte alle risposte che gli Stati - in ritardo e in ordine sparso - hanno dato all’esplosione del COVID19 fra ottobre e novembre nella provincia di Hubei in Cina e da lì diffuso in tutto il mondo con un milione e mezzo (per ora) di contagiati e sessantacinque mila morti.

Ogni Stato ha adottato misure emergenziali che hanno inciso drasticamente sui diritti umani in regimi già autoritari o che hanno rafforzato i poteri degli esecutivi nelle democrazie liberali limitando la sicurezza del diritto per privilegiare il diritto alla sicurezza sanitaria ma affidandosi anche al senso di auto responsabilità delle cittadine e dei cittadini.

Le nostre costituzioni democratiche (pensiamo soprattutto a quelle europee nate dopo la seconda guerra mondiale in Europa occidentale, nella penisola iberica a metà degli anni ’70 e in una parte dell’Europa centrale e orientale dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica) non sono state attrezzate per far fronte a situazioni di emergenza sistemiche.

Esse hanno previsto solo l’attribuzione dei “poteri necessari” al governo in caso di guerra (art. 78 della Costituzione italiana) intendendo come guerra i conflitti extraterritoriali fra Stati e non turbamenti sociali o rivolte popolari e sapendo che la Costituzione italiana statuisce che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11).

Le conseguenze sanitarie, economiche e sociali del COVID19 ci hanno trovati impreparati e hanno costretto i governi ad adottare nell’urgenza misure legislative che hanno inciso sui poteri dei Parlamenti nazionali,  laddove le costituzioni prevedono sistemi multilivello, sulle competenze delle Regioni e delle città suscitando polemiche e inefficienze.

La situazione ungherese, in cui il premier Viktor Orbán ha fatto adottare dal parlamento una legge che gli attribuisce pieni poteri a tempo indeterminato, rappresenta un pericolo precedente sia perché l’emergenza sanitaria in Ungheria è molto ridotta rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei sia perché Viktor Orbán sta adottando dal 2010 leggi liberticide che mettono in discussione i principi fondamentali dello stato di diritto.

Di fronte all’instaurazione per legge di un regime autoritario le istituzioni europee, i governi degli Stati membri e i partiti politici europei a cominciare dal PPE a cui appartiene il partito di Orbán hanno reagito con inaccettabile “prudenza diplomatica” come la Commissione Von der Leyen che si è arrampicata sugli specchi dell’equilibrio fra misure di emergenza e rispetto dei diritti fondamentali affermando che stava “monitorando” la situazione o non hanno affatto reagito.

Il voto del 30 marzo nel Parlamento ungherese non è stato un fulmine a ciel sereno perché l’assemblea aveva respinto la legge il 23 marzo, non essendo stata raggiunta la maggioranza dei 4/5, essendo evidente che nel secondo voto Viktor Orbán avrebbe ottenuto la maggioranza qualificata richiesta dalla costituzione.

La Commissione europea aveva il diritto ed il dovere – fra il 23 e il 30 marzo – di “esprimere un parere motivato” sulla base dell’art. 258 TFUE chiedendo al governo ungherese di “presentare le sue osservazioni” con urgenza decidendo di adire la Corte di Giustizia se esso non si fosse conformato al parere.

Contestualmente, la Commissione europea avrebbe dovuto chiedere al Consiglio – sulla base dell’art. 7.1 TUE – di constatare a maggioranza dei 4/5 (e cioè di 22 paesi membri)  “e previa approvazione del Parlamento europeo che esiste un evidente rischio di violazione grave…dei valori di cui all’art. 2 (TUE)”.

Ci saremmo aspettati una risoluzione urgente della commissione giuridica del Parlamento europeo considerando che l’art. 7.1 TUE può essere attivato anche su richiesta dell’assemblea così come di l’azione di nove paesi membri  dato che il  trattato prevede l’intervento di un terzo del Consiglio.

Ci saremmo anche aspettati l’immediata espulsione di FIDESZ dal PPE ma nel gruppo non si è raggiunta la maggioranza dei membri e i deputati di Forza  Italia si sono schierati con Viktor Orbán.

Infine, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa avrebbe potuto attivare l’art. 8 dello Statuto, che prevede la sospensione di un paese membro che violi il principio della preminenza del diritto pur non potendoci attendere una decisione simile dal Consiglio d’Europa, dove l’Assemblea ha reintegrato il 31 gennaio 2020 nei pieni poteri i deputati della Russia, dopo la sospensione nel 2016 per l’annessione della Crimea.

Per evitare che il virus autoritario ungherese contagi altri paesi è urgente un’opera di sanificazione giuridica dell’Ungheria usando tutti gli strumenti previsti dai trattati.

Vorremmo concludere ispirandoci alle analisi di John Keane e all’allarme di Cass Mudde per sottolineare che l’esperienza del COVID19 e le lacune costituzionali di fronte a emergenza sistemiche dovrebbero spingerci ad aprire con urgenza – dopo l’emergenza sanitaria – il cantiere della democrazia europea e della difesa dello Stato di diritto.

Come Movimento europeo abbiamo avviato nel 2019 una iniziativa di cittadini europei rivolta alla Commissione e abbiamo presentato nel 2020 una petizione al Parlamento europeo.

La crisi che ha colpito  l’Unione europea e che ha messo in luce le sue intrinseche debolezze deve spingere forze politiche, partner sociali e società civile a chiedersi se lo strumento più adeguato sia quello di una “conferenza europea sul futuro dell’Europa” senza legittimità democratica e senza potere di decisione, destinata a durare ventiquattro mesi, o se non sia venuto il momento di convocare delle “assise interparlamentari” da cui scaturisca un mandato costituente al Parlamento europeo che concluda il suo lavoro democratico in tempi rapidi, coerenti con l’urgenza della stato dell’Unione europea.

coccodrillo

 


 

Iniziative della settimana

In momenti di crisi, tutto avviene più rapidamente e in maniera a volte inaspettata. Rispetto a sette giorni fa, molto si potrebbe scrivere sui passi in avanti compiuti quotidianamente nel definire una risposta all’emergenza coronavirus. Tuttavia, in questa settimana la notizia dei poteri straordinari del primo ministro ungherese Viktor Orbán, apparentemente giustificata dalla necessità di agire in maniera libera da condizionamenti per risollevare il suo Paese, conferma il carattere autoritario delle politiche del leader, note da anni. Rispetto ad esse è legittimo porsi l’interrogativo su quale rapporto ci possa essere con l’Unione europea, nata per garantire la pace, il rispetto dei diritti, l’impegno reciproco per una crescita nella direzione del benessere e della solidarietà. È da notare che i tempi istituzionali, delle decisioni legittime, sono differenti da quelli del decisionismo autoritario. Infatti, segnaliamo a tal proposito che già il 2 maggio 2018 la Commissione Europea ha formulato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per la tutela del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri. Tale regolamento dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021. Nella sezione “documenti” si potrà reperire tale proposta ed anche una interrogazione del Parlamento europeo al Consiglio, presentata il 6 marzo 2020, in cui si chiede conferma del fatto che le conclusioni del Consiglio europeo sul quadro finanziario pluriennale non interesseranno i contenuti sostanziali della proposta. L'articolo 15, paragrafo 1, TUE, stabilisce infatti che il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative e, secondo il Parlamento europeo, ciò “rappresenterebbe una chiara ingerenza nelle prerogative legislative dei colegislatori”. Il tema è complesso e richiede uno studio, ma, volendo sintetizzare, si può affermare che la carenza dello Stato di diritto non dovrebbe rappresentare un ulteriore aggravio per una Unione che ha già molte difficoltà. In un contesto del genere, in cui l’Unione europea è chiamata a decidere su questioni complesse e a volte, proprio per rispettare i principi democratici, tali decisioni richiedono tempo: quanto accaduto in Ungheria suona come il ritorno dell’ ”uomo forte”, in una situazione di stallo istituzionale. Non è certo ciò di cui si sente più il bisogno nell’Unione di oggi, che deve proseguire nella direzione di una maggiore integrazione solo affermando maggiormente lo stato di diritto e la democrazia.

Segnaliamo poi l’adesione del Movimento Europeo, con la firma del presidente Pier Virgilio Dastoli, all’iniziativa italo tedesca promossa dai Verdi tedeschi, "We are in together",  pubblicata dal quotidiano “Die Zeit” e ripresa da molti quotidiani e tv, nonché a quella del Forum disuguaglianze e diversità, perché i cittadini, in questo momento di crisi, possano sentirsi tutelati e perché possa esserci l’impegno delle istituzioni con misure di contrasto alla forbice delle disuguaglianze che, senza di esso, è destinata ad allargarsi.

La newsletter del Movimento Europeo, considerate le imminenti festività, non uscirà lunedì prossimo. Nell’augurarvi una serena Pasqua, con l’auspicio di poter assistere il prima possibile ad un miglioramento nella situazione di emergenza globale che stiamo vivendo, vi diamo appuntamento al 20 aprile.


 

In esclusiva

Si riporta l’appello del Parlamentare europeo ungherese del gruppo S&D Sandor Ronai, tra i firmatari della Interrogazione per risposta orale al Consiglio sullo Stato di avanzamento dei negoziati del Consiglio sul regolamento relativo alla protezione del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate per quanto riguarda lo stato di diritto negli Stati membri. L’on. Ronai interviene qui sull’impegno del gruppo S&D per arrivare al più presto ad un cambio di rotta rispetto alla presa di potere di Viktor Orbán e si rivolge in particolare all’Italia:

"Lo stato di diritto è stato violato in molti modi: in relazione all'ufficio del pubblico ministero, alla Corte  costituzionale, ai media, alla corruzione sostenuta dal governo. Il Parlamento continua a prendere decisioni senza un effettivo coordinamento o dibattito, non si lascia tempo ai preparativi. Sono posti sotto controllo dai tribunali in una certa misura, ma l'amministrazione Orban continua a cercare di controllare anch'essi. 

Esistevano programmi per l'istituzione di tribunali della pubblica amministrazione, controllati dal ministro della giustizia, a cui si era rinunciato a causa delle pressioni dell'Unione europea, ma si stanno ancora attivamente escogitando strumenti amministrativi e legali per ridurre l'indipendenza dei tribunali.

L'Ungheria è diventata il primo stato membro dell'UE in cui anche il blando Stato di diritto che ci era rimasto è morto, dopo una lunga malattia, grazie al disegno di legge del decreto di Orban.

Vorrei rivolgermi ai lettori in Italia con alcuni pensieri personali. Adoro personalmente l'Italia. Non solo ammiro la bellezza e la storia, ma anche la personalità degli italiani. Vorrei che sapessero che l'Europa prova dolore in questi tempi difficili. In S&D, insieme ai miei eccellenti colleghi italiani, stiamo lavorando per aiutare l'Italia e tutti gli altri paesi in Europa a superare questa crisi il più rapidamente possibile. È nostra responsabilità condivisa  garantire che l'Europa possa svilupparsi ulteriormente e diventare un continente sicuro all'indomani della crisi ".


 

Documenti chiave


 

Carta dei diritti fondamentali

Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta”. L’articolo 54, qui riportato, riassume il senso della Carta dei diritti fondamentali e di un presupposto stesso alla base della legge: nessuna rivendicazione di poteri deve degenerare in abusi. Proprio in situazioni in cui è a rischio la sicurezza dei cittadini, è già successo e purtroppo continua a verificarsi che vi siano delle violazioni della democrazia. Quanto avvenuto in Ungheria, l’accentramento dei poteri in capo a Viktor Orbán, lo testimonia. Sono situazioni che, pur tenuto conto del fatto che la Storia è un processo lineare, in cui i contesti sono in continuo movimento, si tendono a intepretare come i vichiani “corsi e ricorsi”. E purtroppo, la presa di potere avvenuta in Ungheria preoccupa, perché fondata su procedure solo apparentemente legittime e per i rischi di contagio. Ciò si è già verificato, meno di cento anni fa, nell’epoca dei totalitarismi. La Storia di oggi presenta qualche analogia con quella di ieri e, anche se i contesti sono differenti da allora, quello di Orbán è un ulteriore passo verso la deriva antidemocratica. Inoltre, è da ricordare che ben oltre la legittimazione che un qualunque governo di qualsivoglia Paese può avere sulla carta, esso può essere riconosciuto solo se vengono tutelate le libertà democratiche, i diritti sociali e civili, la libertà di pensiero e di espressione, se i diritti delle minoranze possono essere riconosciuti, se le opposizioni vengono rappresentate in un Parlamento eletto attraverso libere elezioni.

Ebbene: quanto si verifica nell’Ungheria e anche nella Polonia di oggi è in contrasto con i principi fondamentali su cui si regge l’Unione europea, che pure è già intervenuta in tale contesto. È bene ricordare che gli Stati membri della nuova Europa, che dal 2004 ha visto un consistente allargamento a ben 13  Paesi, negli anni  precedenti alla crisi hanno potuto beneficiare di consistenti sussidi da parte delle istituzioni europee. Al regresso attuale bisogna rispondere rilanciando il dibattito democratico e attuando scelte che vadano in tale direzione. Diversamente, dovranno essere presi provvedimenti che, specialmente pensando alle violazioni riscontrate nei suddetti Paesi, condizioneranno l’accesso ai fondi europei al rispetto dello stato di diritto, ponendo criteri più stringenti che in passato. Peraltro, il rispetto dello stato di diritto è sempre stato uno dei presupposti della costruzione europea. Se si volge lo sguardo indietro al progetto di Trattato sull’Unione europea del 1984, a firma di Altiero Spinelli, il quarto comma dell’articolo 4 affermava che “in caso di violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi democratici o dei principi fondamentali, potranno essere adottate delle sanzioni”. In realtà, in tale progetto, la violazione grave e persistente poteva riscontrarsi in qualsiasi disposizione del Trattato. Come si è detto nell’editoriale della settimana, è l’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea a definire l’iter istituzionale da seguire per tutelare i valori europei consistenti in “dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.


 

L'Europa dei diritti

Proprio durante la stesura di questa newsletter, nella scelta degli argomenti da riproporre in questa rubrica, il 2 aprile è arrivata la notizia della condanna di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca da parte della Corte di Giustizia dell’Ue per il rifiuto di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti asilo creato nel 2015. La Commissione Europea aveva presentato ricorso per inadempimento: la Corte lo ha accolto rimarcando due violazioni. In primo luogo, ha sia riconosciuto l’inadempimento da parte degli Stati membri in questione della decisione del Consiglio, adottata nel 2015, per il ricollocamento su base obbligatoria, dalla Grecia e dall'Italia, di 120mila richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri. Inoltre, la Polonia e la Repubblica ceca, secondo i giudici, sono venute meno anche agli obblighi derivanti da una decisione precedente del Consiglio, relativa al ricollocamento, su base volontaria, di 40mila richiedenti asilo dalla Grecia e dall'Italia. Per quest’ultima decisione, solo l'Ungheria non era vincolata dalle misure previste. In attesa della pubblicazione della sentenza, è possibile leggere un primo comunicato stampa cliccando qui.

Ma non è l’unico caso in cui la giustizia europea interviene su questi Paesi, anzi, la trattazione potrebbe decisamente eccedere gli spazi di questa newsletter. Ne segnaliamo un altro, abbastanza recente. Il 2 ottobre 2018, infatti, la Commissione Europea ha presentato un ricorso per inadempimento contro la Repubblica di Polonia, in cui si è riscontrato il sostegno a tale Stato da parte dell’Ungheria. La Commissione ha chiesto alla Corte di “dichiarare che, da un lato, abbassando l’età per il pensionamento dei giudici nominati al Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) e applicando tale misura ai giudici in carica nominati presso tale organo giurisdizionale prima del 3 aprile 2018 e, dall’altro, attribuendo al presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva dei giudici di tale organo giurisdizionale al di là dell’età per il pensionamento di nuova fissazione, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in base al combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Il 24 giugno 2019, la sentenza della Corte ha dato ragione alla Commissione Europea, riconoscendo che la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Sia Polonia che Ungheria sono state condannate, ciascuna per la propria parte, al pagamento delle spese processuali. Per maggiori informazioni, il testo della sentenza è disponibile cliccando qui.


 

Consigli di lettura

Questa settimana, abbiamo individuato un saggio dal titolo “Stato di diritto o ragion di stato? La difficile rotta verso un controllo europeo del rispetto dei valori dell’Unione negli Stati membri” a firma del prof. Roberto Mastroianni, docente ordinario di diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli. È reperibile sulla rivista on line Eurojus, cliccando su questo link, ed è stato anche inserito nel tomo 1 dei “Dialoghi con Ugo Villani, Bari, Cacucci, 2017”. L’Unione europea è qui definita come “una comunità di diritto”, dotata degli opportuni strumenti, previsti dai trattati, per intervenire nel caso in cui si ritenga che all’interno di uno Stato membro avvengano violazioni dei principi alla base dell’appartenenza alla stessa. Sono sia lo spirito ideale di padri fondatori come Altiero Spinelli, di cui viene ricordato il progetto di Trattato del 1984, sia l’articolo 7 del TUE a ricordarci come intervenire in situazioni simili e tale saggio ripercorre questi passaggi, riprendendo tra l’altro i casi trattati anche in altri punti di questa newsletter, riguardanti Polonia e Ungheria.


 

Agenda della settimana

 

Lunedì 6 aprile

Consiglio dei ministri, Videoconferenza dei ministri della giustizia. L'attenzione si concentrerà sulle misure introdotte dagli Stati membri nel settore della giustizia in risposta alla pandemia di COVID-19. Gli argomenti discussi: modifiche ai metodi di lavoro degli organi giudiziari e delle professioni legali, sfida rappresentata dal superamento delle frontiere nel settore della cooperazione giudiziaria, sospensione delle procedure concorsuali e di esecuzione, diritti procedurali nei procedimenti penali, nelle pene detentive, con particolare enfasi sulla situazione nelle carceri e nelle strutture di detenzione dato il pericolo di una epidemia di COVID-19. I ministri si scambieranno inoltre informazioni sulle sanzioni previste per la violazione delle restrizioni imposte dagli enti pubblici e se si siano verificati nuovi reati. Inoltre, valuteranno se siano da prendere altre iniziative nel settore della giustizia a livello UE nel contesto della pandemia.

Videoconferenza dei ministri degli affari esteri (difesa). I ministri della difesa terranno una videoconferenza sulle implicazioni militari della pandemia COVID-19. All'ordine del giorno: assistenza militare fornita dalle forze armate a livello nazionale per contenere la diffusione del virus, discussione sull'impatto che la pandemia sta avendo sulla politica di sicurezza e di difesa comune, sulle missioni e operazioni in paesi terzi. L'incontro sarà presieduto da Josep Borrell, Alto Rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

La Presidente Ursula von der Leyen incontrerà in videoconferenza Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo.

La Vicepresidente Margrethe Vestager incontrerà in videoconferenza John Ridding, CEO del gruppo Financial Times.

Il Commissario europeo per le partnership internazionali Jutta Urpilainen incontrerà in videoconferenza Emanuela Claudia Del Re, Ministro italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 

Martedì 7 aprile

La Commissione del Parlamento europeo per la pesca esaminerà la proposta che modifica il Regolamento europeo del Fondo marittimo e della pesca (FEAMP) e quello sulle disposizioni comuni. L'obiettivo è quello di fornire misure specifiche e più flessibili per mitigare l'impatto dello scoppio del COVID-19 nel settore della pesca e dell'acquacoltura. La proposta FEAMP in senso lato tratta di cessazioni temporanee, aiuti finanziari ai produttori di acquacoltura, aiuti a favore dello stoccaggio e riassegnazione semplificata dei fondi del programma operativo nazionale.

L'Eurogruppo si riunirà di nuovo in videoconferenza per una risposta coordinata alle ricadute economiche della pandemia COVID-19, a seguito dell'invito dei leader dell'UE del 26 marzo 2020.

Videoconferenza dei ministri della ricerca

Il Commissario agli Affari interni Ylva Johansson terrà una videoconferenza informale con i ministri per la giustizia e gli affari interni

Il Commissario per l‘Allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi incontrerà in videoconferenza Giorgi Gakharia, Primo Ministro della Georgia.

Il Commissario per la Giustizia Didier Reynders incontrerà in videoconferenza Isabelle Schömann, Segretario confederale della Confederazione europea dei sindacati.

 

Mercoledì 8 aprile

Giornata mondiale della salute, che viene celebrata ogni anno in occasione dell'anniversario della fondazione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1948 e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla salute pubblica quale priorità. Considerato che attualmente infermieri e altri operatori sanitari sono in prima linea nella risposta al COVID-19, quest'anno gli Stati celebreranno il loro lavoro, per ricordare ai leader mondiali il ruolo fondamentale che svolgono nel mantenere tutto il mondo in salute.

Videoconferenza dei ministri degli Affari esteri sul tema dello sviluppo

Videoconferenza dei Ministri della cultura. All'ordine del giorno: discussione sull'impatto della pandemia COVID-19 nel settore della cultura.

Commissione Europea - Incontro in videoconferenza su: relazione sull'impatto del cambiamento demografico, rafforzamento dell’impegno europeo nei Balcani occidentali - Il contributo della Commissione al Vertice dei Balcani dell’Europa occidentale.

Il commissario Didier Reynders parteciperà a un webinar sullo stato di diritto e sul futuro dell'Europa: "L'importanza di salvaguardare lo stato di diritto per il futuro dell'Europa", organizzato dal Center for European Policy Studies (CEPS).

 

 

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