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Il futuro del modello sociale europeo tra applicazione del Social Pillar e revisione dei Trattati (*)

Introduzione rivista ed aggiornata al Webinar organizzato l’8.4.2024 dalla Labour Law Community, dal  Movimento europeo- Italia e da  Europe Direct Chieti

   1.  Dalla Conferenza sul futuro dell’Unione alla richiesta di revisione dei Trattati del Parlamento europeo. In questa introduzione mi concentrerò nella ricostruzione del Progetto del Parlamento europeo di revisione dei Trattati, che ha attivato formalmente la procedura prevista all’art. 48 TUE con la conseguente richiesta al Consiglio europeo di convocare una Convenzione, con la Risoluzione del 22.11.2023, approvata  con una risicata maggioranza di 291 voti a favore e 271 contrari ed oltre 100 tra assenti ed  astenuti (i “si” sono stati circa il 40% degli aventi diritto).

 Si può però comprendere questo “ azzardato”  voto del PE solo se lo si ricollega al tentativo di investire il  consenso e l’indubbia efficacia delle politiche promosse dalla cosidetta “maggioranza Ursula” nella prima parte della legislatura in corso  (dallo Sure al Recovery Plan , dai provvedimenti del digital compass  a quelli di  attuazione del Social Pillar)  in una riforma organica delle regole di funzionamento dell’Unione, capace di renderla una più solida e stabile costellazione politica a carattere sovranazionale rispondente più univocamente a principi di natura costituzionale  consolidati su base continentale (non voglia usare il termine “federale” perché potrebbe ingenerare qualche equivoco non essendo ancora molto chiaro quale, tra i tanti modelli di stato federale oggi conosciuti,  sia pertinente per il futuro dell’Unione).  Insomma si è pensato con la decisione di aprire ufficialmente il cantiere delle riforme costituzionali dopo ben 17 anni dalla stipula del Lisbon Treaty  e di poter  capitalizzare il cosidetto hamiltonian moment, la straordinaria capacità dimostrata dal sistema europeo di saper superare le politiche di austerity mettendo in campo strumenti di intervento solidaristici ed innovativi a protezione e nell’interesse di tutti i cittadini dell’Unione per far fronte alle sfide della crisi pandemica. Si intendeva (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) quindi rendere più democratiche e più trasparenti le politiche decisionali dell’Unione  ed al tempo stesso rafforzare (rendendoli egemonici) gli elementi ordinamentali di natura sovranazionale rispetto a quelli di matrice intergovernativa in una direzione ispirata dal Manifesto di Ventotene ([1]) e dal migliore costituzionalismo europeo di archiviazione della “sovranità assoluta” degli stati nazionali che oggi continua ad esprimersi nella regola dell’ unanimità  in moltissime decisioni a carattere strategico.

Come si accennava ha giocato senz’altro a consigliare il tentativo  del PE di determinare una  “svolta” istituzionale pro-europe il varo di un Piano organico  di attuazione del Pilastro Sociale ed i primi spettacoli atti legislativi collegati al Pillar dalla direttiva sul salario minimo a quelle sulla trasparenza dei rapporti di lavoro e,ancor prima, la nuova direttiva sui distacchi, anche “a catena”  (che ha posto fine alla cosidetta Laval querelle sul principio di parità tra lavoratori distaccati e lavoratori del paese ospitante).

 Una prova di forza del PE per uscire dai meccanismi intergovernativi rafforzando gli organi sovranazionali insieme all’efficienza decisionale dell’Unione.  

L’occasione (o il pretesto) è stata proprio la conclusione, dopo un anno di lavori, il 9 maggio2022 della Conferenza sul futuro dell’Unione (CoFoe), voluta soprattutto dal Presidente Macron per consolidare il rilancio del progetto europeo svoltasi con una certa indolenza nel primo periodo di attività ma poi molto effervescente sul finale dei lavori anche sotto il profilo della partecipazione attraverso l’innovativa piattaforma (si stimano in circa 700.000 i momenti individuali i di collaborazione). La CoFoe concludeva i suoi lavori con 49 proposte generali ed oltre 315 misure concrete. Proposte e misure  in molti casi piuttosto atecniche e  generiche ([2]) ma che comunque alludevano univocamente ad un’Unione più forte, meno legata agli interessi nazionali, capace di decidere e di strutturare una rete di protezione e tutele efficaci e determinanti per il benessere dei cittadini europei , sulla base di un rafforzamento della democrazia partecipativa nell’Unione e di valorizzazione del ruolo e della capacità direttrice degli organi non a carattere intergovernativo, in particolare del Parlamento.

Il giorno dopo l’allora Presidente del PE David Sassoli presentava queste conclusioni come una forte richiesta implicita di modifica dei Trattati perché molte delle misure risultavano incompatibili con la loro formulazione;  alcuni leader europei come Macron e Schultz, e con qualche timidezza Draghi, accennavano a questa necessità, cosi come in alcuni discorsi la stessa Presidente  della CE (con particolare riferimento alla fine dell’unanimità come criterio di voto per il Consiglio in alcuni settori).

Si apriva quindi una sorta di polemica istituzionale: il Consiglio dichiarava che il 95% delle proposte della CoFoe potevano essere realizzate senza cambiare il Trattato di Lisbona; la Commissione opportunisticamente precisava che si poteva iniziare con il recepire quelle misure compatibili con i Trattati ma senza escludere cambiamenti costituzionali  mentre il Parlamento tirava dritto.

IL PE con due risoluzioni chiedeva di attivare la procedura ordinaria di modifica dei Trattati ex art. 48.3 TUE nominando una Convenzione; una prima risoluzione più equivoca e sintetica sembrava incentrarsi sulla fine del diritto di veto in politica estera; una seconda invece investiva un po’ tutti gli aspetti dell’architettura istituzionale UE, anche sul punto delle competenze, dando mandato alla Commissione affari costituzionali (AFCO) di articolare un progetto organico di modifiche poi da sottoporre al plenum. Quest’ultima risoluzione è rimasta nei cassetti dell’AFCO, salvo la nomina di sei relatori dei maggiori partiti europei coordinati dal liberale  Guy Verhofstadt, che non ha mai richiesto in un arco di tempo di oltre un anno pareri di giuristi o di altri attori istituzionali  dello scenario UE, almeno ufficialmente. In ogni caso a settembre 2023 veniva annunciato un accordo di 5 relatori su sei (verdi, liberali, left, socialdemocratici e popolari)  su di un progetto che escludeva il sesto partito ECR (di cui fa parte Fratelli d’Italia) che pur avevano un relatore.  Il 22.11.2023 il progetto è stato votato con emendamenti peggiorativi cui accenneremo ma l’accordo prima stipulato è sembrato traballare perché, ad esempio,  al voto del plenum, nella Left su 26 membri 20  hanno votato contro, 20  socialdemocratici hanno fatto lo stesso, così molte decine di  contrari  ed astenuti  sono emersi nelle fila del PPE. La maggioranza, vista l’importanza della decisione, appare molto risicata e non sussiste rispetto agli aventi diritto. A ciò si deve aggiungere che su aspetti qualificanti le proposte dell’AFCO non sono passate.

             2. Le proposte di modifica dei Trattati

In estrema sintesi le proposte di modifica sono numerose decine e riguardano entrambi i Trattati (TUE e TFUE)  e si possono riassumere  così:

  1. Per quanto riguarda le competenze l’UE acquisirebbe la competenza esclusiva sugli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici; la politica estera e di sicurezza comune diventerebbero competenze concorrenti, con salute, industria ed educazione.
  2. Per i sistemi di voto il PE diventerebbe codecisore in questioni chiave come politica estera e di difesa, la cooperazione penale ed il coordinamento delle politiche economiche e sociali degli stati membri, i negoziati internazionali e l’approvazione del  quadro finanziario pluriennale.
  3. Il Consiglio per regola generale dovrebbe esprimersi a maggioranza qualificata, in certi casi semplice o a maggioranza qualificata rafforzata. Anche se non rappresenterebbe la fine del potere di veto (che rimarrebbe su alcune decisioni) vi sarebbe un notevole indebolimento del suo ambito  di applicazione ed un’allusione vigorosa ad un modello bicamerale tra PE e Consiglio.
  4. Sulla nomina della Commissione si invertirebbe l’attuale procedura per cui il Presidente verrebbe indicato dal Parlamento e dopo il Consiglio dovrebbe votarlo a maggioranza semplice. I candidati sarebbero scelti dal Presidente e quindi eletti dal PE e successivamente ratificati in blocco dal Consiglio europeo. Il Presidente della CE (chiamato ora dell’ “Esecutivo”) guiderebbe i Consigli europei. Una modifica importantissima riguarderebbe l’attribuzione al PE del diritto di iniziativa legislativa e di poter richiedere alla Corte di giustizia di attivare la procedura di infrazione per gli stati membri che violano il diritto dell’ Unione.
  5. Circa la protezione dei valori si tornerebbe al cosidetto “ Trattato Spinelli”, votato dal PE nel 1984 delegando la Corte di giustizia alla valutazione delle violazioni dei valori di cui all’art. 2 TUE; per le sanzioni (anche di sospensione dai fondi strutturali) si potrebbe decidere a maggioranza qualificata.
  6. Sul fronte sociale, il Social Pillar e la Carta di Nizza diventerebbero rilevanti nella sorveglianza macroeconomica e sarebbero inseriti nell’art. 151 TFUE di orientamento generale del capitolo sociale dell’Unione; in tutti le ipotesi previste dall’art.  153 per l’approvazione dei minimi di trattamento si potrebbe deliberare secondo la procedura ordinaria; si aggiungerebbe  alle ipotesi di regolazione già operanti  le “giuste transizioni” e l’ “anticipazione del cambiamento” nonché il “sostegno all’ edilizia  popolare” (153) . Si precisa infine  che le misure adottate ex art. 153 non possano costituire una valida ragione per diminuire il livello di protezione dei lavoratori negli stati membri. La modifica davvero significativa è quella di un Protocollo sociale annesso all’art. 9 TFUE che determini i modi di contemperamento tra protezione dei fundamental social rights e le politiche dell’Unione di cui peraltro si era parlato nel vertice di Porto del 2022. All’art. 151 si propone che “ specifiche previsioni sulla definizione ed implementazione del progresso sociale e delle relazioni tra diritti sociali fondamentali e altre politiche dell’Unione saranno definite in un Protocollo di Progresso sociale nell’UE annesso ai Trattati”.

Tra gli emendamenti ai Trattati  dell’AFCO che il plenum non ha confermato, che mortifica e non di poco il progetto complessivo, è la revisione  dell’art. 311 TFUE che prevede l’unanimità in caso di modifica del quadro delle risorse proprie nel bilancio UE  che continuerebbe ad ostacolare l’adozione di nuovo debito comune  e soprattutto la definizione di nuove entrate stabili per il bilancio comune (premessa anche per i cosidetti eurobond), così come è sparita l’idea di referendum paneuropei. Incredibilmente si è mantenuto  il tabù per le azioni legislative sociali dell’Unione fissato al 153.5 (sciopero, retribuzioni e rappresentanza) la cui cancellazione non è stata prevista neppure dall’AFCO ([3]).

La richiesta PE è stata  comunque quella della nomina di una Convenzione scartando altre ipotesi per cambiare le regole UE previste al  comma   6  del comma 7 dell’art. 48, che potrebbero avere operatività nel settore sociale e per la governance economica ma non al di fuori di questi settori e che  non consentono l’introduzione di nuove competenze. Neppure si è considerata la possibilità che vi siano “adeguamenti “ ai Trattati in sede di allargamento a paesi terzi ex art. 49 TUE  che, però, potrebbe essere chiamata in gioco quanto l’allargamento diventerà operativo con i Trattati di adesione.

Su richiesta della Presidenza spagnola il Consiglio, come previsto dalla procedura dell’art. 48, ha trasmesso al Consiglio europeo l’insieme di modifiche suggerite e quest’ultimo dovrà deliberare se nominare o meno una Convenzione a maggioranza semplice; il Consiglio europeo  ha reso pubblica la sua intenzione di non decidere prima delle elezioni ma dopo il 9 giugno,  presumibilmente alla riunione prevista a fine Giugno ( l’art. 48 non stabilisce tempi di decisione per i quali dovrebbe valere solo il principio di leale collaborazione). Poco prima del voto del 22.11.2022  13 paesi hanno sottoscritto  un non paper nel quale concordavano sull’inopportunità di cambiare i Trattati e sulla possibilità di concretizzare le proposte CoFoe a Trattati immutati, eventualmente  attivando le “clausole passarella” per passare a sistemi di voto a maggioranza di voto ma senza dare corso ad una riforma organica. In un drammatico incontro di pochi giorni fa tra i membri dell’AFCO e la vice presidente della CE (che pur aveva caldeggiato  l’ipotesi di una riforma complessiva della trama dei Trattati ) quest’ultima  ha dichiarato che non sussistono in questa fase le condizioni di una riforma  del genere perché si stima che la maggioranza degli stati membri sia contraria ( pare 19 o 20  stati su 27). Nel documento del 20 marzo del 2024 della CE  “on the enlargement reforms and policy reviews” ([4]) si afferma espressamente che “ while the Commissione has indicated its support to treaty change “if and where it is needed” it belivies that the EU’s governance can be swiftly improbe by using to the full the potential of the current Treaties”; insomma la CE non spingerà per cambiare i Trattati e ritiene questa prospettiva oggi  piuttosto  irrealistica.   

          3. Verso una “fase” costituente? Il progetto del PE nel suo complesso manca forse nell’insieme di un’ispirazione e di una chiara visione dell’avvenire (i grandi costituzionalisti europei non sono, e questo si vede, intervenuti) ma realizzarebbe conquiste di notevole rilievo in  termini di trasparenza, efficacia e razionalità delle politiche UE, passi in avanti (soprattutto nella tutela dei valori dell’Unione e nei poteri di iniziativa del PE) nell’approfondimento (deepining) del processo di integrazione ed anche di  strutturazione ulteriore del capitolo sociale dell’Unione rafforzando nella governance macroeconomica l’attenzione ai parametri sociali ([5]). Non è detto però che si possa con questa proposta ex se superare verso una maggiore integrazione l’equilibrio tra elementi intergovernamentali e elementi sovranazionali dell’ordinamento UE sin qui raggiunto (l’”ermafrodito” di  Giuliano Amato) soprattutto perché il progetto  non disciplina il ruolo, spesso prater legem ,del Consiglio europeo di decisore nei fatti di ogni  questione di qualche rilevanza e comunque di tutte quelle a carattere di straordinarietà, nonostante i Trattati gli assegnino solo compiti di elaborazione delle grandi strategie  di lungo periodo dell’UE. Sul punto cruciale delle risorse proprie dell’Unione e della possibilità di costruire un debito pubblico paneuropeo, peraltro, la proposta nulla aggiunge allo status quo. Ma in ogni caso non vi sono opportunità concrete per procedere in avanti lungo la direzione indicata dal PE perché i governi sono a larga (forse addirittura larghissima) maggioranza contrari. Il Testo del 22.11 comunque dovrebbe rappresentare il minimo comun denominatore di ogni riforma futura, allorché ve ne siano le condizioni, soprattutto politiche. Giuridicamente  è persino incerto che il progetto non sia destinato a decadere con la legislatura come gli atti non definitivi del PE, anche si potrebbe considerare come un atto anche del Consiglio che lo ha trasmesso al Consiglio europeo come prevede l’art 48 TUE.

La proposta del Movimento Europeo-Italia ([6]) è quella del varo di una legislatura costituente (incentrata sul nominando PE) che allarghi l confronto tra Parlamento UE e Parlamenti nazionali, in un dialogo stretto con la società civile, le parti sociali, i partiti, gli enti di ricerca, il mondo degli esperti del diritto ([7] )sulle riforme da realizzare sul modello perseguito nel 1984 per definire il “progetto Spinelli” approvato dal PE nel 1984. Le ipotesi di riforma alla fine di questa complessa fase potrebbero essere convalidate da un’Assise sovranazionale che riunisca davvero la sfera pubblica continentale e consacrate da qualche forma di consultazione referendaria, in modo da non cadere da subito (prima ancora che si sia fortificato un disegno davvero riformatore) negli ingranaggi mortificanti l’innovazione istituzionale dell’art. 48 TUE che riserva comunque alla conferenza intergovernativa la parola decisiva. Ma mentre si cerca di far decollare il dibattito sulle “regole” coinvolgendo il più possibile i cittadini e le loro associazioni occorrerebbe con determinazione proseguire nelle politiche strategiche dell’Unione della transizione digitale, sostenibilità ambientale e sociale anche al di là dell’implementazione del Recovery (i cui effetti termineranno nel 2026) cercando di conferire una qualche continuità alle policies di questi anni. Il Manifesto redatto negli ambienti dell’Istituto universitario europeo alla fine del 2023 ([8]) ha generato un imponente dibattito sui beni pubblici europei , fiscalità comune e debito condiviso, che ha avuto risonanza anche nel Report per la CE di Enrico Letta sul mercato unico ([9]) ed anche nell’anticipazione che Mario Draghi ha fatto del suo Report (previsto per Luglio) il 17 aprile in Belgio sulla competitività economica dell’Unione. Si tratta di una prospettiva sulla quale attualmente c’è un rifiuto energico della Germania e dei paesi più ortodossi “ frugali” che però - dopo le elezioni- potrebbe allentarsi di fronte all’evidenza che senza investimenti massicci nell’innovazione tecnologica e nei settori connessi come educazione, formazione, inclusione sociale, che trascendono la portata dei singoli stati, per l’Europa non residua alcuna possibilità di attuare il proprio modello di sviluppo e di affrontare le sfide globali che non possono essere vinte solo con la risorsa, in cui l’Unione eccelle, della legislazione garantista e protettiva dei diritti fondamentali. Questo piano può forse essere lo spill over perché la questione delle “regole” costituzionali dei Trattati possano davvero entrare in agenda vincendo le resistenze nazionali . In tanti dibattiti, anche di questi giorni, i firmatari del Manifesto come Giuliano Amato hanno ribadito che le questioni fiscali e le risorse attribuite centralmente agli stati sono state spesso la leva delle trasformazioni federali o del rafforzamento del potere federale , come in USA con il New Deal. La dinamica di sviluppo dell’Unione sembra essere stata già spinta in una sorta di contraddizione performativa; il Recovery ha indotto tutti gli stati ad attivare quelle politiche strategiche dell’Unione (digital, green and social) che sono le condizioni per ottenere gli aiuti, ma gli stati da soli non sembrano poter portare a pieno compimento queste politiche, per giunta dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, perché non vi saranno i margini economici per farlo. Si tratta di beni pubblici europei per i quali il convergente conseguimento degli obiettivi è insostituibile. Una pressione per la riforma dei Trattati proviene obiettivamente anche dal dossieur dell’allargamento: il PE con la risoluzione del 29 febbraio ([10]) e la CE con la comunicazione del 20 marzo già ricordata hanno già chiesto recentemente che deepining e enlarging vadano insieme; la CE ha prospettato che l’allargamento possa essere il catalizzatore di profonde riforme tra le quali potrebbe rientrare anche il sistema decisionale sovranazionale che certamente non può tollerare ancora il criterio dell’unanimità su 36 stati membri o una Commissione a 36 componenti.

Una legislatura costituente del nuovo Parlamento europeo si potrebbe sviluppare combinando temi costituzionali con urgenze di straordinario rilievo anche materiale per il benessere e la protezione dei cittadini del vecchio continente che difficilmente sembrano gestibili con le regole di 17 anni orsono, introdotte dopo la catastrofe referendaria del 2005.    

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo

         

(*) pubblicato il 9 maggio 2024 sul sito di Labour Law Community

 

[1] Il Manifesto di Ventotene viene richiamato nelle premesse della Risoluzione del PE come se fosse una fonte di diritto o un Testo di natura istituzionale

[2] Si veda ad esempio le proposte CoFoe sui  mercati del lavoro “Proponiamo di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro in modo da garantire condizioni di lavoro più eque e promuovere la parità di genere e l’occupazione, ivi compreso quella dei giovani e dei gruppi vulnerabili. L’Unione, gli Stati membri e le parti sociali devono adoperarsi per porre fine alla povertà lavorativa, affrontare i diritti dei lavoratori delle piattaforme, vietare i tirocini non retribuiti e garantire una mobilità equa dei lavoratori nell’Unione. Dobbiamo promuovere il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. Dobbiamo garantire la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, compresi i suoi obiettivi principali pertinenti per il 2030, a livello dell’Unione e a livello nazionale, regionale e locale in materia di “pari opportunità e accesso al mercato del lavoro” e di “condizioni di lavoro eque”, nel rispetto delle competenze e dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché includere nei trattati un protocollo sul progresso sociale” al tracciamento del miglioramento del tenore di vita….” 

[3] Cfr. L. Lionello Il Parlamento europeo apre la procedura di riforma dei trattati: il significato del voto e le priorità per l’Europa, in  I quaderni federalisti, 2023; Perché abbiamo bisogno di una Convenzione per modificare i Trattati, Memorandum MFE in l’Unità europea Gennaio-febbraio 2024  

[4] COM (2024) 146 final

[5] Che oggi può contare dall’Ottobre del 2023 del Social Convergence Mechanism  che obbliga la Commissione nel quadro della valutazione dei piani di riforma nazionali nel semestre europeo a porre la sua attenzione su alcuni parametri di attuazione del Pilastro sociale come li numero dei poveri, dei disoccupati, degli abbandoni scolastici etc. da parte degli stati membri, anche se non è chiaro con quali, eventuali, poteri di intervento e di sanzione.  

[6] PV Dastoli Insieme dal 9 giugno per una costituente europea, in newsletter Movimento Europeo-Italia

[7] A cominciare dalle scuole costituzionali in gran parte oggi arroccate su posizioni agnostiche: cfr. a cura di G. Martinico, L. Piedominici Miserie del sovranismo giuridico. Il valore aggiunto del costituzionalismo europeo, Roma 2023   

[8] The European Union at the Time of the New Cold War. A Manifesto - Il Sole 24 ORE); sulla linea dei beni pubblici europei cfr. il Libro Verde del Movimento europeo-Italia Scriviamo insieme il futuro dell’Europa, Editoriale Scientifica, 2024; M. Buti, M. Messori Europa. Evitare il declino economico europeo. Glossario per un apolitica economica europea. Ed, Il sole 24ore 2024  

[9]  E. Letta, Much more than a market Much more than a market.pdf

[10]  Dal titolo “ Approfondire l’integrazione dell’UE in vista dell’allargamento” P9_TA (2024) 0120