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Italia isolata nella corsa per i vertici Ue. Dieci priorità per l’Unione

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Com’era prevedibile, il primo incontro al vertice dei capi di Stato e di governo del 28 maggio – preceduto dalla riunione fra le famiglie politiche – si è concluso con una sostanziale presa d’atto che Manfred Weber, entrato in corsa nella prima fila della griglia di partenza, era retrocesso in seconda fila e che era stato raggiunto un tacito consenso fra i leader su tre punti chiave:

- Il metodo degli Spitzenkandidaten (le candidature alla presidenza della Commissione scelte dai partiti politici europei prima delle elezioni) non deve essere applicato automaticamente ma è solo un “valore aggiunto” nella scelta del candidato-Presidente
- Le nomine dei vertici europei (Commissione, Consiglio europeo, “ministro degli esteri”, Presidente del PE, Presidente della BCE) devono tener conto dell’equilibrio di genere
- La presidenza della BCE deve essere sottratta alle scelte politiche.

Il risultato delle elezioni europee ha indebolito alcuni capi di governo che si sono presentati al tavolo del negoziato come semplici gestori di affari correnti (Tsipras, Michel, May, Sipila) o erano addirittura assenti perché caduti in disgrazia alla vigilia del 26 maggio (Kurz). Il capo del governo nella posizione peggiore era Giuseppe Conte, il cui isolamento è apparso evidente. Anche perché, non appartenendo ad alcuna delle tre famiglie politiche, popolare, socialista e liberale, non ha partecipato ai prevertici che si sono tenuti prima che iniziasse il vertice informale. Incontri nei quali – com’era ovvio – sono cominciati i pourparler e gli scambi di opinioni e di informazioni sulla stagione delle nomine che si sta aprendo.

Nella scelta dei leader delle istituzioni si intrecciano tre livelli di conflitto:

- fra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo
- fra i partiti europei
- fra i governi

in un puzzle che sarà difficile da comporre e al quale si aggiunge l’incertezza sul dossier della Brexit (Theresa May ha partecipato al vertice informale).

Per quanto riguarda la presidenza della Commissione sono escluse in partenza due ipotesi parlamentari numericamente e politicamente impraticabili:

- Un’alleanza di sinistra-centro (ipotizzata dal leader socialdemocratico Timmermans) con S&D, ALDE, Verdi e GUE cui mancherebbero sedici voti e che comunque non avrebbe la maggioranza qualificata nel Consiglio europeo
- Un’alleanza di destra-centro (ipotizzata da Salvini ma esclusa dal PPE) con il PPE e i costituendi gruppi cosiddetti sovranisti che comprendono in particolare i conservatori britannici e polacchi insieme ai deputati di Fratelli d’Italia, l’ancora ipotetico gruppo con Farage e i 5 Stelle, il gruppo RN (Le Pen)-Lega (Salvini).

Il presidente della Commissione può nascere dunque solo da un compromesso fondato su un accordo fra la maggioranza qualificata nel Consiglio europeo (che esclude l’ipotesi di una minoranza di blocco dei paesi di Visegrad ancorché integrati dal sostegno del governo italiano) e la maggioranza assoluta del PE, due maggioranze che comprendono i rappresentanti del PPE, di S&D e dell’ALDE o almeno un’ampia parte di queste famiglie politiche. Resta aperta la questione sulla volontà dei Verdi di partecipare a queste maggioranze.

All’interno delle famiglie politiche ci sono due leader e un partito europeo che possono far pesare la forza che deriva loro dal risultato elettorale: Emmanuel Macron con la delegazione nazionale più forte nell’ALDE, Pedro Sanchez con la delegazione nazionale più forte fra i socialisti e l’autorità che gli deriva dall’essere il solo capo di un governo europeista uscito vincitore dalle elezioni e i Verdi che rappresentano la famiglia politica rafforzata da un incontestabile successo elettorale.

Essi potranno far giocare il loro peso nel Consiglio europeo e nel Parlamento europeo non solo sulla scelta del nome del Presidente della Commissione (oltre che del Presidente del Consiglio europeo e del “ministro degli esteri”) ma soprattutto sul contenuto del programma della prossima legislatura sapendo che il Consiglio europeo dovrà presto adottare l’Agenda Strategica 2019-2024.

Ci sono a nostro avviso dieci elementi essenziali (di contenuto e di metodo) che dovrebbero essere imposti da Macron, Sanchez e dai Verdi al PPE nel quadro di un accordo politico che vada al di là dei nomi:

1. La priorità degli obiettivi dello sviluppo sostenibile e dunque dell’Agenda 2030 da inserire in particolare nelle prospettive finanziarie pluriennali
2. La revisione delle regole finanziarie adottate fra il 2012 e il 2014 con particolare riferimento al Fiscal Compact
3. L’elaborazione di un Social Compact come follow-up giuridico e politico del Pilastro Sociale adottato a Goteborg
4. La periodicità quinquennale e non settennale delle prospettive finanziarie fondate su vere risorse proprie
5. Un bilancio dell’Eurozona, fondato su un’autonoma capacità fiscale e su obiettivi di investimenti strutturali e sociali a lungo termine, e impegni precisi per il completamento dell’UEM
6. La riapertura del negoziato sulla revisione del regolamento di Dublino fondata sui principi della solidarietà e del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio
7. L’adozione di strumenti giuridici vincolanti per il rispetto dello “stato di diritto” e il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia per i diritti fondamentali di Vienna
8. L’introduzione del voto a maggioranza nella politica estera e della sicurezza comune e, più in generale, l’applicazione della clausola della passerella per il passaggio dall’unanimità alla maggioranza qualificata nel Consiglio
9. L’applicazione del paragrafo 5 dell’art. 17 del Trattato sull’Unione europea che prevede una Commissione composta da un numero di commissari che corrisponda a due terzi degli Stati membri (18) e la decisione dei governi di indicare al nuovo presidente della Commissione una rosa di candidati-commissari (che comprenda almeno una donna) lasciando a lui il compito di scegliere i membri del collegio e l’attribuzione dei “portafogli
10. La convocazione di una convenzione sul futuro dell’Europa, secondo la proposta avanzata da Emmanuel Macron, che si concluda con l’approvazione di un mandato “costituente” al PE.

 

Pier Virgilio Dastoli

29 maggio 2019

 

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