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Tra le principali iniziative di questa settimana, segnaliamo la lettera aperta del Movimento Europeo ai leader europei, sottoscritta da numerose personalità, per andare oltre la paralisi istituzionale di questi ultimi mesi sul bilancio e superare la crisi Covid 19 . Ciò in vista del Consiglio del 23 aprile prossimo, nuovo momento di confronto sul bilancio: è necessario un nuovo QFP adeguato alle sfide, preferibilmente quinquennale invece che settennale. I punti principali posti all’attenzione delle rappresentanze europee sono i seguenti:

- consentire all’UE di garantire beni comuni agli Europei che non possono essere assicurati dagli Stati ognuno per conto proprio;

- aumentare le entrate con risorse fresche, indispensabili per la nuova agenda politica europea dopo il coronavirus, coerente con le priorità legate al Patto Verde Europeo, attuare politiche per l’occupazione e i diritti sociali, per la trasformazione digitale, il sistema produttivo e la crisi economica e sociale che deriverà dall’emergenza sanitaria;

- superare l’elusione fiscale delle imprese multinazionali che sottraggono centinaia di miliardi all’anno sfruttando le opportunità offerte dalla disarmonia dei regimi fiscali nazionali, insieme al recupero dei beni confiscati attraverso le leggi nazionali contro la criminalità organizzata;

- introdurre delle imposte sui profitti nel web e sulla produzione del carbonio anche attraverso un border carbon adjustment.

Sempre in questa settimana, il Movimento Europeo ha partecipato ad una iniziativa di educazione civica organizzata dallo Europe Direct di Gioiosa Ionica, in videoconferenza. Il presidente Pier Virgilio Dastoli ha infatti tenuto un intervento sul modo in cui l’Unione europea coopera anche in materia giudiziaria. Nonostante le tradizioni giuridiche differenti, preesistenti tra i ventisette Stati membri, esiste infatti il mandato d’arresto europeo quale strumento che in particolari situazioni consente di reprimere la criminalità organizzata transfrontaliera e tutelare lo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di un tema di fondamentale per l’Europa, il cosiddetto “terzo pilastro” della costruzione europea fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, che ha ridefinito l’impostazione basata su pilastri; ciò nondimeno, rimane uno dei punti cardine su cui costruire un’Europa dei diritti.

In settimana scorsa, a cavallo delle festività pasquali, un appello del Movimento Europeo, firmato dalle rappresentanze di dodici consigli nazionali, ha trovato attenzione sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali, cioè La Stampa, il Secolo XIX, Il Piccolo e l’Unione Sarda. Si tratta di un richiamo all’unità europea per far fronte, giorno dopo giorno, all’emergenza coronavirus, che può essere l’opportunità per dimostrare l’impatto delle politiche europee, anzitutto di soccorso agli Stati membri e poi di una maggiore integrazione futura basata sui valori che fondano l’Unione e che vanno riscoperti per il futuro. Il documento è stato altresì sottoscritto da Laura Garavini, presidente dell’Intergruppo al Senato, e Brando Benifei, vicepresidente del Movimento europeo internazionale e capo delegazione PD nel Gruppo dei Socialisti e Democratici nel Parlamento europeo. 

 

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L’Europa non è in guerra, come ha detto per tre volte in un suo intervento televisivo alla “Nazione” il presidente francese Emmanuel Macron, ma le conseguenze della pandemia dopo la pandemia saranno devastanti (e lo sono in parte già adesso) non solo per i sistemi produttivi – lavoratori e imprese – ma per l’insieme delle nostre società.

E’ sufficiente pensare al vuoto che si è creato nelle nostre comunità per la strage di persone anziane e al vuoto pedagogico ed educativo che si sta creando nelle scuole di ordine e grado e nelle università laddove gli studenti non possono seguire i corsi online.

Da due mesi l’argomento principale nei dibattiti fra governi, nelle istituzioni europee e fra esperti è legato ad una domanda che potremmo sintetizzare in modo drammaticamente banale: chi (e come) pagherà il conto finanziario delle conseguenze della pandemia dopo la pandemia?

Certamente la questione di chi si farà carico del debito pubblico europeo o dell’insieme dei debiti pubblici nazionali che cresceranno inevitabilmente parallelamente alla decrescita del reddito europeo lordo è centrale per le decisioni che dovranno essere prese nelle prossime settimane sapendo che il calcolo del reddito è diverso da quello del prodotto perché ad esso bisogna aggiungere i profitti delle imprese e i salari.

Sarà centrale la questione delle entrate e delle spese del bilancio europeo sapendo che, se esso rimanesse incatenato alla percentuale scandalosamente irrisoria di poco più dell’1% del PIL europeo, il costo di quello che viene ormai chiamato lo Europeam Recovery Plan (che qualcuno chiama in modo abusivo Marshall Plan) inciderebbe drasticamente non solo su altre linee di bilancio “tradizionali” come la PAC (politica agricola comune) che copre attualmente il 38% delle spese europee e le più modeste linee di bilancio dell’Europa per cittadini che sono linfa vitale per le attività non profit e di volontariato ma anche per quell’altro piano che “fu” (?) al centro del programma della Commissione europea sotto il nome di European Green Deal  e per cui era stato preventivato un ammontare totale di mille miliardi di Euro.

Non vorremmo che la discussione su chi pagherà il conto fra gli Stati e degli Stati mettesse il silenziatore su problemi di società (delle società) di quella che Willy Brandt aveva chiamato la Europaeische Gesellschaft Politik (EGP) e cioè la politica della società che è ben più della politica sociale.

All’interno della politica della società vi è in primo luogo quella “clausola sociale orizzontale” che sopravvisse nella costituzione europea e poi nel Trattato di Lisbona al dibattito sulle questioni sociali (che qualcuno avrebbe voluto cancellare fra i temi della Convenzione sul futuro dell’Europa) e che recita testualmente

nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un alto livello di occupazione (sapendo che l’art. 3 del Trattato sull’Unione europea pone fra i suoi obiettivi “una economia sociale di mercato – ahimè – fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”), la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta all’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana(art. 9 TFUE).

e che ha trovato una sua traduzione politica nel Pilastro Sociale adottato a Göteborg nel novembre 2017 e che attende di essere implementato giuridicamente passando dalle parole solenni ai fatti.

Vi sono poi gli articoli  24 e 25 della Carta dei diritti fondamentali (che la Convenzione aveva inizialmente dimenticato di aggiungere) dedicati ai diritti dei minori e degli anziani per non parlare di tutto l’ex-pilastro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rimasto sostanzialmente fermo al Programma di  Stoccolma del 2010, un settore in cui è stato privilegiato un apparente diritto alla sicurezza piuttosto che la sicurezza dei diritti.

Il piano europeo per la ricostruzione, che sarà finanziariamente al centro del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (che noi chiediamo insistentemente per una periodicità quinquennale e non settennale), dovrà essere aggiuntivo e non sostitutivo delle spese attualmente previste in materia di PAC, di coesione economica, sociale e territoriale, di ricerca e sviluppo tecnologico, di fondo sociale europeo, di Europa dei e per i cittadini, di cultura e – last but not least – di azioni esterne come la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario insieme al sostegno per i paesi candidati all’adesione.

Per questa ragione noi chiediamo un ammontare complessivo quinquennale di 2000 miliardi di Euro.

Insieme e meglio al di sopra del piano europeo per la ricostruzione, la Commissione europea deve avere l’ambizione e il coraggio di elaborare, di proporre e discutere con il Parlamento europeo (che dovrebbe poi assumere la leadership costituente del suo follow up) e di fronte all’opinione pubblica un “progetto per l’Europa “ in una prospettiva di lungo periodo.

Si deve avviare un dibattito su una radicale trasformazione delle strutture economiche e sociali con elementi programmatici legati alla uguaglianza delle opportunità, alla riorganizzazione dello spazio, al ruolo delle città, alla organizzazione della mobilità, alla redistribuzione del tempo e del tempo di lavoro, alle forme della partecipazione, all’auto-organizzazione sociale e all’auto-organizzazione nell’economia e al futuro della cooperazione, alla democrazia economica, alla formazione permanente e allo sviluppo della comunicazione e dell’informazione.

In questo quadro è importante fare sempre riferimento ai diciassette Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile adottati dalle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e ispirarsi a proposte come quelle contenute nel rapporto Boosting Investments in Social Infrastructure in Europe coordinato da Romano Prodi.

E’ evidente che un progetto siffatto per l’Europa pone una questione ineludibile delle conseguenze per la democrazia, per le democrazie e sulla necessità di uscire dai riti paralizzanti dei meccanismi intergovernativi con l’obiettivo di colmare il vuoto che separa i valori insiti nelle società europee e le incrostazioni esistenti nelle istituzioni.

In definitiva e molto semplicemente si tratta di cambiare le istituzioni per rendere il sistema europeo più trasparente, più democratico e più resiliente.

 

coccodrillo

 

 

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Un programma per l’Europa: oltre le finanze

L’Europa non è in guerra, come ha detto per tre volte in un suo intervento televisivo alla “Nazione” il presidente francese Emmanuel Macron, ma le conseguenze della pandemia dopo la pandemia saranno devastanti (e lo sono in parte già adesso) non solo per i sistemi produttivi – lavoratori e imprese – ma per l’insieme delle nostre società.

E’ sufficiente pensare al vuoto che si è creato nelle nostre comunità per la strage di persone anziane e al vuoto pedagogico ed educativo che si sta creando nelle scuole di ordine e grado e nelle università laddove gli studenti non possono seguire i corsi online.

Da due mesi l’argomento principale nei dibattiti fra governi, nelle istituzioni europee e fra esperti è legato ad una domanda che potremmo sintetizzare in modo drammaticamente banale: chi (e come) pagherà il conto finanziario delle conseguenze della pandemia dopo la pandemia?

Certamente la questione di chi si farà carico del debito pubblico europeo o dell’insieme dei debiti pubblici nazionali che cresceranno inevitabilmente parallelamente alla decrescita del reddito europeo lordo è centrale per le decisioni che dovranno essere prese nelle prossime settimane sapendo che il calcolo del reddito è diverso da quello del prodotto perché ad esso bisogna aggiungere i profitti delle imprese e i salari.

Sarà centrale la questione delle entrate e delle spese del bilancio europeo sapendo che, se esso rimanesse incatenato alla percentuale scandalosamente irrisoria di poco più dell’1% del PIL europeo, il costo di quello che viene ormai chiamato lo Europeam Recovery Plan (che qualcuno chiama in modo abusivo Marshall Plan) inciderebbe drasticamente non solo su altre linee di bilancio “tradizionali” come la PAC (politica agricola comune) che copre attualmente il 38% delle spese europee e le più modeste linee di bilancio dell’Europa per cittadini che sono linfa vitale per le attività non profit e di volontariato ma anche per quell’altro piano che “fu” (?) al centro del programma della Commissione europea sotto il nome di European Green Deal  e per cui era stato preventivato un ammontare totale di mille miliardi di Euro.

Non vorremmo che la discussione su chi pagherà il conto fra gli Stati e degli Stati mettesse il silenziatore su problemi di società (delle società) di quella che Willy Brandt aveva chiamato la Europaeische Gesellschaft Politik (EGP) e cioè la politica della società che è ben più della politica sociale.

All’interno della politica della società vi è in primo luogo quella “clausola sociale orizzontale” che sopravvisse nella costituzione europea e poi nel Trattato di Lisbona al dibattito sulle questioni sociali (che qualcuno avrebbe voluto cancellare fra i temi della Convenzione sul futuro dell’Europa) e che recita testualmente

nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un alto livello di occupazione (sapendo che l’art. 3 del Trattato sull’Unione europea pone fra i suoi obiettivi “una economia sociale di mercato – ahimè – fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”), la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta all’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana(art. 9 TFUE).

e che ha trovato una sua traduzione politica nel Pilastro Sociale adottato a Göteborg nel novembre 2017 e che attende di essere implementato giuridicamente passando dalle parole solenni ai fatti.

Vi sono poi gli articoli  24 e 25 della Carta dei diritti fondamentali (che la Convenzione aveva inizialmente dimenticato di aggiungere) dedicati ai diritti dei minori e degli anziani per non parlare di tutto l’ex-pilastro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rimasto sostanzialmente fermo al Programma di  Stoccolma del 2010, un settore in cui è stato privilegiato un apparente diritto alla sicurezza piuttosto che la sicurezza dei diritti.

Il piano europeo per la ricostruzione, che sarà finanziariamente al centro del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (che noi chiediamo insistentemente per una periodicità quinquennale e non settennale), dovrà essere aggiuntivo e non sostitutivo delle spese attualmente previste in materia di PAC, di coesione economica, sociale e territoriale, di ricerca e sviluppo tecnologico, di fondo sociale europeo, di Europa dei e per i cittadini, di cultura e – last but not least – di azioni esterne come la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario insieme al sostegno per i paesi candidati all’adesione.

Per questa ragione noi chiediamo un ammontare complessivo quinquennale di 2000 miliardi di Euro.

Insieme e meglio al di sopra del piano europeo per la ricostruzione, la Commissione europea deve avere l’ambizione e il coraggio di elaborare, di proporre e discutere con il Parlamento europeo (che dovrebbe poi assumere la leadership costituente del suo follow up) e di fronte all’opinione pubblica un “progetto per l’Europa “ in una prospettiva di lungo periodo.

Si deve avviare un dibattito su una radicale trasformazione delle strutture economiche e sociali con elementi programmatici legati alla uguaglianza delle opportunità, alla riorganizzazione dello spazio, al ruolo delle città, alla organizzazione della mobilità, alla redistribuzione del tempo e del tempo di lavoro, alle forme della partecipazione, all’auto-organizzazione sociale e all’auto-organizzazione nell’economia e al futuro della cooperazione, alla democrazia economica, alla formazione permanente e allo sviluppo della comunicazione e dell’informazione.

In questo quadro è importante fare sempre riferimento ai diciassette Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile adottati dalle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e ispirarsi a proposte come quelle contenute nel rapporto Boosting Investments in Social Infrastructure in Europe coordinato da Romano Prodi.

E’ evidente che un progetto siffatto per l’Europa pone una questione ineludibile delle conseguenze per la democrazia, per le democrazie e sulla necessità di uscire dai riti paralizzanti dei meccanismi intergovernativi con l’obiettivo di colmare il vuoto che separa i valori insiti nelle società europee e le incrostazioni esistenti nelle istituzioni.

In definitiva e molto semplicemente si tratta di cambiare le istituzioni per rendere il sistema europeo più trasparente, più democratico e più resiliente.

 coccodrillo

 


 

Iniziative della settimana

Tra le principali iniziative di questa settimana, segnaliamo la lettera aperta del Movimento Europeo ai leader europei, sottoscritta da numerose personalità, per andare oltre la paralisi istituzionale di questi ultimi mesi sul bilancio e superare la crisi Covid 19 . Ciò in vista del Consiglio del 23 aprile prossimo, nuovo momento di confronto sul bilancio: è necessario un nuovo QFP adeguato alle sfide, preferibilmente quinquennale invece che settennale. I punti principali posti all’attenzione delle rappresentanze europee sono i seguenti:

- consentire all’UE di garantire beni comuni agli Europei che non possono essere assicurati dagli Stati ognuno per conto proprio;

- aumentare le entrate con risorse fresche, indispensabili per la nuova agenda politica europea dopo il coronavirus, coerente con le priorità legate al Patto Verde Europeo, attuare politiche per l’occupazione e i diritti sociali, per la trasformazione digitale, il sistema produttivo e la crisi economica e sociale che deriverà dall’emergenza sanitaria;

- superare l’elusione fiscale delle imprese multinazionali che sottraggono centinaia di miliardi all’anno sfruttando le opportunità offerte dalla disarmonia dei regimi fiscali nazionali, insieme al recupero dei beni confiscati attraverso le leggi nazionali contro la criminalità organizzata;

- introdurre delle imposte sui profitti nel web e sulla produzione del carbonio anche attraverso un border carbon adjustment.

Sempre in questa settimana, il Movimento Europeo ha partecipato ad una iniziativa di educazione civica organizzata dallo Europe Direct di Gioiosa Ionica, in videoconferenza. Il presidente Pier Virgilio Dastoli ha infatti tenuto un intervento sul modo in cui l’Unione europea coopera anche in materia giudiziaria. Nonostante le tradizioni giuridiche differenti, preesistenti tra i ventisette Stati membri, esiste infatti il mandato d’arresto europeo quale strumento che in particolari situazioni consente di reprimere la criminalità organizzata transfrontaliera e tutelare lo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di un tema di fondamentale per l’Europa, il cosiddetto “terzo pilastro” della costruzione europea fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, che ha ridefinito l’impostazione basata su pilastri; ciò nondimeno, rimane uno dei punti cardine su cui costruire un’Europa dei diritti.

In settimana scorsa, a cavallo delle festività pasquali, un appello del Movimento Europeo, firmato dalle rappresentanze di dodici consigli nazionali, ha trovato attenzione sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali, cioè La Stampa, il Secolo XIX, Il Piccolo e l’Unione Sarda. Si tratta di un richiamo all’unità europea per far fronte, giorno dopo giorno, all’emergenza coronavirus, che può essere l’opportunità per dimostrare l’impatto delle politiche europee, anzitutto di soccorso agli Stati membri e poi di una maggiore integrazione futura basata sui valori che fondano l’Unione e che vanno riscoperti per il futuro. Il documento è stato altresì sottoscritto da Laura Garavini, presidente dell’Intergruppo al Senato, e Brando Benifei, vicepresidente del Movimento europeo internazionale e capo delegazione PD nel Gruppo dei Socialisti e Democratici nel Parlamento europeo. 

 


 

Documenti chiave

 


 

Economia in pillole

"Le risorse per ripartire ci sono: subito progetti per il paese, anziché litigi ideologici"  è un saggio a cura di economisti del calibro di Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Pier Carlo Padoan, Franco Passacantando, Gianni Toniolo. Si rivela interessante per una serie di informazioni relative alle risorse stanziate dall’Ue all’Italia e dei programmi per ripartire con dei prestiti vantaggiosi. Le conclusioni degli autori sono incoraggianti: "L’Italia può disporre di risorse adeguate ad affrontare l’emergenza, impostare il riavvio dell’attività economica e avviare gli investimenti ‘trasformativi’ necessari nel nuovo mondo post-crisi, purché abbandoni polemiche pretestuose che ci indeboliscono in Europa e impediscono di utilizzare le risorse disponibili in Italia".

Ricordiamo il duplice intervento, prima della BCE, il 19 marzo, con 750 miliardi e poi, tra l’8 e il 9 aprile, con i piani SURE, BEI e il MES. Gli impegni in acquisti di titoli di stato italiani da parte della BCE possono essere infatti qualificati, secondo il prof. Fabio Colasanti, già Direttore al Bilancio della Commissione Europea, in circa 180 miliardi di euro; “il nostro paese potrebbe far fronte a tutti i suoi bisogni già decisi o prevedibili con le risorse (trasferimenti e prestiti) messe a disposizione dalle altre istituzioni europee e in aggiunta potrebbe disporre del paracadute offerto dalla BCE che prevede interventi che vanno bel al di là del probabile indebitamento aggiuntivo”, sostiene Colasanti.

Per leggere il saggio, clicca qui.


 

Carta dei diritti fondamentali

Secondo l’articolo 8 della Carta, la protezione dei dati di carattere personale è un diritto di ogni inviduo. Volendo fissare il principio da applicare per il trattamento degli stessi, viene menzionato quello della “lealtà”. Ovviamente, ci si riferisce qui solo ad uno dei possibili criteri guida, che comunque secondo i 62 membri della Convenzione che ebbe il compito di elaborare la Carta, sintetizza bene come ci si debba comportare quando si trattino i dati di terze persone. Ve ne sono altri, trattati in altra sede: per esempio, l’articolo 5 del GDPR menziona la liceità, correttezza e trasparenza, la limitazione della finalità, la minimizzazione dei dati, l’esattezza, la limitazione della conservazione, l’integrità e riservatezza. Sono aspetti che comunque vengono ripresi dalla Carta, anche senza essere menzionati come principi. Infatti, l’articolo 8 afferma che il trattamento deve avvenire “per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge”, richiamando con tale affermazione i principi di liceità, correttezza e trasparenza. Vengono altresì richiamati “il diritto di poter accedere ai dati raccolti […] e di ottenerne la rettifica”. In effetti, scorrendo il contenuto di questo articolo, si potrà notare che in poche parole fa riferimento ad una pluralità di aspetti, in quanto diritto con varie sfaccettature. Essendo una materia delicata, il rispetto di tale diritto non si fonda sulla semplice esistenza della Carta, ma, proprio ai sensi dell’articolo 8, “è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.

Quello del trattamento dei dati personali è un tema di grande attualità oggi, in epoca di coronavirus, anche perché solleva tutta una serie di interrogativi. Per esempio: qual è il confine esistente tra il rispetto della persona e il trattamento dei suoi dati in ambito sanitario? La questione non si può risolvere con riferimento esclusivo ai diritti dell’individuo, perché il diritto alla salute è un diritto di tutti i cittadini ed è anche un dovere quello di curarsi, affinché non venga compromesso il benessere di chi si ha vicino. Al tempo stesso, è stato osservato che la questione della lotta alla pandemia può avere implicazioni anche permanenti sul già complesso settore della tutela dei dati personali. Quali effetti può avere, per esempio, il  fatto di sapere che un’Autorità centrale possiede i dati di tutti gli individui? Che cosa succederebbe se, con un’applicazione sul proprio smartphone, si potesse essere informati che c’è un soggetto infetto nelle vicinanze? Se fosse il proprio vicino di casa, quali provvedimenti prenderebbe il condominio in cui abita? Come fare per tutelare i soggetti marginali della società, che già stanno pagando un prezzo consistente per questa crisi, dal rischio di un peggioramento della propria situazione? Come si può notare, si tratta di questioni che in sé, così come anche lo stesso diritto fondamentale dell’articolo 8 della Carta, richiedono di essere affrontate nei dettagli. Si dovrebbe infatti poter conciliare la tutela dei dati personali con modalità operative che prevedono una loro conoscenza approfondita e la comunicazione dei dati sanitari a terzi, se necessario. Tuttavia, nonostante lo stesso GDPR abbia affrontato la questione affermando il principio generale secondo cui, in questi casi, i dati sanitari possano essere trattati per finalità connesse alla tutela della salute, il tema rimane vasto e complesso.


 

L’Europa dei diritti

Data l’attualità della questione, questa settimana portiamo all’attenzione il caso relativo all’interpretazione dell’articolo 94 della direttiva 2001/83, che disciplina l’incentivazione finanziaria a favore degli ambulatori medici in cui si prescrivono ai pazienti determinati medicinali. Su questo aspetto, la Corte di Giustizia ha emesso una sentenza, il 22 aprile 2010, che chiarisce quale sia il perimetro entro cui si applica la direttiva. Tale provvedimento è oggi interessante perché fa riferimento ai medicinali sui quali vengano divulgate informazioni da parte delle autorità pubbliche, per esempio in presenza di un’epidemia o di una pandemia. Ma veniamo ai fatti.

Il 3 luglio 2006, l’Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI), che riunisce 70 società farmaceutiche nazionali e internazionali attive nel Regno Unito scrisse alla Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency (MHPR, un’agenzia esecutiva dipendente dal Department of Health (Ministero della Sanità), tra i cui compiti rientra la verifica del rispetto delle normative nazionale e dell’Unione relative alla pubblicità nonché alla promozione dei medicinali. Nella lettera in questione, l’ABPI espresse le proprie perplessità in merito ai regimi di incentivazione alla prescrizione di medicinali “specificamente designati” da parte del servizio sanitario del Regno Unito erogato su base locale. In risposta a tali perplessità, la MHPR rispose che secondo l’articolo 94 della direttiva 2001/83 tale incentivazione fosse in linea con quanto previsto dalla stessa, sostenendo che il caso riguardava delle pratiche di autorità pubbliche e che quindi ci si trovava al di fuori di un regime di natura commerciale. Da qui il ricorso della ABPI di fronte alla High Court of Justice, che, per un’intepretazione di tale articolo, rimandò la questione alla Corte di Giustizia europea. La questione pregiudiziale, nello specifico, era la seguente:

“«Se l’art. 94, n. 1, della direttiva 2001/83/CE osti a che un ente pubblico facente parte di un servizio sanitario nazionale, al fine di ridurre le spese globali per i medicinali, istituisca un regime che offre incentivi finanziari ad ambulatori medici (che a loro volta possono offrire un vantaggio finanziario al medico che effettua la prescrizione) affinché in essi venga prescritto un medicinale specificamente designato che rientri nel regime di incentivazione, ove si tratti di:

a)       un medicinale soggetto a prescrizione, diverso dal medicinale precedentemente prescritto dal medico al paziente; ovvero

b)       un medicinale soggetto a prescrizione, diverso da quello che avrebbe potuto essere prescritto al paziente se non fosse stato per il regime di incentivazione,

qualora tale medicinale diverso soggetto a prescrizione appartenga alla stessa classe terapeutica dei medicinali utilizzati per il trattamento della particolare patologia del paziente»”.

La sentenza della Corte si è basata sul riconoscimento che “quando essa è realizzata da un terzo indipendente, al di fuori di un’attività commerciale e industriale, siffatta pubblicità può nuocere alla sanità pubblica, la cui tutela costituisce l’obiettivo essenziale della direttiva 2001/83, e che, di conseguenza, la divulgazione da parte di un terzo di informazioni relative ad un medicinale, in particolare alle sue proprietà curative o profilattiche, può essere considerata come pubblicità ai sensi dell’art. 86, n. 1, di tale direttiva, anche quando tale terzo agisce di propria iniziativa e in piena autonomia, giuridica e di fatto, rispetto al produttore o al venditore di un tale medicinale (sentenza 2 aprile 2009, causa C‑421/07, Damgaard, Racc. pag. I‑2629, punti 22 e 29).

Tuttavia, un ragionamento siffatto non può essere trasposto ai casi di informazioni relative ad un medicinale divulgate dalle stesse autorità pubbliche, ad esempio in presenza di un’epidemia o di una pandemia.

Quindi, secondo la Corte, l’art. 94, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/27/CE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a regimi di incentivi finanziari, […] istituiti dalle autorità nazionali responsabili della sanità pubblica per ridurre le loro spese in materia e diretti a favorire, ai fini del trattamento di talune patologie, la prescrizione, da parte dei medici, di medicinali specificamente designati contenenti un principio attivo diverso da quello del medicinale che era prescritto in precedenza o che avrebbe potuto esserlo in assenza di un siffatto regime di incentivi”.

Per leggere il testo integrale della sentenza, clicca qui.

 


 

Consigli di lettura

Questa settimana, proponiamo in lettura un testo interessante sia per l’attinenza degli argomenti trattati al contesto attuale, sia perché, proprio in vista della programmazione futura dell’Ue, potrebbe essere oggetto di nuove revisioni. “Le politiche economiche dell'Unione Europea”  è il titolo dell’opera, scritto dal noto docente ordinario di Politica Economica presso “La Sapienza” Università di Roma, Umberto Triulzi. Dopo la prima edizione del 2010, è stato nuovamente pubblicato nel 2016 per tener conto delle notevoli turbolenze dovute alla crisi degli anni scorsi; una crisi soggetta ad un nuovo shock, attuale, per rispondere all’emergenza che si sta affrontando. Il testo può considerarsi un punto di riferimento per comprendere come ha agito nel tempo l’Unione fino a giungere alla configurazione attuale. Il processo di integrazione futura, dopo un rallentamento causato dalle crisi a cui si è assistito in questi anni, va oggi incontro all’esigenza di essere riformato e adattato ai tempi, con nuove ambizioni. Il bilancio in discussione in questa fase della programmazione, il dibattito in corso sull’opportunità di ricorrere a strumenti quali i coronabond, il MES e il piano di interventi delle istituzioni europee – in primis la BCE – rappresentano aspetti nuovi, su cui orientare il ragionamento per le future politiche economiche europee.

 


 

Agenda della settimana

Lunedì 20 aprile

Commissione Affari esteri (Parlamento europeo) - All'ordine del giorno: voto a distanza sugli orientamenti per il bilancio 2021 - Sezione III, e Raccomandazione del Parlamento europeo al Consiglio, alla Commissione e al Vice-Presidente della Commissione / Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e Politica di sicurezza sui Balcani occidentali, in vista del vertice 2020. Inoltre, consultazioni a distanza con Josep Borrell sulle implicazioni del COVID-19 per l'azione esterna dell'UE, sulla comunicazione congiunta e sul Piano d’azione UE per i diritti umani e la democrazia per il periodo 2020-2024.

Commissione per lo sviluppo regionale (PE) – Si discuterà sulla risposta dell'UE alla pandemia COVID-19. Il dibattito si svolgerà con la partecipazione della Commissaria per la coesione e le riforme Elisa Ferreira e il Vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, per un'economia a misura d’uomo.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen discuterà in videoconferenza con Charles Michel, presidente del Consiglio europeo.

Il Commissario Frans Timmermans terrà una videoconferenza con i CEO dell’industria, settore energia eolica.

Il Commissario Phil Hogan discuterà in videoconferenza con i rappresentanti del Comitato per il commercio estero della Federazione delle industrie tedesche (BDI).

 

Martedì 21 aprile

Commissione per i trasporti e il turismo (PE) - All'ordine del giorno: consultazione a distanza con Thierry Breton, Commissario per il mercato interno, in particolare sulla risposta della Commissione al COVID-19 crisi nel settore turistico, sulla procedura di voto a distanza sugli accordi aerei tra UE e Georgia, Giordania, Repubblica di Moldavia, Croazia, Israele, Popolo Repubblica della Cina.

Commissione per l'ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (PE) - All'ordine del giorno: consultazioni con Stella Kyriakides, Commissaria per la salute e Sicurezza alimentare, e Janez Lenarčič, Commissario per la gestione delle crisi, su COVID-19 e le misure dell'UE per affrontare la pandemia, inoltre consultazioni con Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo della Commissione, sul Green Deal europeo e sulle direttive europee per il clima.

Commissione per il commercio internazionale (PE) - All'ordine del giorno: consultazioni con Phil Hogan, Commissario per il Commercio sull'UE, sulla risposta all'impatto del COVID-19 sul commercio, votazione della decisione del Consiglio sulla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e la Svizzera in relazione ai negoziati sulla modifica delle concessioni del WTO in Svizzera per il commercio della carne.

Commissione per lo sviluppo (PE) - All'ordine del giorno: consultazioni a distanza con Jutta Urpilainen, Commissario per i partenariati internazionali e Janez Lenarčič, Commissario per la gestione delle crisi sulla risposta dell'UE al COVID-19, voto sulle raccomandazioni per i negoziati in vista di un nuovo partenariato con il Regno Unito, la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord e linee guida per il bilancio 2021 - Sezione III.

Consiglio Istruzione, gioventù, cultura e sport - I ministri dello sport dell'UE terranno una videoconferenza per discutere sull'impatto del COVID-19 sul settore sportivo. Lo scambio di opinioni si concentrerà su misure specifiche previste o già in atto per sostenere il settore sportivo, su come garantire la continuità di allenamento degli atleti e il potenziamento dell'attività fisica dei cittadini garantendo la loro sicurezza e limitando la diffusione del virus, sui passi da compiere per il buon esito della ripresa delle attività sportive. Si avrà la partecipazione della Commissaria Mariya Gabriel.

La commissaria Elisa Ferreira parteciperà a un dibattito online organizzato con Bruegel e i rappresentanti del Financial Times su "Il ruolo della politica di coesione nella lotta contro il COVID19".

Il commissario Frans Timmermans terrà una videoconferenza con Kristjan Bragason, Segretario generale della Federazione europea dei sindacati per il cibo, l'agricoltura e il turismo.

 

Mercoledì 22 aprile

Il 13mo Brussels Wednesday Social, organizzato dal Movimento europeo Internazionale in collaborazione con Forum Europa, si terrà online. L'evento riunirà rappresentanti del settore economico, funzionari dell'UE, rappresentanti del governo e sindacati  per discutere su come l'UE può sfruttare al massimo gli strumenti offerti dal mercato unico e come rafforzarlo e migliorarlo affinché continui a offrire vantaggi agli Stati membri dell'UE e ai cittadini europei durante questa crisi e oltre. Dopo la discussione iniziale, i partecipanti avranno la possibilità di impegnarsi in una sessione di domande e risposte. Il webinar è gratuito, ma è richiesta la registrazione.

Consiglio Affari Esteri

La Commissaria Mariya Gabriel parteciperà a una videoconferenza di alto livello con i vertici dei consulenti scientifici, ministri e leader di partner internazionali sul COVID-19.

Il Commissario per la Giustizia Didier Reynders parteciperà alla videoconferenza informale dei Ministri degli affari europei.

 

Giovedì 23 aprile

Commissione per la pesca (PE) - All'ordine del giorno: votazione sulla modifica dei regolamenti UE n. 2016/1139 e n. 508/2014.

Consiglio europeo - I leader dell'UE daranno seguito, in videoconferenza, alla risposta dell'UE alla pandemia COVID-19. Principali argomenti: limitazione della diffusione del virus, fornendo attrezzature e assistenza medica, promozione della ricerca, contrasto alle conseguenze socioeconomiche, assistenza ai cittadini bloccati in paesi terzi. I leader discuteranno su una strategia di uscita coordinata e su un piano globale di risanamento, quale parte della tabella di marcia dell'UE per garantire il benessere di tutti gli europei e riportare l'UE in una posizione forte, di crescita sostenibile e inclusiva. I leader dell'UE discuteranno anche sulle recenti proposte dell'Eurogruppo per affrontare le conseguenze socioeconomiche della crisi.

La commissaria Mariya Gabriel discuterà in videoconferenza con Afshan Khan, Direttore regionale UNICEF per l'Europa e l'Asia centrale.

 

Venerdì 24 aprile

Il Commissario per l’Industria Breton parteciperà alla videoconferenza dei ministri del turismo del G20

 

 

 

 

 

 

 

 

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L'editoriale
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Carta dei diritti fondamentali
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Emergenza sanitaria e democrazia

In un articolo su The Guardian  del 27 marzo  2020 il politologo olandese Cass Mudde ci avvertiva: “Will the coronavirus kill populism ? Don’t count on it”.

Negli stessi giorni veniva pubblicato l’indice annuale dello stato della democrazia nel mondo che mostrava una preoccupante decrescita delle democrazie cosiddette liberali o complete di cui usufruirebbe solo il 5.7% della popolazione mondiale suddiviso in 22 paesi fra cui la Norvegia al primo posto e la Svezia al terzo come paese membro dell’Unione europea. L’Italia è al 33mo posto con una media che la colloca fra le “democrazie imperfette”.

Gli studiosi dei sistemi democratici e dei regimi autoritari ricordano il libro pubblicato nel 1929 da Lord Hewart, Lord Chief of Justice of England, dedicato al nuovo dispotismo e cioè a un regime capace di subordinare il Parlamento, esautorare la Corte e i tribunali e rendere supremo il potere dell’esecutivo.

Come sappiamo, dopo la marcia su Roma del 1922 quasi tutta l’Europa è stata conquistata o invasa da regimi autoritari con l’eccezione, durante la seconda Guerra mondiale, del Regno Unito e della Svizzera neutrale.

I regimi autoritari fondavano il loro potere sulla necessità di far fronte a situazioni di emergenza per combattere contro nemici esterni o interni attribuendo ad un solo centro di comando il compito di agire e a leggi eccezionali le decisioni per affrontare con immediatezza e efficacia l’emergenza.

Novanta anni dopo il libro di Lord Hewart, il politologo australiano John Keane ha pubblicato The new dispotism dedicato al virus dei populismi al potere incontrastato in vari stati del mondo (Cina, Russia, Corea del Nord, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Siria ed altri ancora) in cui vive il 35% della popolazione mondiale ma anche ai populismi emergenti nelle cosiddette democrazie liberali.

John Keane attira la nostra attenzione sul rischio che il virus dei populismi possa diffondersi come risposta a nuove emergenze così come i regimi autoritari furono la risposta alle emergenze fra le due guerre mondiali.

Le analisi di Lord Hewart e John Keane così come l’avvertimento di Cass Mudde sono di grande attualità e interesse, non solo scientifico, di fronte alle risposte che gli Stati - in ritardo e in ordine sparso - hanno dato all’esplosione del COVID19 fra ottobre e novembre nella provincia di Hubei in Cina e da lì diffuso in tutto il mondo con un milione e mezzo (per ora) di contagiati e sessantacinque mila morti.

Ogni Stato ha adottato misure emergenziali che hanno inciso drasticamente sui diritti umani in regimi già autoritari o che hanno rafforzato i poteri degli esecutivi nelle democrazie liberali limitando la sicurezza del diritto per privilegiare il diritto alla sicurezza sanitaria ma affidandosi anche al senso di auto responsabilità delle cittadine e dei cittadini.

Le nostre costituzioni democratiche (pensiamo soprattutto a quelle europee nate dopo la seconda guerra mondiale in Europa occidentale, nella penisola iberica a metà degli anni ’70 e in una parte dell’Europa centrale e orientale dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica) non sono state attrezzate per far fronte a situazioni di emergenza sistemiche.

Esse hanno previsto solo l’attribuzione dei “poteri necessari” al governo in caso di guerra (art. 78 della Costituzione italiana) intendendo come guerra i conflitti extraterritoriali fra Stati e non turbamenti sociali o rivolte popolari e sapendo che la Costituzione italiana statuisce che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11).

Le conseguenze sanitarie, economiche e sociali del COVID19 ci hanno trovati impreparati e hanno costretto i governi ad adottare nell’urgenza misure legislative che hanno inciso sui poteri dei Parlamenti nazionali,  laddove le costituzioni prevedono sistemi multilivello, sulle competenze delle Regioni e delle città suscitando polemiche e inefficienze.

La situazione ungherese, in cui il premier Viktor Orbán ha fatto adottare dal parlamento una legge che gli attribuisce pieni poteri a tempo indeterminato, rappresenta un pericolo precedente sia perché l’emergenza sanitaria in Ungheria è molto ridotta rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei sia perché Viktor Orbán sta adottando dal 2010 leggi liberticide che mettono in discussione i principi fondamentali dello stato di diritto.

Di fronte all’instaurazione per legge di un regime autoritario le istituzioni europee, i governi degli Stati membri e i partiti politici europei a cominciare dal PPE a cui appartiene il partito di Orbán hanno reagito con inaccettabile “prudenza diplomatica” come la Commissione Von der Leyen che si è arrampicata sugli specchi dell’equilibrio fra misure di emergenza e rispetto dei diritti fondamentali affermando che stava “monitorando” la situazione o non hanno affatto reagito.

Il voto del 30 marzo nel Parlamento ungherese non è stato un fulmine a ciel sereno perché l’assemblea aveva respinto la legge il 23 marzo, non essendo stata raggiunta la maggioranza dei 4/5, essendo evidente che nel secondo voto Viktor Orbán avrebbe ottenuto la maggioranza qualificata richiesta dalla costituzione.

La Commissione europea aveva il diritto ed il dovere – fra il 23 e il 30 marzo – di “esprimere un parere motivato” sulla base dell’art. 258 TFUE chiedendo al governo ungherese di “presentare le sue osservazioni” con urgenza decidendo di adire la Corte di Giustizia se esso non si fosse conformato al parere.

Contestualmente, la Commissione europea avrebbe dovuto chiedere al Consiglio – sulla base dell’art. 7.1 TUE – di constatare a maggioranza dei 4/5 (e cioè di 22 paesi membri)  “e previa approvazione del Parlamento europeo che esiste un evidente rischio di violazione grave…dei valori di cui all’art. 2 (TUE)”.

Ci saremmo aspettati una risoluzione urgente della commissione giuridica del Parlamento europeo considerando che l’art. 7.1 TUE può essere attivato anche su richiesta dell’assemblea così come di l’azione di nove paesi membri  dato che il  trattato prevede l’intervento di un terzo del Consiglio.

Ci saremmo anche aspettati l’immediata espulsione di FIDESZ dal PPE ma nel gruppo non si è raggiunta la maggioranza dei membri e i deputati di Forza  Italia si sono schierati con Viktor Orbán.

Infine, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa avrebbe potuto attivare l’art. 8 dello Statuto, che prevede la sospensione di un paese membro che violi il principio della preminenza del diritto pur non potendoci attendere una decisione simile dal Consiglio d’Europa, dove l’Assemblea ha reintegrato il 31 gennaio 2020 nei pieni poteri i deputati della Russia, dopo la sospensione nel 2016 per l’annessione della Crimea.

Per evitare che il virus autoritario ungherese contagi altri paesi è urgente un’opera di sanificazione giuridica dell’Ungheria usando tutti gli strumenti previsti dai trattati.

Vorremmo concludere ispirandoci alle analisi di John Keane e all’allarme di Cass Mudde per sottolineare che l’esperienza del COVID19 e le lacune costituzionali di fronte a emergenza sistemiche dovrebbero spingerci ad aprire con urgenza – dopo l’emergenza sanitaria – il cantiere della democrazia europea e della difesa dello Stato di diritto.

Come Movimento europeo abbiamo avviato nel 2019 una iniziativa di cittadini europei rivolta alla Commissione e abbiamo presentato nel 2020 una petizione al Parlamento europeo.

La crisi che ha colpito  l’Unione europea e che ha messo in luce le sue intrinseche debolezze deve spingere forze politiche, partner sociali e società civile a chiedersi se lo strumento più adeguato sia quello di una “conferenza europea sul futuro dell’Europa” senza legittimità democratica e senza potere di decisione, destinata a durare ventiquattro mesi, o se non sia venuto il momento di convocare delle “assise interparlamentari” da cui scaturisca un mandato costituente al Parlamento europeo che concluda il suo lavoro democratico in tempi rapidi, coerenti con l’urgenza della stato dell’Unione europea.

coccodrillo

 


 

Iniziative della settimana

In momenti di crisi, tutto avviene più rapidamente e in maniera a volte inaspettata. Rispetto a sette giorni fa, molto si potrebbe scrivere sui passi in avanti compiuti quotidianamente nel definire una risposta all’emergenza coronavirus. Tuttavia, in questa settimana la notizia dei poteri straordinari del primo ministro ungherese Viktor Orbán, apparentemente giustificata dalla necessità di agire in maniera libera da condizionamenti per risollevare il suo Paese, conferma il carattere autoritario delle politiche del leader, note da anni. Rispetto ad esse è legittimo porsi l’interrogativo su quale rapporto ci possa essere con l’Unione europea, nata per garantire la pace, il rispetto dei diritti, l’impegno reciproco per una crescita nella direzione del benessere e della solidarietà. È da notare che i tempi istituzionali, delle decisioni legittime, sono differenti da quelli del decisionismo autoritario. Infatti, segnaliamo a tal proposito che già il 2 maggio 2018 la Commissione Europea ha formulato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per la tutela del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri. Tale regolamento dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021. Nella sezione “documenti” si potrà reperire tale proposta ed anche una interrogazione del Parlamento europeo al Consiglio, presentata il 6 marzo 2020, in cui si chiede conferma del fatto che le conclusioni del Consiglio europeo sul quadro finanziario pluriennale non interesseranno i contenuti sostanziali della proposta. L'articolo 15, paragrafo 1, TUE, stabilisce infatti che il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative e, secondo il Parlamento europeo, ciò “rappresenterebbe una chiara ingerenza nelle prerogative legislative dei colegislatori”. Il tema è complesso e richiede uno studio, ma, volendo sintetizzare, si può affermare che la carenza dello Stato di diritto non dovrebbe rappresentare un ulteriore aggravio per una Unione che ha già molte difficoltà. In un contesto del genere, in cui l’Unione europea è chiamata a decidere su questioni complesse e a volte, proprio per rispettare i principi democratici, tali decisioni richiedono tempo: quanto accaduto in Ungheria suona come il ritorno dell’ ”uomo forte”, in una situazione di stallo istituzionale. Non è certo ciò di cui si sente più il bisogno nell’Unione di oggi, che deve proseguire nella direzione di una maggiore integrazione solo affermando maggiormente lo stato di diritto e la democrazia.

Segnaliamo poi l’adesione del Movimento Europeo, con la firma del presidente Pier Virgilio Dastoli, all’iniziativa italo tedesca promossa dai Verdi tedeschi, "We are in together",  pubblicata dal quotidiano “Die Zeit” e ripresa da molti quotidiani e tv, nonché a quella del Forum disuguaglianze e diversità, perché i cittadini, in questo momento di crisi, possano sentirsi tutelati e perché possa esserci l’impegno delle istituzioni con misure di contrasto alla forbice delle disuguaglianze che, senza di esso, è destinata ad allargarsi.

La newsletter del Movimento Europeo, considerate le imminenti festività, non uscirà lunedì prossimo. Nell’augurarvi una serena Pasqua, con l’auspicio di poter assistere il prima possibile ad un miglioramento nella situazione di emergenza globale che stiamo vivendo, vi diamo appuntamento al 20 aprile.


 

In esclusiva

Si riporta l’appello del Parlamentare europeo ungherese del gruppo S&D Sandor Ronai, tra i firmatari della Interrogazione per risposta orale al Consiglio sullo Stato di avanzamento dei negoziati del Consiglio sul regolamento relativo alla protezione del bilancio dell'Unione in caso di carenze generalizzate per quanto riguarda lo stato di diritto negli Stati membri. L’on. Ronai interviene qui sull’impegno del gruppo S&D per arrivare al più presto ad un cambio di rotta rispetto alla presa di potere di Viktor Orbán e si rivolge in particolare all’Italia:

"Lo stato di diritto è stato violato in molti modi: in relazione all'ufficio del pubblico ministero, alla Corte  costituzionale, ai media, alla corruzione sostenuta dal governo. Il Parlamento continua a prendere decisioni senza un effettivo coordinamento o dibattito, non si lascia tempo ai preparativi. Sono posti sotto controllo dai tribunali in una certa misura, ma l'amministrazione Orban continua a cercare di controllare anch'essi. 

Esistevano programmi per l'istituzione di tribunali della pubblica amministrazione, controllati dal ministro della giustizia, a cui si era rinunciato a causa delle pressioni dell'Unione europea, ma si stanno ancora attivamente escogitando strumenti amministrativi e legali per ridurre l'indipendenza dei tribunali.

L'Ungheria è diventata il primo stato membro dell'UE in cui anche il blando Stato di diritto che ci era rimasto è morto, dopo una lunga malattia, grazie al disegno di legge del decreto di Orban.

Vorrei rivolgermi ai lettori in Italia con alcuni pensieri personali. Adoro personalmente l'Italia. Non solo ammiro la bellezza e la storia, ma anche la personalità degli italiani. Vorrei che sapessero che l'Europa prova dolore in questi tempi difficili. In S&D, insieme ai miei eccellenti colleghi italiani, stiamo lavorando per aiutare l'Italia e tutti gli altri paesi in Europa a superare questa crisi il più rapidamente possibile. È nostra responsabilità condivisa  garantire che l'Europa possa svilupparsi ulteriormente e diventare un continente sicuro all'indomani della crisi ".


 

Documenti chiave


 

Carta dei diritti fondamentali

Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta”. L’articolo 54, qui riportato, riassume il senso della Carta dei diritti fondamentali e di un presupposto stesso alla base della legge: nessuna rivendicazione di poteri deve degenerare in abusi. Proprio in situazioni in cui è a rischio la sicurezza dei cittadini, è già successo e purtroppo continua a verificarsi che vi siano delle violazioni della democrazia. Quanto avvenuto in Ungheria, l’accentramento dei poteri in capo a Viktor Orbán, lo testimonia. Sono situazioni che, pur tenuto conto del fatto che la Storia è un processo lineare, in cui i contesti sono in continuo movimento, si tendono a intepretare come i vichiani “corsi e ricorsi”. E purtroppo, la presa di potere avvenuta in Ungheria preoccupa, perché fondata su procedure solo apparentemente legittime e per i rischi di contagio. Ciò si è già verificato, meno di cento anni fa, nell’epoca dei totalitarismi. La Storia di oggi presenta qualche analogia con quella di ieri e, anche se i contesti sono differenti da allora, quello di Orbán è un ulteriore passo verso la deriva antidemocratica. Inoltre, è da ricordare che ben oltre la legittimazione che un qualunque governo di qualsivoglia Paese può avere sulla carta, esso può essere riconosciuto solo se vengono tutelate le libertà democratiche, i diritti sociali e civili, la libertà di pensiero e di espressione, se i diritti delle minoranze possono essere riconosciuti, se le opposizioni vengono rappresentate in un Parlamento eletto attraverso libere elezioni.

Ebbene: quanto si verifica nell’Ungheria e anche nella Polonia di oggi è in contrasto con i principi fondamentali su cui si regge l’Unione europea, che pure è già intervenuta in tale contesto. È bene ricordare che gli Stati membri della nuova Europa, che dal 2004 ha visto un consistente allargamento a ben 13  Paesi, negli anni  precedenti alla crisi hanno potuto beneficiare di consistenti sussidi da parte delle istituzioni europee. Al regresso attuale bisogna rispondere rilanciando il dibattito democratico e attuando scelte che vadano in tale direzione. Diversamente, dovranno essere presi provvedimenti che, specialmente pensando alle violazioni riscontrate nei suddetti Paesi, condizioneranno l’accesso ai fondi europei al rispetto dello stato di diritto, ponendo criteri più stringenti che in passato. Peraltro, il rispetto dello stato di diritto è sempre stato uno dei presupposti della costruzione europea. Se si volge lo sguardo indietro al progetto di Trattato sull’Unione europea del 1984, a firma di Altiero Spinelli, il quarto comma dell’articolo 4 affermava che “in caso di violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi democratici o dei principi fondamentali, potranno essere adottate delle sanzioni”. In realtà, in tale progetto, la violazione grave e persistente poteva riscontrarsi in qualsiasi disposizione del Trattato. Come si è detto nell’editoriale della settimana, è l’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea a definire l’iter istituzionale da seguire per tutelare i valori europei consistenti in “dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.


 

L'Europa dei diritti

Proprio durante la stesura di questa newsletter, nella scelta degli argomenti da riproporre in questa rubrica, il 2 aprile è arrivata la notizia della condanna di Polonia, Ungheria e Repubblica ceca da parte della Corte di Giustizia dell’Ue per il rifiuto di conformarsi al meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti asilo creato nel 2015. La Commissione Europea aveva presentato ricorso per inadempimento: la Corte lo ha accolto rimarcando due violazioni. In primo luogo, ha sia riconosciuto l’inadempimento da parte degli Stati membri in questione della decisione del Consiglio, adottata nel 2015, per il ricollocamento su base obbligatoria, dalla Grecia e dall'Italia, di 120mila richiedenti protezione internazionale verso gli altri Stati membri. Inoltre, la Polonia e la Repubblica ceca, secondo i giudici, sono venute meno anche agli obblighi derivanti da una decisione precedente del Consiglio, relativa al ricollocamento, su base volontaria, di 40mila richiedenti asilo dalla Grecia e dall'Italia. Per quest’ultima decisione, solo l'Ungheria non era vincolata dalle misure previste. In attesa della pubblicazione della sentenza, è possibile leggere un primo comunicato stampa cliccando qui.

Ma non è l’unico caso in cui la giustizia europea interviene su questi Paesi, anzi, la trattazione potrebbe decisamente eccedere gli spazi di questa newsletter. Ne segnaliamo un altro, abbastanza recente. Il 2 ottobre 2018, infatti, la Commissione Europea ha presentato un ricorso per inadempimento contro la Repubblica di Polonia, in cui si è riscontrato il sostegno a tale Stato da parte dell’Ungheria. La Commissione ha chiesto alla Corte di “dichiarare che, da un lato, abbassando l’età per il pensionamento dei giudici nominati al Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) e applicando tale misura ai giudici in carica nominati presso tale organo giurisdizionale prima del 3 aprile 2018 e, dall’altro, attribuendo al presidente della Repubblica il potere discrezionale di prorogare la funzione giudiziaria attiva dei giudici di tale organo giurisdizionale al di là dell’età per il pensionamento di nuova fissazione, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in base al combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Il 24 giugno 2019, la sentenza della Corte ha dato ragione alla Commissione Europea, riconoscendo che la Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Sia Polonia che Ungheria sono state condannate, ciascuna per la propria parte, al pagamento delle spese processuali. Per maggiori informazioni, il testo della sentenza è disponibile cliccando qui.


 

Consigli di lettura

Questa settimana, abbiamo individuato un saggio dal titolo “Stato di diritto o ragion di stato? La difficile rotta verso un controllo europeo del rispetto dei valori dell’Unione negli Stati membri” a firma del prof. Roberto Mastroianni, docente ordinario di diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli. È reperibile sulla rivista on line Eurojus, cliccando su questo link, ed è stato anche inserito nel tomo 1 dei “Dialoghi con Ugo Villani, Bari, Cacucci, 2017”. L’Unione europea è qui definita come “una comunità di diritto”, dotata degli opportuni strumenti, previsti dai trattati, per intervenire nel caso in cui si ritenga che all’interno di uno Stato membro avvengano violazioni dei principi alla base dell’appartenenza alla stessa. Sono sia lo spirito ideale di padri fondatori come Altiero Spinelli, di cui viene ricordato il progetto di Trattato del 1984, sia l’articolo 7 del TUE a ricordarci come intervenire in situazioni simili e tale saggio ripercorre questi passaggi, riprendendo tra l’altro i casi trattati anche in altri punti di questa newsletter, riguardanti Polonia e Ungheria.


 

Agenda della settimana

 

Lunedì 6 aprile

Consiglio dei ministri, Videoconferenza dei ministri della giustizia. L'attenzione si concentrerà sulle misure introdotte dagli Stati membri nel settore della giustizia in risposta alla pandemia di COVID-19. Gli argomenti discussi: modifiche ai metodi di lavoro degli organi giudiziari e delle professioni legali, sfida rappresentata dal superamento delle frontiere nel settore della cooperazione giudiziaria, sospensione delle procedure concorsuali e di esecuzione, diritti procedurali nei procedimenti penali, nelle pene detentive, con particolare enfasi sulla situazione nelle carceri e nelle strutture di detenzione dato il pericolo di una epidemia di COVID-19. I ministri si scambieranno inoltre informazioni sulle sanzioni previste per la violazione delle restrizioni imposte dagli enti pubblici e se si siano verificati nuovi reati. Inoltre, valuteranno se siano da prendere altre iniziative nel settore della giustizia a livello UE nel contesto della pandemia.

Videoconferenza dei ministri degli affari esteri (difesa). I ministri della difesa terranno una videoconferenza sulle implicazioni militari della pandemia COVID-19. All'ordine del giorno: assistenza militare fornita dalle forze armate a livello nazionale per contenere la diffusione del virus, discussione sull'impatto che la pandemia sta avendo sulla politica di sicurezza e di difesa comune, sulle missioni e operazioni in paesi terzi. L'incontro sarà presieduto da Josep Borrell, Alto Rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

La Presidente Ursula von der Leyen incontrerà in videoconferenza Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo.

La Vicepresidente Margrethe Vestager incontrerà in videoconferenza John Ridding, CEO del gruppo Financial Times.

Il Commissario europeo per le partnership internazionali Jutta Urpilainen incontrerà in videoconferenza Emanuela Claudia Del Re, Ministro italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

 

Martedì 7 aprile

La Commissione del Parlamento europeo per la pesca esaminerà la proposta che modifica il Regolamento europeo del Fondo marittimo e della pesca (FEAMP) e quello sulle disposizioni comuni. L'obiettivo è quello di fornire misure specifiche e più flessibili per mitigare l'impatto dello scoppio del COVID-19 nel settore della pesca e dell'acquacoltura. La proposta FEAMP in senso lato tratta di cessazioni temporanee, aiuti finanziari ai produttori di acquacoltura, aiuti a favore dello stoccaggio e riassegnazione semplificata dei fondi del programma operativo nazionale.

L'Eurogruppo si riunirà di nuovo in videoconferenza per una risposta coordinata alle ricadute economiche della pandemia COVID-19, a seguito dell'invito dei leader dell'UE del 26 marzo 2020.

Videoconferenza dei ministri della ricerca

Il Commissario agli Affari interni Ylva Johansson terrà una videoconferenza informale con i ministri per la giustizia e gli affari interni

Il Commissario per l‘Allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi incontrerà in videoconferenza Giorgi Gakharia, Primo Ministro della Georgia.

Il Commissario per la Giustizia Didier Reynders incontrerà in videoconferenza Isabelle Schömann, Segretario confederale della Confederazione europea dei sindacati.

 

Mercoledì 8 aprile

Giornata mondiale della salute, che viene celebrata ogni anno in occasione dell'anniversario della fondazione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1948 e per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla salute pubblica quale priorità. Considerato che attualmente infermieri e altri operatori sanitari sono in prima linea nella risposta al COVID-19, quest'anno gli Stati celebreranno il loro lavoro, per ricordare ai leader mondiali il ruolo fondamentale che svolgono nel mantenere tutto il mondo in salute.

Videoconferenza dei ministri degli Affari esteri sul tema dello sviluppo

Videoconferenza dei Ministri della cultura. All'ordine del giorno: discussione sull'impatto della pandemia COVID-19 nel settore della cultura.

Commissione Europea - Incontro in videoconferenza su: relazione sull'impatto del cambiamento demografico, rafforzamento dell’impegno europeo nei Balcani occidentali - Il contributo della Commissione al Vertice dei Balcani dell’Europa occidentale.

Il commissario Didier Reynders parteciperà a un webinar sullo stato di diritto e sul futuro dell'Europa: "L'importanza di salvaguardare lo stato di diritto per il futuro dell'Europa", organizzato dal Center for European Policy Studies (CEPS).

 

 

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