In un passaggio politico particolarmente delicato della storia del processo di integrazione europea, il Consiglio di Presidenza del CIME, riunito a Roma il 13 ottobre, ha deciso di approvare due dichiarazioni, una sulla necessità del rapido rilancio del processo costituente europeo, l’altra sul tema del futuro quadro finanziario dell’Unione. Nello stesso giorno si è poi tenuta una prima riunione di un gruppo di esperti, convocato dal CIME, per preparare delle proposte dettagliate in tema di funzionamento e modifica del trattato di Lisbona.
A seguito si riportano i testi integrali delle due prese di posizione deliberate:
DICHIARAZIONE DEL CONSIGLIO DI PRESIDENZA CIME
Il Consiglio italiano del Movimento Europeo esprime la sua più ferma indignazione per lo stato di confusione e di disarticolazione del processo di integrazione europea la cui responsabilità deve essere attribuita in primo luogo alle leadership politiche nazionali che mostrano ormai da tre anni di essere incapaci di avviare a soluzione la crisi del progetto europeo.
Un caso esemplare è la recente dichiarazione del ministro degli esteri tedesco Westerwelle secondo cui è il momento di una conferenza intergovernativa per modificare i trattati, che avrebbe il grande vantaggio “di essere trasparente per i cittadini” (intervista a La Repubblica, 13 ottobre 2011).
La vulnerabilità dell'Euro è l'effetto di un sistema inadeguato e squilibrato nato con il compromesso disegnato dai governi con il Trattato di Maastricht e perpetuato nel tempo con le successive modifiche adottate ad Amsterdam, Nizza ed infine a Lisbona, che rischiano di riprodursi se saranno accettate le proposte avanzate dal direttorio franco-tedesco e condivise dal presidente del Consiglio europeo Van Rompuy.
L'inadeguatezza e gli squilibri sono stati iscritti nei trattati quando si è deciso di creare la sola gamba dell'Unione monetaria ignorando la gamba dell'Unione economica, quando si è concesso - in mancanza di un sistema di governo federale europeo - alla Banca Centrale il privilegio dell'indipendenza e non quello della sola autonomia come avvenne con la Bundesbank e come avviene con la Federal Reserve, quando si è rinunciato a creare un meccanismo di supervisione finanziaria e di controllo prudenziale del sistema delle banche private che negli Stati nazionali è affidato alle Banche Centrali, quando ci si è piegati all'irresponsabile illusione che il solo fatto di appartenere alla zona Euro avrebbe garantito agli Stati membri uno scudo contro i rischi di default.
Il Consiglio Italiano del Movimento europeo esprime la propria preoccupazione per l'inflazione di appelli che si limitano a proporre soluzioni parziali e provvisorie ma ignorano che i pezzi disarticolati di un sistema federale – per garantire l'efficacia ed il carattere democratico del loro funzionamento e per evitare che il loro mancato funzionamento provochi reazioni di rigetto e la distruzione dell'intero sistema – devono essere iscritti in un quadro costituzionale coerente e coeso destinato a svilupparsi nel tempo.
In questo spirito il Consiglio italiano del Movimento Europeo ritiene che le diffuse proposte per il futuro immediato dell'Euro debbano essere accompagnate dal rilancio del processo costituente dell'integrazione politica europea, da realizzare fra i paesi ed i popoli che saranno pronti a condividerne la finalità federale.
Alla vigilia di decisioni dei governi europei che si preannunciano ancora una volta inadeguate ed insufficienti, il Consiglio italiano del Movimento Europeo fa appello al Parlamento europeo chiedendo ai presidenti dei gruppi politici ed alla commissione affari costituzionali di promuovere una sessione straordinaria sul futuro dell'Europa al più tardi all'inizio del 2012 che si concluda con un atto di volontà dell'Assemblea di usare pienamente i poteri che le sono stati attribuiti dall'articolo 48 del trattato di Lisbona.
In questo quadro il Consiglio Italiano del Movimento Europeo suggerisce l’opportunità di promuovere delle assise interparlamentari come quelle che avvennero a Roma su iniziativa del Parlamento europeo, del Parlamento italiano e del Parlamento belga nel novembre del 1990 alla vigilia della conferenza intergovernativa sul Trattato di Maastricht.
Il Consiglio Italiano del Movimento europeo ricorda che il progetto di revisione dei trattati non deve limitarsi a risolvere la questione della governance economica ma debba affrontare, nella prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, la questione delle competenze dell’Unione per la crescita e lo sviluppo economico e sociale dei suoi paesi membri per dare in particolare una risposta alle necessità delle giovani generazioni, il rafforzamento in senso federale del sistema istituzionale europeo e la dimensione federale della politica estera, della sicurezza e della difesa.
Dal punto di vista del metodo il Consiglio Italiano del Movimento europeo ritiene che il sistema della Convenzione iscritto nel Trattato di Lisbona debba essere rivisto in modo tale da assicurare la convocazione di una assemblea costituente al cui centro debba essere collocato il ruolo del Parlamento europeo associando i parlamenti nazionali, la Commissione europea ed i governi dei paesi pronti a compiere un passo decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa.
DICHIARAZIONE CIME SUL BILANCIO EUROPEO
A Bruxelles sono iniziate le grandi manovre sulla “finanziaria” europea 2014-2020 e il governo italiano ha deciso di schierarsi dalla parte dei governi (Austria, Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito) che vogliono esportare nell'Unione la politica del rigore finanziario che i trattati, il patto di stabilità e i più recenti accordi sul “semestre europeo” impongono agli Stati nazionali.
Sottomesso alla “regola d'oro” della parità fra spese ed entrate, il bilancio europeo si aggira annualmente intorno a 140 miliardi di euro, una cifra che rappresenta cinquanta volte di meno della somma dei 27 bilanci dei paesi membri che si aggirano invece e globalmente intorno a 6300 miliardi di euro l'anno. Fra il 2000 e il 2010 il bilancio europeo è aumentato del 37% e i bilanci nazionali sono invece aumentati del 62 %: il bilancio europeo rappresenta l'1% del PIL europeo e i bilanci nazionali tutti insieme ne rappresentano il 44% (per fare un paragone con il bilancio federale USA esso rappresenta poco meno del 20% del PIL americano).
Noi abbiamo bisogno di un bilancio federale perché all'Unione monetaria che rischia di fallire si affianchi una forte unione economica che si faccia carico dei beni pubblici a dimensione europea (ricerca, lotta al cambiamento climatico, infrastrutture, mobilità giovanile e in particolare il programma Erasmus, politica di inclusione, controllo alle frontiere a cominciare dall'Agenzia Frontex, lotta alla criminalità organizzata, coesione territoriale...).
In una fase transitoria possiamo pensare a un bilancio prefederale che, nel 1977, era stato stimato dal rapporto McDougall nel 2.5% del PIL dell'allora Europa a Nove e cioè due volte e mezzo il bilancio attuale e dunque 350 miliardi di Euro all'anno per mezzo miliardo di abitanti.
La posizione assunta dal governo italiano è inaccettabile così com'è inaccettabile la posizione degli altri sette governi perché cinquanta anni di integrazione europea hanno dimostrato che non esistono paesi contributori “netti” e paesi beneficiari “netti” ma che le Comunità europee prima e ora l'Unione rappresentano un gioco a somma positiva da cui tutti i partecipanti traggono vantaggi e che tutta la politica dei saldi netti è un arbitrio privo di significato economico.
Al rigore finanziario che appare senza alternative a livello nazionale (anche se esso può e deve essere accompagnato da misure che affiancano al rigore la sostenibilità della crescita, il che non è garantito dalla manovra finanziaria italiana come la Commissione ci ha ammonito lo scorso giugno) devono accompagnarsi politiche di crescita sostenibile e di coesione – sociale e territoriale - a livello dell'Unione europea.
Nel 2007 e in previsione delle grandi manovre finanziarie iniziate ora a Bruxelles la Commissione europea aveva aperto un dialogo con la società, un embrione – modesto ma significativo – di bilancio partecipativo.
Quell'embrione di bilancio partecipativo si è per ora dissolto, travolto dall'urgenza della crisi finanziaria, ma al diktat inaccettabile degli otto governi “ricchi” deve essere data rapidamente una risposta forte, innanzitutto da parte del Parlamento europeo cui il trattato attribuisce il potere di ratificare o di non ratificare le decisioni del Consiglio ma anche da parte della società civile interessata a un governo europeo che garantisca – anche attraverso il bilancio – beni pubblici che gli Stati non sono più in grado di garantire o beni pubblici la cui garanzia europea rappresenta un risparmio nella spesa pubblica complessiva come frutto di economie di scala.
Dal 20 al 21 ottobre si riuniranno a Bruxelles parlamentari europei e parlamentari nazionali su invito della commissione bilanci del PE nel quadro di un'embrionale Convenzione europea. Può essere quello la prima occasione di una salutare “indignazione” parlamentare a dimensione europea.