Con un articolo, apparso sul quotidiano IL RIFORMISTA del 13 settembre 2011 il Presidente del CIME, Pier Virgilio Dastoli, ha commentato in maniera critica la notizia che il governo italiano abbia scelto di aggiungersi alla pattuglia di Paesi che con una lettera diretta alla Commissione europea ( Lettera (23.5 kB)) chiedono alla stessa di comprimere il più possibile il Bilancio UE nel futuro quadro finanziario 2014-2020. Tale posizione contrasta in modo evidente con la piattaforma politica generale che il CIME ha sintetizzato nel suo documento “Verso il 2014” del febbraio scorso.
Si pubblica il testo integrale del commento di Pier Virgilio Dastoli:
“E ROMA SI AGGREGA: NO AL BILANCIO UE”
A Bruxelles sono iniziate le grandi manovre sulla “finanziaria” europea 2014-2020 ed il governo italiano, dopo aver traccheggiato per alcuni mesi, ha deciso di schierarsi dalla parte dei governi (Austria, Germania, Finlandia, Francia, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito) che vogliono esportare nell'Unione la politica del rigore finanziario che i trattati, il patto di stabilità ed i più recenti accordi sul “semestre europeo” impongono agli Stati nazionali.
Sgombriamo innanzitutto il campo da alcuni falsi miti. Il bilancio europeo, si dice, pesa nelle tasche dei cittadini già tartassati dal fisco nazionale, è in costante aumento, è vittima di diffuse frodi ed è usato sopratutto per far funzionare la burocrazia europea.
Sottomesso alla “regola d'oro” della parità fra spese ed entrate, il bilancio europeo si aggira annualmente intorno a 140 miliardi di euro, una cifra che rappresenta cinquanta volte di meno della somma dei 27 bilanci dei paesi membri che si aggirano invece e globalmente intorno a 6300 miliardi di euro all'anno. Fra il 2000 ed il 2010 il bilancio europeo è aumentato del 37% ed i bilanci nazionali sono invece aumentati del 62 %: in percentuale il bilancio europeo rappresenta l'1% del PIL europeo ed i bilanci nazionali tutti insieme ne rappresentano il 44% (per fare un paragone con il bilancio federale USA che rappresenta meno del 20% del PIL americano).
Se prendiamo in considerazione il cd tax freedom day e cioè quanti giorni dell'anno un cittadino medio europeo deve lavorare per liberarsi dalle tasse, il giorno della “liberazione” arriva negli Stati membri mediamente nella tarda primavera (in Italia in estate!) mentre nell'Unione europea la liberazione arriva prima dell'Epifania (noi paghiamo mediamente 67 centesimi al giorno per finanziare l'Unione europea e di questi 67 centesimi solo il 4% va a coprire le spese della burocrazia europea).
Noi avremmo bisogno di un bilancio federale perché all'Unione monetaria che rischia di fallire si affianchi una forte unione economica che si faccia carico dei beni pubblici a dimensione europea (ricerca, lotta al cambiamento climatico, infrastrutture, mobilità giovanile ed in particolare il programma Erasmus, politica di inclusione, controllo alle frontiere a cominciare dall'Agenzia Frontex, lotta alla criminalità organizzata, coesione territoriale...) ma in una fase transitoria potremmo accontentarci di un bilancio prefederale che, nel 1977, era stato stimato dal rapporto McDougall nel 2.5% del PIL dell'allora Europa a Nove e cioè due volte e mezzo il bilancio attuale e dunque 350 miliardi di Euro all'anno per mezzo miliardo di abitanti, una cifra che deve essere comparata alle centinaia e centinaia di miliardi che la BCE sta pagando per acquistare titoli del debito pubblico nazionale provocato non dall'Unione ma dagli Stati membri e che saranno poi pagati dal cosiddetto Fondo Salva Stati.
La posizione assunta dal governo italiano è inaccettabile così come è inaccettabile la posizione degli altri sette governi perché cinquanta anni di integrazione europea hanno dimostrato che non esistono paesi contributori “netti” e paesi beneficiari “netti” ma che le Comunità europee prima ed ora l'Unione rappresentano un gioco a somma positiva da cui tutti i partecipanti traggono vantaggi e che tutta la politica dei saldi netti (il I want my money back della signora Thactcher) è un arbitrio privo di significato economico.
Al rigore finanziario che appare senza alternative a livello nazionale (anche se esso può e deve essere accompagnato da misure che affiancano al rigore la sostenibilità della crescita, il che non è garantito dalla manovra finanziaria italiana come la Commissione ci ha ammonito lo scorso giugno) debbono accompagnarsi politiche di crescita sostenibile e di coesione – sociale e territoriale - a livello dell'Unione europea.
Nel 2007 ed in previsione delle grandi manovre finanziarie iniziate ora a Bruxelles la Commissione europea aveva aperto un dialogo con la società, un embrione – modesto ma significativo – di bilancio partecipativo. Qualcuno scrisse con eccessiva enfasi che ciò poteva rappresentare “il ritorno delle caravelle” perché l'idea del bilancio partecipativo era nata in America Latina.
Quell'embrione di bilancio partecipativo si è per ora dissolto, travolto dall'urgenza della crisi finanziaria ma al diktat inaccettabile degli otto governi “ricchi” deve essere data rapidamente una risposta forte, innanzitutto da parte del Parlamento europeo a cui il trattato attribuisce il potere di ratificare o di non ratificare (secondo il trattato il Consiglio adotta la “finanziaria” europea previa approvazione da parte del PE, ndr) le decisioni del Consiglio ma anche da parte della società civile interessata ad un governo europeo che garantisca – anche attraverso il bilancio – beni pubblici che gli Stati non sono più in grado di garantire o beni pubblici la cui garanzia europea rappresenta un risparmio nella spesa pubblica complessiva come frutto di economie di scala.
Dal 20 al 21 ottobre si riuniranno a Bruxelles parlamentari europei e parlamentari nazionali su invito della commissione bilanci del PE nel quadro di un'embrionale Convenzione europea. Può essere quello la prima occasione di una salutare “indignazione” a dimensione europea.
Si segnala, inoltre, che tale articolo non rappresenta che quello finale di una lunga serie apparsa su IL RIFORMISTA tra luglio e settembre di quest’anno, che vede pubblicati vari scritti di membri della Presidenza e/o del Consiglio CIME. Si evidenzia, in sostanza, tra il CIME (ed in particolare, Pier Virgilio Dastoli) e il nuovo direttore della testata Emanuele Macaluso, una sostanziale intesa sulle modalità e i contenuti che dovrebbero far parte di una informazione sulle tematiche dell’Unione, specie in un periodo così delicato per il futuro del processo di integrazione.
Si riportano gli articoli rientranti in tale collaborazione, apparsi su il RIFORMISTA durante l’estate:
- 19-10-2011 (112.36 kB) Quel malessere delle democrazie nazionali (di Pier Virgilio Dastoli)
- 18-09-2011 (115.1 kB) Governo e nuovo Trattato li vari il Parlamento Ue (di Pier Virgilio Dastoli)
- 11-09-2011 (55.99 kB) Nel febbraio dell’84 il monito di Mitterand (di Pier Virgilio Dastoli)
- 24-08-2011- (94.68 kB) Vietiamo il default nell’intera Eurozona (di Alberto Majocchi)
- 24-08-2011 (90.92 kB) Il Parlamento europeo può fare la sua parte (di Pier Virgilio Dastoli)
- 19-08-2011 (113.39 kB) Ma così operando addio alla Commissione (di Pier Virgilio Dastoli)
- 17-08-2011 (83.82 kB) La difesa del valore aggiunto (di Pier Virgilio Dastoli)
- 14-08-2011 (170.06 kB) La BCE di Francoforte la guardiana dell’euro che ci “commissaria” (di Pier Virgilio Dastoli)
- 14-08-2011- (97.32 kB) Salvare l’Euro sul fronte italiano (di Franco Spoltore)
- 13-08-2011 (102 kB) Il “Cantiere Europa” E’ tempo di riaprirlo (di Pier Virgilio Dastoli)
- 06-08-2011 (111.9 kB) Europa senza equilibrio, occorre lo Stato federale (di Alberto Majocchi)
- 03-08-2011 (130.2 kB) Per l’Europa un governo di salute pubblica (di Rocco Cangelosi)
- 27-07-2011 (37.73 kB) Euro sistema inefficace l’Ue è catatonica (di Pier Virgilio Dastoli)
- 17-07-2011 (89.92 kB) Il millennio dell’UE senza obiettivi né finanze (di Pier Virgilio Dastoli)