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RICORDANDO JACQUES DELORS

Come ha detto Emmanuel Macron nell’omaggio a Jacques Delors, il suo cammino europeo non si è interrotto il 27 dicembre ma deve proseguire nell’opera e nelle idee di chi si ispira all’azione condotta ininterrottamente per cinquanta anni dal “cittadino d’Europa” in tutti i luoghi in cui egli ha agito.

Ai ricordi pubblicati dopo la sua scomparsa, il Movimento europeo vuole aggiungere due considerazioni sulla attualità del suo pensiero concentrandole su due aspetti.

Il primo aspetto riguarda la dimensione sociale e cioè della sua visione della economia sociale di mercato che deriva dalla sua esperienza nei sindacati francesi e in particolare nelle CFDT.

Questo aspetto si è tradotto nel dialogo sociale avviato con la creazione del “comitato permanente per l’occupazione” nel 1979 ma soprattutto con il processo di Val Duchesse come quadro permanente di concertazione tra il movimento sindacale e le organizzazioni degli imprenditori, con l’adozione concertata all’interno del CESE di una carta dei diritti sociali adottata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989 un mese dopo la caduta del Muro di Berlino, con il protocollo sociale incluso nel Trattato di Maastricht del 1993, con il capitolo sull’occupazione nel Trattato di Amsterdam del 1999 che si ritrova parzialmente modificato nel Trattato di Lisbona.

Dal 1985 in poi e cioè dall’intuizione di Jacques Delors del carattere essenziale per la costruzione europea del dialogo sociale – un’intuizione che ebbe negli anni settanta Jean Monnet, predecessore ideale di Jacques Delors, quando associò i sindacati nel suo Comitato per gli Stati uniti d’Europa – alcuni limitati passi in avanti sono stati fatti anche nel Trattato di Lisbona con l’obiettivo della piena occupazione, con il riconoscimento del ruolo dei partner sociali e con l’inserimento della clausola sociale orizzontale.

Tali passi in avanti non erano scontati se si tiene conto del fatto che all’inizio della Convenzione sull’avvenire dell’Europa nel 2002, fu ostacolata l’idea di istituire un gruppo di lavoro sulle questioni sociali accettata poi obtorto collo dai governi e che, ancor prima, le organizzazioni sindacali e le reti della società civile dovettero usare tutta la determinazione contrattuale per esigere dalla prima Convenzione incaricata nel 2000 di redigere una Carta dei diritti fondamentali di rafforzare gli articoli sulla solidarietà e l’uguaglianza il cui contenuto era stato evaporato ancora una volta per l’opposizione dei governi che ottennero tuttavia che fosse garantito il rispetto delle leggi e delle pratiche nazionali o che fosse inserita la clausola “secondo le leggi nazionali che ne reggono l’esercizio”.

Vale la pena di ricordare che l’idea iniziale di proporre ai Capi di Stato e di governo la nomina di Jacques Delors alla presidenza della Convenzione sull’avvenire dell’Europa incaricata di redigere il Trattato costituzionale fu scartata dal presidente francese Jacques Chirac che aveva promesso a Valéry Giscard d’Estaing di offrirgli quest’incarico in cambio della sua non-candidatura alle successive elezioni presidenziali francesi.

Dal processo di Val Duchesse in poi le Comunità europee prima e l’Unione europea dopo Maastricht hanno progressivamente tradito lo spirito visionario (nel senso positivo francese della parola vision) di Jacques Delors sia perché è andato crescendo nelle istituzioni e sulle istituzioni il peso degli imprenditori e in particolare dei grandi imprenditori a scapito delle organizzazioni dei lavoratori e delle Piccole e Medie Imprese sia per i contrasti fra i governi che si sono salvaguardati il diritto di decidere all’unanimità il potere di tradurre gli accordi fra le parti sociali in atti dell’Unione.

Si è dovuto attendere il Pilastro Sociale di Göteborg del 2017 – peraltro non vincolante – per riaprire la questione sociale e poi il Piano Sociale adottato a Porto nel 2021 per mettere in agenda un pacchetto di misure sociali che sono solo in parte divenute realtà e che saranno ereditate dalla prossima legislatura europea con l’idea di un nuovo Protocollo sociale che il Parlamento europeo vorrebbe introdurre nella revisione del Trattato di Lisbona.

Vedremo se, come ha detto Emmanuel Macron, il cammino indicato da Jacques Delors nel 1985 riprenderà di nuovo a Val Duchesse nella prossima primavera o se le buone intenzioni resteranno tali e se occorrerà battersi per riprenderlo dopo le elezioni europee nel quadro di un processo costituente.

Quest’obiettivo solleva il secondo aspetto delle idee di Jacques Delors che il “cittadino d’Europa” ha sviluppato nel tempo e per oltre trent’anni prima da intellettuale socialista, poi a titolo personale nei dieci anni della presidenza della Commissione europea e poi durante la guida dell’Istituto da lui fondato.

Già nel maggio 1980, in un colloquio a Roma di Mondo Operaio come presidente della Commissione economica del Parlamento europeo, sviluppò la sua idea di un’Europa a geometria variabile per tenere legato il Regno Unito al continente europeo ma per consentire alle Comunità europee di avanzare sulla via di una “unione sempre più stretta” senza il peso confederale dei britannici.

Dopo la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e nella prospettiva dell’apertura delle porte della casa comunitaria alle nuove democrazie dell’Europa centrale, Jacques Delors sviluppò – anche attraverso interventi al Parlamento europeo - in modo complementare all’idea di François Mitterrand di un’Europa a due cerchi, il primo Confederale e il secondo sulla base di un modello federale à la sauce française – la sua visione di una Comunità che non era pronta ad allargarsi e che doveva riformarsi in una dimensione politica necessaria per far fronte al rischio poi tradotto in realtà fra una politica monetaria centralizzata e quindici e ancor più dopo l’allargamento politiche economiche e fiscali nazionali.

Su questa base e facendo riferimento alla costituenda area dell’euro ha successivamente sviluppato l’idea di una “Federazione di Stati-nazione” (che qualcuno ha definito “un ossimoro”) come un cerchio ristretto all’interno della più ampia Unione europea.

Quando si aprirà di nuovo il cantiere delle riforme europee – che noi riteniamo legate all’apertura di un processo costituente – il cammino iniziato da Jacques Delors potrà essere un importante luogo di riflessione.

Merci Président Delors.

Montpellier, 7 gennaio 2024

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Rubrica "Pillole d'Europa"

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

 

 

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 L'EDITORIALE

RICORDANDO JACQUES DELORS

Come ha detto Emmanuel Macron nell’omaggio a Jacques Delors, il suo cammino europeo non si è interrotto il 27 dicembre ma deve proseguire nell’opera e nelle idee di chi si ispira all’azione condotta ininterrottamente per cinquanta anni dal “cittadino d’Europa” in tutti i luoghi in cui egli ha agito.

Ai ricordi pubblicati dopo la sua scomparsa, il Movimento europeo vuole aggiungere due considerazioni sulla attualità del suo pensiero concentrandole su due aspetti.

Il primo aspetto riguarda la dimensione sociale e cioè della sua visione della economia sociale di mercato che deriva dalla sua esperienza nei sindacati francesi e in particolare nelle CFDT.

Questo aspetto si è tradotto nel dialogo sociale avviato con la creazione del “comitato permanente per l’occupazione” nel 1979 ma soprattutto con il processo di Val Duchesse come quadro permanente di concertazione tra il movimento sindacale e le organizzazioni degli imprenditori, con l’adozione concertata all’interno del CESE di una carta dei diritti sociali adottata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989 un mese dopo la caduta del Muro di Berlino, con il protocollo sociale incluso nel Trattato di Maastricht del 1993, con il capitolo sull’occupazione nel Trattato di Amsterdam del 1999 che si ritrova parzialmente modificato nel Trattato di Lisbona.

Dal 1985 in poi e cioè dall’intuizione di Jacques Delors del carattere essenziale per la costruzione europea del dialogo sociale – un’intuizione che ebbe negli anni settanta Jean Monnet, predecessore ideale di Jacques Delors, quando associò i sindacati nel suo Comitato per gli Stati uniti d’Europa – alcuni limitati passi in avanti sono stati fatti anche nel Trattato di Lisbona con l’obiettivo della piena occupazione, con il riconoscimento del ruolo dei partner sociali e con l’inserimento della clausola sociale orizzontale.

Tali passi in avanti non erano scontati se si tiene conto del fatto che all’inizio della Convenzione sull’avvenire dell’Europa nel 2002, fu ostacolata l’idea di istituire un gruppo di lavoro sulle questioni sociali accettata poi obtorto collo dai governi e che, ancor prima, le organizzazioni sindacali e le reti della società civile dovettero usare tutta la determinazione contrattuale per esigere dalla prima Convenzione incaricata nel 2000 di redigere una Carta dei diritti fondamentali di rafforzare gli articoli sulla solidarietà e l’uguaglianza il cui contenuto era stato evaporato ancora una volta per l’opposizione dei governi che ottennero tuttavia che fosse garantito il rispetto delle leggi e delle pratiche nazionali o che fosse inserita la clausola “secondo le leggi nazionali che ne reggono l’esercizio”.

Vale la pena di ricordare che l’idea iniziale di proporre ai Capi di Stato e di governo la nomina di Jacques Delors alla presidenza della Convenzione sull’avvenire dell’Europa incaricata di redigere il Trattato costituzionale fu scartata dal presidente francese Jacques Chirac che aveva promesso a Valéry Giscard d’Estaing di offrirgli quest’incarico in cambio della sua non-candidatura alle successive elezioni presidenziali francesi.

Dal processo di Val Duchesse in poi le Comunità europee prima e l’Unione europea dopo Maastricht hanno progressivamente tradito lo spirito visionario (nel senso positivo francese della parola vision) di Jacques Delors sia perché è andato crescendo nelle istituzioni e sulle istituzioni il peso degli imprenditori e in particolare dei grandi imprenditori a scapito delle organizzazioni dei lavoratori e delle Piccole e Medie Imprese sia per i contrasti fra i governi che si sono salvaguardati il diritto di decidere all’unanimità il potere di tradurre gli accordi fra le parti sociali in atti dell’Unione.

Si è dovuto attendere il Pilastro Sociale di Göteborg del 2017 – peraltro non vincolante – per riaprire la questione sociale e poi il Piano Sociale adottato a Porto nel 2021 per mettere in agenda un pacchetto di misure sociali che sono solo in parte divenute realtà e che saranno ereditate dalla prossima legislatura europea con l’idea di un nuovo Protocollo sociale che il Parlamento europeo vorrebbe introdurre nella revisione del Trattato di Lisbona.

Vedremo se, come ha detto Emmanuel Macron, il cammino indicato da Jacques Delors nel 1985 riprenderà di nuovo a Val Duchesse nella prossima primavera o se le buone intenzioni resteranno tali e se occorrerà battersi per riprenderlo dopo le elezioni europee nel quadro di un processo costituente.

Quest’obiettivo solleva il secondo aspetto delle idee di Jacques Delors che il “cittadino d’Europa” ha sviluppato nel tempo e per oltre trent’anni prima da intellettuale socialista, poi a titolo personale nei dieci anni della presidenza della Commissione europea e poi durante la guida dell’Istituto da lui fondato.

Già nel maggio 1980, in un colloquio a Roma di Mondo Operaio come presidente della Commissione economica del Parlamento europeo, sviluppò la sua idea di un’Europa a geometria variabile per tenere legato il Regno Unito al continente europeo ma per consentire alle Comunità europee di avanzare sulla via di una “unione sempre più stretta” senza il peso confederale dei britannici.

Dopo la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e nella prospettiva dell’apertura delle porte della casa comunitaria alle nuove democrazie dell’Europa centrale, Jacques Delors sviluppò – anche attraverso interventi al Parlamento europeo - in modo complementare all’idea di François Mitterrand di un’Europa a due cerchi, il primo Confederale e il secondo sulla base di un modello federale à la sauce française – la sua visione di una Comunità che non era pronta ad allargarsi e che doveva riformarsi in una dimensione politica necessaria per far fronte al rischio poi tradotto in realtà fra una politica monetaria centralizzata e quindici e ancor più dopo l’allargamento politiche economiche e fiscali nazionali.

Su questa base e facendo riferimento alla costituenda area dell’euro ha successivamente sviluppato l’idea di una “Federazione di Stati-nazione” (che qualcuno ha definito “un ossimoro”) come un cerchio ristretto all’interno della più ampia Unione europea.

Quando si aprirà di nuovo il cantiere delle riforme europee – che noi riteniamo legate all’apertura di un processo costituente – il cammino iniziato da Jacques Delors potrà essere un importante luogo di riflessione.

Merci Président Delors.

Montpellier, 7 gennaio 2024

coccodrillo

 

 

 

 


PILLOLE D'EUROPA

La decisione di Charles Michel di candidarsi come capolista alle elezioni europee per il suo partito liberale in Belgio anticipa le decisioni che dovranno essere prese dal Consiglio europeo sul “governo” dell’Unione europea dal 2024 al 2029.

Poiché è politicamente evidente che una maggioranza dei capi di Stato e di governo è ostile alla possibilità che Viktor Orban presieda il Consiglio europeo fino al 30 novembre 2024 sapendo che nel Parlamento europeo è emersa addirittura l’ipotesi di lanciare una iniziativa per opporsi alla presidenza di turno ungherese dal 1° luglio 2024, il Consiglio europeo dovrà decidere rapidamente approfittando del fatto che sono previste nel primo semestre 2024 ben quattro vertici europei.

In questa situazione che richiede immaginazione e stabilità insieme ad una alleanza fra gli europeisti nel Consiglio europeo e nel Parlamento europeo potrebbe farsi strada l’ipotesi di unificare le due presidenze della Commissione europea e del Consiglio europeo che sarebbe consentita dal Trattato di Lisbona sulla base di una formula che fu suggerita da Giuliano Amato come vicepresidente della Convenzione sull’avvenire dell’Europa.

Se quest’ipotesi si facesse strada si rafforzerebbe l’alleanza fra gli europeisti a livello delle istituzioni europee, si risolverebbe il problema dell’inefficace diarchia fra i due presidenti nelle relazioni internazionali e si introdurrebbe un controllo politico del Parlamento europeo sul Consiglio europeo.

I partiti europeisti dovrebbero riflettere attentamente su questa ipotesi che attribuirebbe più potere al Parlamento europeo chiudendo la strada a eventuali alleanze con i conservatori e i sovranisti.

 

 

 


LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

 

11 gennaio

  • Gruppo di lavoro "Xenia - la legge dell'ospite" (Natura Comune)

 

12 gennaio

  • Firenze, Convegno “Europa 2024” (Fondazione Circolo Fratelli Rosselli)

   

 


IN EVIDENZA

 

VI SEGNALIAMO

  • 12 gennaio, ore 10:00-18:00, Firenze. La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli organizza il Convegno “Europa 2024”. L’iniziativa sarà un’occasione per approfondire lo stato dell’Europa e le sue sfide per il 2024. L’evento si terrà presso la sede della Fondazione a Firenze. Sono previsti numerosi interventi ad arricchire il PROGRAMMA del Convegno che toccheranno la vicenda europea dal punto di vista economico, sociale, giuridico, politico, ambientale.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 20 dicembre, ore 21:00. L’Associazione Natura Comune promuove la prossima tappa del percorso  "Xenia - La legge dell'ospite”. Si discuterà del preambolo della legge di iniziativa popolare, scritto dal professor Luigi Ferrajoli e delle funzionalità della versione beta della piattaforma Reprezentu (iscrizioni per poter partecipare a pieno al processo di scrittura collettiva della legge di iniziativa popolare sull'ospitalità). Sarà inoltre presentato il cronoprogramma per l'avvio dei gruppi di lavoro e ricerca, la scrittura dell'impianto normativo della legge e la raccolta firme. Link per collegarsi all'incontro: https://meet.google.com/jpt-mfda-zqt

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

 

 

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CECI N’EST PAS UNE PIPE: IL TRADIMENTO DELLE IMMAGINI

(E UNA PROPOSTA DI METODO PER SVEGLIARE L’UNIONE EUROPEA)

Il quadro di René Magritte del 1929 intitolato “ceci n’est pas une pipe” potrebbe essere usato per sintetizzare visivamente i risultati del Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2023 dove le immagini magniloquenti delle sue conclusioni contrastano con una realtà decisamente negativa richiamando l’espressione dei “sonnambuli” usata su La Repubblica da Massimo Giannini e su Il Sole 24 Ore da Sergio Fabbrini.

Come sappiamo, l’unico apparente risultato – definito impropriamente “storico” – è stato l’accordo a ventisei con l’astensione o meglio l’assenza di Viktor Orban per l’avvio dei negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova insieme alla concessione dello status di candidato alla Georgia.

In qualche modo storico può essere invece considerato il risultato della COP28 a Dubai, chiusa il giorno prima del Consiglio europeo per l’impegno – non vincolante – di arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050 soprattutto grazie al percorso avviato dall’Unione europea nel 2019 con il Patto Verde Europeo (European Green Deal) proposto dal Parlamento europeo e inserito come priorità dalla Commissione europea nel programma della legislatura.

Il Consiglio europeo ha poi semi-aperto la porta dei negoziati con la Bosnia Erzegovina e la Macedonia del Nord vincolandoli e condizionandoli tuttavia ad ulteriori passi in avanti nelle riforme interne.

Il Consiglio europeo non ha citato esplicitamente l’Albania, il Montenegro e la Serbia (dove le elezioni legislative hanno rafforzato la maggioranza assoluta della coalizione populista di Vucic) – inserendo questi paesi in un più generale capitolo dedicato ai Balcani occidentali (che “occidentali” non sono) - con i quali i negoziati sono già formalmente iniziati ma di fatto congelati da tempo formulando l’ipocrita auspicio di una loro generica accelerazione.

Il Consiglio europeo ha ignorato invece sia il Kosovo che, soprattutto, la Turchia che è ancora sulla carta un paese candidato all’adesione suscitando la scontata irritazione di Ankara.

Sia Paolo Gentiloni che Romano Prodi al Forum Europa del Partito Democratico ed Emmanuel Macron nella conferenza stampa a chiusura del Consiglio europeo hanno ricordato che i tempi per l’ingresso dei paesi candidati saranno molto lunghi e lo stesso Consiglio europeo ha sottolineato che i negoziati sono “reversible” e cioè che le loro conclusioni sono “open ended” ma tanto è bastato a Volodymyr Zelensky per affermare che l’Ucraina fa ormai parte della famiglia dell’Unione europea.

Non è emersa nel Consiglio europeo l’idea avanzata dalla Assemblea nazionale francese (LINK) di aggiornare le procedure di adesione per impegnare all’inizio dei negoziati i paesi candidati ad un accordo politico collettivo sottoscritto da tutti i parlamenti nazionali sul rispetto della Carta dei diritti, della cooperazione leale, del primato del diritto comunitario e della reciproca solidarietà diplomatica e militare, per associarli poi alle politiche comuni coinvolgendo le amministrazioni e la società civile ispirandosi al metodo della Conferenza sul futuro dell’Europa e - solo alla fine di questo percorso - per procedere alla firma dei trattati di adesione sapendo che in molti casi essi dovranno essere ratificati per via referendaria nei paesi candidati e nei paesi membri e che le difficoltà di eventuali ratifiche dovrebbero essere risolte con degli accordi di associazione al di fuori del quadro istituzionale dell’Unione europea.

Il Consiglio europeo ha sposato invece la tesi secondo cui la riforma delle priorità dell’Unione europea, delle sue politiche e della sua capacità di agire deve essere “parallela” al processo di allargamento e cioè, per usare una nota espressione del linguaggio comunitario, che l’approfondimento e l’allargamento devono procedere mano nella mano sottolineando che anche l’approfondimento come l’allargamento è una prospettiva a “lungo termine”.

Queste immagini contrastano con la realtà di un’Unione europea incapace di decidere sulle questioni essenziali o, per meglio dire, esistenziali della sua dimensione geopolitica come è stato confermato dall’assenza di decisioni sul Medio Oriente e sulle politiche migratorie insieme allo scontro sulla revisione a metà percorso del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 in cui l’aspetto più grave non sta nel veto di Viktor Orban sugli aiuti all’Ucraina ma nella mancanza di ambizioni finanziarie e dunque politiche per gettare le basi di un bilancio federale nelle spese e nelle entrate indispensabile per garantire l’autonomia strategica europea nella politica industriale, nella difesa ed anche negli investimenti sociali di lunga durata, nel sostegno alla transizione ambientale e nell’intervento europeo per il governo delle politiche migratorie.

Da segnalare che il Consiglio europeo ha deciso di non decidere sulla adesione della Bulgaria e della Romania alla cosiddetta “area Schengen” relativa alla libera circolazione delle persone a cui ha già aderito la Croazia che è entrata nell’Unione europea dopo la Bulgaria e la Romania.

Sulla riforma dell’Unione europea, il Consiglio europeo ha rinviato ogni decisione alla definizione della “agenda strategica 2024-2029” e cioè ad un esercizio puramente intergovernativo che i Capi di Stato e di governo considerano da tempo come una materia di loro esclusiva competenza e che adottano all’inizio di ogni legislatura – come hanno fatto nel 2014 e nel 2019 – ritenendo di poterla imporre alla nuova Commissione europea e al Parlamento europeo eletto.

Seguendo gli orientamenti suggeriti su iniziativa spagnola dal Consiglio affari generali del 12 dicembre in cui si è grottescamente affermato che le raccomandazioni delle Conferenza sul futuro dell’Europa sono state attuate o sono in via di attuazione a trattato costante, il Consiglio europeo ha volutamente ignorato il progetto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre (LINK) – in cui si sostiene che l’approfondimento debba precedere l’allargamento e che il superamento del Trattato di Lisbona del 2009 debba avvenire “fra i paesi che lo vorranno” per usare una espressione di François Mitterrand – essendo noto che almeno sedici governi su ventisette sono ostili all’idea di mettere mano alla revisione dei trattati e che fra tutti i governi prevale invece l’idea di introdurre delle limitate modifiche attraverso una conferenza intergovernativa (e cioè la “procedura semplificata” prevista dall’art. 48.7 TUE) o di introdurle nei trattati di adesione come sarebbe consentito dal Trattato (art. 49 TUE).

Il Parlamento europeo non ha certo contribuito a creare una adeguata aspettativa pubblica ed istituzionale sul tema della riforma dell’Unione europea perché il progetto votato il 22 novembre è stato elaborato da cinque relatori senza trasparenza, sottoposto ad un dibattito parlamentare in una sessione carica di temi divisivi come il regolamento sugli imballaggi e i pesticidi, frutto di un complicato e talvolta contraddittorio compromesso fra i gruppi politici in cui ciascuno di essi ha cercato di metterci il suo segno distintivo in un coacervo di duecentosessanta proposte di modifica del trattati con il risultato che le divisioni fra i gruppi e all’interno dei gruppi sono esplose in aula facendo saltare alcuni importanti elementi innovativi e giungendo ad un voto finale politicamente preoccupante con 44 astensioni, 274 voti contrari, 291 favorevoli, quasi cento assenti e due terzi del PPE schierati con i conservatori ed i sovranisti.

Sarebbe stato molto utile ed istruttivo, anche in vista delle elezioni europee del prossimo mese di giugno, leggere sulla stampa e sui media un’analisi delle ragioni politiche di quel voto e di quelle divisioni con un significato insieme europeo e nazionale fra cui quelle più rilevanti riguardano i partiti che sostengono il governo Meloni in Italia dove i deputati europei di Fratelli d’Italia e della Lega hanno votato contro mentre quelli di Forza Italia (con due eccezioni) hanno votato a favore e tutto il governo ha respinto a Palazzo Madama e a Montecitorio le risoluzioni delle opposizioni (LINK) in cui si chiedeva l’impegno dell’Italia per il superamento del Trattato di Lisbona e l’avvio di una fase democratica e costituente dopo le elezioni europee.

Il silenzio della stampa e dei media in tutta l’Unione europea sul voto del 22 novembre, aiutato anche dallo scarso rilievo dato dai servizi di informazione del Parlamento europeo, è stato invece assordante e ciò dovrebbe sollecitare l’attenzione dei partiti europei e nazionali che hanno sostenuto quel progetto per creare un ampio consenso nelle opinioni pubbliche indispensabile quando sarà necessario riaprire il cantiere della riforma dell’Unione europea nella prossima legislatura.

Se l’ostilità dei governi nel Consiglio europeo a prendere una decisione favorevole a modificare il Trattato di Lisbona e a convocare una convenzione con il compito di adottare per consenso una raccomandazione da inviare ad una Conferenza intergovernativa emergesse in modo inequivocabile all’inizio della prossima belga del Consiglio, il Parlamento europeo dovrebbe immaginare rapidamente di percorrere una doppia via alternativa fondata sul primato della democrazia rappresentativa e sul ruolo della democrazia partecipativa.

Nel primo caso il Parlamento europeo potrebbe seguire l’esempio delle “assise interparlamentari” che riunirono a Roma nel novembre 1990 (LINK) – su iniziativa dello stesso Parlamento europeo, della Camera dei Rappresentanti belga, della Camera e del Senato – parlamentari delle dodici assemblee legislative senza i governi e la Commissione con un risultato politico significativo alla vigilia dell’avvio delle conferenze intergovernative che condussero al Trattato di Maastricht.

In questo caso, le famiglie politiche che hanno condiviso il progetto di revisione dei trattati dovrebbero proporre alla Camera dei Rappresentanti belga di promuovere congiuntamente al Parlamento europeo la convocazione a Bruxelles nel mese di marzo di una sessione straordinaria delle assise parlamentari in cui i partecipanti siano suddivisi per gruppi e non per delegazioni nazionali e adottino a maggioranza assoluta le linee direttrici di un processo di riforma per il superamento del Trattato di Lisbona che metta al suo centro la democrazia rappresentativa a partire dal progetto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre e che sia fondata su una convenzione parlamentare costituente.

Nel secondo caso, il Parlamento europeo dovrebbe promuovere la convocazione a Strasburgo di una sessione della Conferenza sul futuro dell’Europa a cui invitare le cittadine e i cittadini, le reti della società civile, i partner sociali, il Comitato Economico e Sociale e il Comitato delle Regioni per un confronto pubblico fra le raccomandazioni (LINK) adottate dalla Conferenza e il progetto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre.

Così facendo potremmo suonare la sveglia all’Unione europea!

Pier Virgilio Dastoli

17 dicembre 2023

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