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Secondo l’articolo 8 della Carta, la protezione dei dati di carattere personale è un diritto di ogni inviduo. Volendo fissare il principio da applicare per il trattamento degli stessi, viene menzionato quello della “lealtà”. Ovviamente, ci si riferisce qui solo ad uno dei possibili criteri guida, che comunque secondo i 62 membri della Convenzione che ebbe il compito di elaborare la Carta, sintetizza bene come ci si debba comportare quando si trattino i dati di terze persone. Ve ne sono altri, trattati in altra sede: per esempio, l’articolo 5 del GDPR menziona la liceità, correttezza e trasparenza, la limitazione della finalità, la minimizzazione dei dati, l’esattezza, la limitazione della conservazione, l’integrità e riservatezza. Sono aspetti che comunque vengono ripresi dalla Carta, anche senza essere menzionati come principi. Infatti, l’articolo 8 afferma che il trattamento deve avvenire “per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge”, richiamando con tale affermazione i principi di liceità, correttezza e trasparenza. Vengono altresì richiamati “il diritto di poter accedere ai dati raccolti […] e di ottenerne la rettifica”. In effetti, scorrendo il contenuto di questo articolo, si potrà notare che in poche parole fa riferimento ad una pluralità di aspetti, in quanto diritto con varie sfaccettature. Essendo una materia delicata, il rispetto di tale diritto non si fonda sulla semplice esistenza della Carta, ma, proprio ai sensi dell’articolo 8, “è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.

Quello del trattamento dei dati personali è un tema di grande attualità oggi, in epoca di coronavirus, anche perché solleva tutta una serie di interrogativi. Per esempio: qual è il confine esistente tra il rispetto della persona e il trattamento dei suoi dati in ambito sanitario? La questione non si può risolvere con riferimento esclusivo ai diritti dell’individuo, perché il diritto alla salute è un diritto di tutti i cittadini ed è anche un dovere quello di curarsi, affinché non venga compromesso il benessere di chi si ha vicino. Al tempo stesso, è stato osservato che la questione della lotta alla pandemia può avere implicazioni anche permanenti sul già complesso settore della tutela dei dati personali. Quali effetti può avere, per esempio, il  fatto di sapere che un’Autorità centrale possiede i dati di tutti gli individui? Che cosa succederebbe se, con un’applicazione sul proprio smartphone, si potesse essere informati che c’è un soggetto infetto nelle vicinanze? Se fosse il proprio vicino di casa, quali provvedimenti prenderebbe il condominio in cui abita? Come fare per tutelare i soggetti marginali della società, che già stanno pagando un prezzo consistente per questa crisi, dal rischio di un peggioramento della propria situazione? Come si può notare, si tratta di questioni che in sé, così come anche lo stesso diritto fondamentale dell’articolo 8 della Carta, richiedono di essere affrontate nei dettagli. Si dovrebbe infatti poter conciliare la tutela dei dati personali con modalità operative che prevedono una loro conoscenza approfondita e la comunicazione dei dati sanitari a terzi, se necessario. Tuttavia, nonostante lo stesso GDPR abbia affrontato la questione affermando il principio generale secondo cui, in questi casi, i dati sanitari possano essere trattati per finalità connesse alla tutela della salute, il tema rimane vasto e complesso.

 

 

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"Le risorse per ripartire ci sono: subito progetti per il paese, anziché litigi ideologici"  è un saggio a cura di economisti del calibro di Carlo Bastasin, Lorenzo Bini Smaghi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Pier Carlo Padoan, Franco Passacantando, Gianni Toniolo. Si rivela interessante per una serie di informazioni relative alle risorse stanziate dall’Ue all’Italia e dei programmi per ripartire con dei prestiti vantaggiosi. Le conclusioni degli autori sono incoraggianti: "L’Italia può disporre di risorse adeguate ad affrontare l’emergenza, impostare il riavvio dell’attività economica e avviare gli investimenti ‘trasformativi’ necessari nel nuovo mondo post-crisi, purché abbandoni polemiche pretestuose che ci indeboliscono in Europa e impediscono di utilizzare le risorse disponibili in Italia".

Ricordiamo il duplice intervento, prima della BCE, il 19 marzo, con 750 miliardi e poi, tra l’8 e il 9 aprile, con i piani SURE, BEI e il MES. Gli impegni in acquisti di titoli di stato italiani da parte della BCE possono essere infatti qualificati, secondo il prof. Fabio Colasanti, già Direttore al Bilancio della Commissione Europea, in circa 180 miliardi di euro; “il nostro paese potrebbe far fronte a tutti i suoi bisogni già decisi o prevedibili con le risorse (trasferimenti e prestiti) messe a disposizione dalle altre istituzioni europee e in aggiunta potrebbe disporre del paracadute offerto dalla BCE che prevede interventi che vanno bel al di là del probabile indebitamento aggiuntivo”, sostiene Colasanti.

Per leggere il saggio, clicca qui.

 

 

 

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Tra le principali iniziative di questa settimana, segnaliamo la lettera aperta del Movimento Europeo ai leader europei, sottoscritta da numerose personalità, per andare oltre la paralisi istituzionale di questi ultimi mesi sul bilancio e superare la crisi Covid 19 . Ciò in vista del Consiglio del 23 aprile prossimo, nuovo momento di confronto sul bilancio: è necessario un nuovo QFP adeguato alle sfide, preferibilmente quinquennale invece che settennale. I punti principali posti all’attenzione delle rappresentanze europee sono i seguenti:

- consentire all’UE di garantire beni comuni agli Europei che non possono essere assicurati dagli Stati ognuno per conto proprio;

- aumentare le entrate con risorse fresche, indispensabili per la nuova agenda politica europea dopo il coronavirus, coerente con le priorità legate al Patto Verde Europeo, attuare politiche per l’occupazione e i diritti sociali, per la trasformazione digitale, il sistema produttivo e la crisi economica e sociale che deriverà dall’emergenza sanitaria;

- superare l’elusione fiscale delle imprese multinazionali che sottraggono centinaia di miliardi all’anno sfruttando le opportunità offerte dalla disarmonia dei regimi fiscali nazionali, insieme al recupero dei beni confiscati attraverso le leggi nazionali contro la criminalità organizzata;

- introdurre delle imposte sui profitti nel web e sulla produzione del carbonio anche attraverso un border carbon adjustment.

Sempre in questa settimana, il Movimento Europeo ha partecipato ad una iniziativa di educazione civica organizzata dallo Europe Direct di Gioiosa Ionica, in videoconferenza. Il presidente Pier Virgilio Dastoli ha infatti tenuto un intervento sul modo in cui l’Unione europea coopera anche in materia giudiziaria. Nonostante le tradizioni giuridiche differenti, preesistenti tra i ventisette Stati membri, esiste infatti il mandato d’arresto europeo quale strumento che in particolari situazioni consente di reprimere la criminalità organizzata transfrontaliera e tutelare lo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Si tratta di un tema di fondamentale per l’Europa, il cosiddetto “terzo pilastro” della costruzione europea fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, che ha ridefinito l’impostazione basata su pilastri; ciò nondimeno, rimane uno dei punti cardine su cui costruire un’Europa dei diritti.

In settimana scorsa, a cavallo delle festività pasquali, un appello del Movimento Europeo, firmato dalle rappresentanze di dodici consigli nazionali, ha trovato attenzione sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali, cioè La Stampa, il Secolo XIX, Il Piccolo e l’Unione Sarda. Si tratta di un richiamo all’unità europea per far fronte, giorno dopo giorno, all’emergenza coronavirus, che può essere l’opportunità per dimostrare l’impatto delle politiche europee, anzitutto di soccorso agli Stati membri e poi di una maggiore integrazione futura basata sui valori che fondano l’Unione e che vanno riscoperti per il futuro. Il documento è stato altresì sottoscritto da Laura Garavini, presidente dell’Intergruppo al Senato, e Brando Benifei, vicepresidente del Movimento europeo internazionale e capo delegazione PD nel Gruppo dei Socialisti e Democratici nel Parlamento europeo. 

 

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L’Europa non è in guerra, come ha detto per tre volte in un suo intervento televisivo alla “Nazione” il presidente francese Emmanuel Macron, ma le conseguenze della pandemia dopo la pandemia saranno devastanti (e lo sono in parte già adesso) non solo per i sistemi produttivi – lavoratori e imprese – ma per l’insieme delle nostre società.

E’ sufficiente pensare al vuoto che si è creato nelle nostre comunità per la strage di persone anziane e al vuoto pedagogico ed educativo che si sta creando nelle scuole di ordine e grado e nelle università laddove gli studenti non possono seguire i corsi online.

Da due mesi l’argomento principale nei dibattiti fra governi, nelle istituzioni europee e fra esperti è legato ad una domanda che potremmo sintetizzare in modo drammaticamente banale: chi (e come) pagherà il conto finanziario delle conseguenze della pandemia dopo la pandemia?

Certamente la questione di chi si farà carico del debito pubblico europeo o dell’insieme dei debiti pubblici nazionali che cresceranno inevitabilmente parallelamente alla decrescita del reddito europeo lordo è centrale per le decisioni che dovranno essere prese nelle prossime settimane sapendo che il calcolo del reddito è diverso da quello del prodotto perché ad esso bisogna aggiungere i profitti delle imprese e i salari.

Sarà centrale la questione delle entrate e delle spese del bilancio europeo sapendo che, se esso rimanesse incatenato alla percentuale scandalosamente irrisoria di poco più dell’1% del PIL europeo, il costo di quello che viene ormai chiamato lo Europeam Recovery Plan (che qualcuno chiama in modo abusivo Marshall Plan) inciderebbe drasticamente non solo su altre linee di bilancio “tradizionali” come la PAC (politica agricola comune) che copre attualmente il 38% delle spese europee e le più modeste linee di bilancio dell’Europa per cittadini che sono linfa vitale per le attività non profit e di volontariato ma anche per quell’altro piano che “fu” (?) al centro del programma della Commissione europea sotto il nome di European Green Deal  e per cui era stato preventivato un ammontare totale di mille miliardi di Euro.

Non vorremmo che la discussione su chi pagherà il conto fra gli Stati e degli Stati mettesse il silenziatore su problemi di società (delle società) di quella che Willy Brandt aveva chiamato la Europaeische Gesellschaft Politik (EGP) e cioè la politica della società che è ben più della politica sociale.

All’interno della politica della società vi è in primo luogo quella “clausola sociale orizzontale” che sopravvisse nella costituzione europea e poi nel Trattato di Lisbona al dibattito sulle questioni sociali (che qualcuno avrebbe voluto cancellare fra i temi della Convenzione sul futuro dell’Europa) e che recita testualmente

nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un alto livello di occupazione (sapendo che l’art. 3 del Trattato sull’Unione europea pone fra i suoi obiettivi “una economia sociale di mercato – ahimè – fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale”), la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta all’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana(art. 9 TFUE).

e che ha trovato una sua traduzione politica nel Pilastro Sociale adottato a Göteborg nel novembre 2017 e che attende di essere implementato giuridicamente passando dalle parole solenni ai fatti.

Vi sono poi gli articoli  24 e 25 della Carta dei diritti fondamentali (che la Convenzione aveva inizialmente dimenticato di aggiungere) dedicati ai diritti dei minori e degli anziani per non parlare di tutto l’ex-pilastro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia rimasto sostanzialmente fermo al Programma di  Stoccolma del 2010, un settore in cui è stato privilegiato un apparente diritto alla sicurezza piuttosto che la sicurezza dei diritti.

Il piano europeo per la ricostruzione, che sarà finanziariamente al centro del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (che noi chiediamo insistentemente per una periodicità quinquennale e non settennale), dovrà essere aggiuntivo e non sostitutivo delle spese attualmente previste in materia di PAC, di coesione economica, sociale e territoriale, di ricerca e sviluppo tecnologico, di fondo sociale europeo, di Europa dei e per i cittadini, di cultura e – last but not least – di azioni esterne come la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario insieme al sostegno per i paesi candidati all’adesione.

Per questa ragione noi chiediamo un ammontare complessivo quinquennale di 2000 miliardi di Euro.

Insieme e meglio al di sopra del piano europeo per la ricostruzione, la Commissione europea deve avere l’ambizione e il coraggio di elaborare, di proporre e discutere con il Parlamento europeo (che dovrebbe poi assumere la leadership costituente del suo follow up) e di fronte all’opinione pubblica un “progetto per l’Europa “ in una prospettiva di lungo periodo.

Si deve avviare un dibattito su una radicale trasformazione delle strutture economiche e sociali con elementi programmatici legati alla uguaglianza delle opportunità, alla riorganizzazione dello spazio, al ruolo delle città, alla organizzazione della mobilità, alla redistribuzione del tempo e del tempo di lavoro, alle forme della partecipazione, all’auto-organizzazione sociale e all’auto-organizzazione nell’economia e al futuro della cooperazione, alla democrazia economica, alla formazione permanente e allo sviluppo della comunicazione e dell’informazione.

In questo quadro è importante fare sempre riferimento ai diciassette Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile adottati dalle Nazioni Unite nel quadro dell’Agenda 2030 e ispirarsi a proposte come quelle contenute nel rapporto Boosting Investments in Social Infrastructure in Europe coordinato da Romano Prodi.

E’ evidente che un progetto siffatto per l’Europa pone una questione ineludibile delle conseguenze per la democrazia, per le democrazie e sulla necessità di uscire dai riti paralizzanti dei meccanismi intergovernativi con l’obiettivo di colmare il vuoto che separa i valori insiti nelle società europee e le incrostazioni esistenti nelle istituzioni.

In definitiva e molto semplicemente si tratta di cambiare le istituzioni per rendere il sistema europeo più trasparente, più democratico e più resiliente.

 

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