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Il Trattato di Lisbona prevede

  • che l’Unione si doti degli strumenti necessari per realizzare i suoi obiettivi e condurre a buon fine le sue politiche (art. 311 par. 1),
  • che il bilancio sia integralmente finanziato da risorse proprie (art. 311 par. 2),
  • e che la legge finanziaria dell’Unione (il bilancio pluriennale) sia adottato per un (economicamente e democraticamente ragionevole) periodo di cinque anni (art. 312 par. 2).

Per la programmazione finanziaria che terminerà il 31 dicembre 2020, il Consiglio decise (e il Parlamento accettò) di ridurre l’ammontare delle spese dal 2014 al 2020 rispetto a quelle dal 2007 al 2013 nonostante la crisi economica che aveva colpito asimmetricamente i paesi membri, che il bilancio continuasse ad essere finanziato largamente dai contributi nazionali sulla base di una chiave di ripartizione legata a ciascun PIL e che la programmazione delle spese fosse settennale e non quinquennale.

In questo quadro, il Consiglio aveva deciso il 2 dicembre 2013 che il tetto massimo delle spese non dovesse superare l’1.2% del PIL globale dell’UE ma i bilanci annuali non hanno mai superato l’1% lasciando disponibile un margine di manovra di sette miliardi di euro. La decisione del Consiglio fu poi adottata gradualmente dai parlamenti nazionali ed entrò in vigore il 1° ottobre 2016 con effetto retroattivo al 1° gennaio 2014.

Per quanto riguarda la prossima programmazione finanziaria la Commissione e il Parlamento europeo considerano che, per dotarsi degli strumenti necessari alla realizzazione dei suoi obiettivi e allo sviluppo delle sue politiche, l’Unione debba disporre di un bilancio pari al 2% del PIL globale dell’UE e che esso debba essere progressivamente finanziato da vere risorse proprie in parziale sostituzione dei contributi nazionali.

Se dobbiamo basarci sulle ultime risoluzioni adottate dal Parlamento europeo e sulla lettera inviata da cinque gruppi politici al Consiglio europeo, dobbiamo invece prendere atto che l’Assemblea ha rinunciato alla richiesta (economicamente e democraticamente ragionevole) di una programmazione finanziaria quinquennale (2021-2025) e non settennale (2021-2027) come pretende il Consiglio.

Nonostante questo inspiegabile cedimento alle pretese del Consiglio, la posizione assunta da cinque gruppi politici del Parlamento europeo è inequivocabile e prelude ad un rigetto del Quadro Finanziario Pluriennale da parte dell’Assemblea (art. 312 par.2) se il regolamento che ne definisce spese e entrate e che dovrà essere deciso dal Consiglio all’unanimità non rispetterà le seguenti priorità:

  • un livello di spese pari all’1.3% del PIL globale dell’UE indicato dal Parlamento europeo nelle risoluzioni del 30 maggio 2018 e del 10 ottobre 2019 che eviti tagli inaccettabili a politiche comuni di grande interesse per i cittadini come la dimensione sociale e regionale, Erasmus Plus ed Europa creativa
  • un piano di trasformazione ecologica e digitale conforme al Next Generation EU presentato dalla Commissione il 27 maggio 2020[1]
  • la modifica del sistema delle risorse proprie per introdurre le proposte di tassazioni europee indicate nella risoluzione del 15 maggio 2020 e ridurre gradualmente i contributi nazionali ed eliminare i meccanismi di correzione (rebate) concessi a Paesi Bassi, Svezia, Germania, Danimarca e Austria
  • il rispetto dello stato di diritto da parte degli Stati beneficiari delle sovvenzioni e dei prestiti europei.

Come abbiamo ricordato più sopra, le decisioni adottate dal Consiglio dovranno essere “approvate dagli Stati membri, conformemente alle loro regole costituzionali rispettive”(art. 311 par. 3) e cioè ratificate dai parlamenti nazionali.

In occasione della programmazione finanziaria 2014-2020 le ratifiche richiesero ben trentaquattro mesi e l’accordo dei parlamenti ebbe un effetto retroattivo.

È evidente che l’urgenza dell’entrata in vigore del piano di trasformazione ecologica e digitale, il finanziamento dei nuovi programmi e l’aumento del tetto delle risorse dall’1.2 al 2.0% del PIL non possono attendere un tempo così lungo.

Per questa ragione, il Movimento europeo ha deciso di chiedere la convocazione, durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione, di una conferenza interparlamentare europea – secondo il modello delle “assise sull’avvenire dell’Europa” che si svolsero a Roma a fine novembre 1990 e che facilitarono il percorso del Trattato di Maastricht – a cui partecipino delegazioni dei parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo per discutere ed adottare delle linee direttrici sulla prossima programmazione finanziaria, su piano di trasformazione dell’economia europea e su un nuovo sistema di risorse proprie.

Se la Conferenza sarà organizzata per famiglie politiche europee e non sarà divisa in delegazioni nazionali, il dibattito sarà europeo e faciliterà l’adozione a maggioranza di linee direttrici europee facendo emergere quel largo consenso che è stato espresso nella lettera di cinque gruppi politici al Consiglio europeo.

Ci attendiamo, a partire dal 1° luglio 2020, un atto di forte volontà politica europea e di rivendicazione collettiva della democrazia rappresentativa del presidente del Parlamento europeo e dei presidenti del Bundestag, dell’Assemblea nazionale francese, della Camera e del Senato in Italia, delle Cortes in Spagna, dell’Assemblea nazionale portoghese e del Parlamento sloveno.

 coccodrillo

[1] Chiarendo che le risorse legate a questo piano non saranno disponibili prima della primavera 2021.

 

 

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A TRENTA ANNI DALLE ASSISE DI ROMA
UNA SETTIMANA PARLAMENTARE DEDICATA AL BILANCIO EUROPEO

Il Trattato di Lisbona prevede

  • che l’Unione si doti degli strumenti necessari per realizzare i suoi obiettivi e condurre a buon fine le sue politiche (art. 311 par. 1),
  • che il bilancio sia integralmente finanziato da risorse proprie (art. 311 par. 2),
  • e che la legge finanziaria dell’Unione (il bilancio pluriennale) sia adottato per un (economicamente e democraticamente ragionevole) periodo di cinque anni (art. 312 par. 2).

Per la programmazione finanziaria che terminerà il 31 dicembre 2020, il Consiglio decise (e il Parlamento accettò) di ridurre l’ammontare delle spese dal 2014 al 2020 rispetto a quelle dal 2007 al 2013 nonostante la crisi economica che aveva colpito asimmetricamente i paesi membri, che il bilancio continuasse ad essere finanziato largamente dai contributi nazionali sulla base di una chiave di ripartizione legata a ciascun PIL e che la programmazione delle spese fosse settennale e non quinquennale.

In questo quadro, il Consiglio aveva deciso il 2 dicembre 2013 che il tetto massimo delle spese non dovesse superare l’1.2% del PIL globale dell’UE ma i bilanci annuali non hanno mai superato l’1% lasciando disponibile un margine di manovra di sette miliardi di euro. La decisione del Consiglio fu poi adottata gradualmente dai parlamenti nazionali ed entrò in vigore il 1° ottobre 2016 con effetto retroattivo al 1° gennaio 2014.

Per quanto riguarda la prossima programmazione finanziaria la Commissione e il Parlamento europeo considerano che, per dotarsi degli strumenti necessari alla realizzazione dei suoi obiettivi e allo sviluppo delle sue politiche, l’Unione debba disporre di un bilancio pari al 2% del PIL globale dell’UE e che esso debba essere progressivamente finanziato da vere risorse proprie in parziale sostituzione dei contributi nazionali.

Se dobbiamo basarci sulle ultime risoluzioni adottate dal Parlamento europeo e sulla lettera inviata da cinque gruppi politici al Consiglio europeo, dobbiamo invece prendere atto che l’Assemblea ha rinunciato alla richiesta (economicamente e democraticamente ragionevole) di una programmazione finanziaria quinquennale (2021-2025) e non settennale (2021-2027) come pretende il Consiglio.

Nonostante questo inspiegabile cedimento alle pretese del Consiglio, la posizione assunta da cinque gruppi politici del Parlamento europeo è inequivocabile e prelude ad un rigetto del Quadro Finanziario Pluriennale da parte dell’Assemblea (art. 312 par.2) se il regolamento che ne definisce spese e entrate e che dovrà essere deciso dal Consiglio all’unanimità non rispetterà le seguenti priorità:

  • un livello di spese pari all’1.3% del PIL globale dell’UE indicato dal Parlamento europeo nelle risoluzioni del 30 maggio 2018 e del 10 ottobre 2019 che eviti tagli inaccettabili a politiche comuni di grande interesse per i cittadini come la dimensione sociale e regionale, Erasmus Plus ed Europa creativa
  • un piano di trasformazione ecologica e digitale conforme al Next Generation EU presentato dalla Commissione il 27 maggio 2020[1]
  • la modifica del sistema delle risorse proprie per introdurre le proposte di tassazioni europee indicate nella risoluzione del 15 maggio 2020 e ridurre gradualmente i contributi nazionali ed eliminare i meccanismi di correzione (rebate) concessi a Paesi Bassi, Svezia, Germania, Danimarca e Austria
  • il rispetto dello stato di diritto da parte degli Stati beneficiari delle sovvenzioni e dei prestiti europei.

Come abbiamo ricordato più sopra, le decisioni adottate dal Consiglio dovranno essere “approvate dagli Stati membri, conformemente alle loro regole costituzionali rispettive”(art. 311 par. 3) e cioè ratificate dai parlamenti nazionali.

In occasione della programmazione finanziaria 2014-2020 le ratifiche richiesero ben trentaquattro mesi e l’accordo dei parlamenti ebbe un effetto retroattivo.

È evidente che l’urgenza dell’entrata in vigore del piano di trasformazione ecologica e digitale, il finanziamento dei nuovi programmi e l’aumento del tetto delle risorse dall’1.2 al 2.0% del PIL non possono attendere un tempo così lungo.

Per questa ragione, il Movimento europeo ha deciso di chiedere la convocazione, durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione, di una conferenza interparlamentare europea – secondo il modello delle “assise sull’avvenire dell’Europa” che si svolsero a Roma a fine novembre 1990 e che facilitarono il percorso del Trattato di Maastricht – a cui partecipino delegazioni dei parlamenti nazionali ed il Parlamento europeo per discutere ed adottare delle linee direttrici sulla prossima programmazione finanziaria, su piano di trasformazione dell’economia europea e su un nuovo sistema di risorse proprie.

Se la Conferenza sarà organizzata per famiglie politiche europee e non sarà divisa in delegazioni nazionali, il dibattito sarà europeo e faciliterà l’adozione a maggioranza di linee direttrici europee facendo emergere quel largo consenso che è stato espresso nella lettera di cinque gruppi politici al Consiglio europeo.

Ci attendiamo, a partire dal 1° luglio 2020, un atto di forte volontà politica europea e di rivendicazione collettiva della democrazia rappresentativa del presidente del Parlamento europeo e dei presidenti del Bundestag, dell’Assemblea nazionale francese, della Camera e del Senato in Italia, delle Cortes in Spagna, dell’Assemblea nazionale portoghese e del Parlamento sloveno.

 coccodrillo

[1] Chiarendo che le risorse legate a questo piano non saranno disponibili prima della primavera 2021.

 


 

Iniziative della settimana trascorsa...

Al termine di una settimana assai densa di impegni sia istituzionali che del Movimento europeo, portiamo alla vostra attenzione il fatto che ci troviamo proprio nel vivo dei negoziati per numerosi capitoli che riguardano i prossimi anni della programmazione europea. Si sono infatti svolti, in questa settimana, in particolare, sia la sessione plenaria che il Consiglio europeo dei 27, ponendo all’ordine del giorno temi come la Brexit, il recovery fund, il bilancio che dovrà essere costituito da risorse proprie e non con la esclusiva contribuzione nazionale. Pur nel quadro ancora precario, perché condizionato dai veti dei cosiddetti Paesi “frugali”, emergono alcune priorità che si ritiene costituiranno i capisaldi della programmazione 2021 – 2027, cioè transizione ecologica, investimenti in digitalizzazione, impegno per un sistema europeo più resiliente rispetto al passato; i lavori continueranno con il passaggio della presidenza semestrale di turno del Consiglio dell’Ue dalla Croazia alla Germania. Su tutti questi argomenti, è di venerdì 19 giugno, alle ore 17, lo svolgimento di un dibattito a cui ha partecipato il Presidente del Movimento europeo, Pier Virgilio Dastoli – che ha delineato nel dettaglio questo quadro – con il segretario nazionale di Più Europa, Benedetto della Vedova, Gionny D’Anna, membro della direzione dei Radicali Italiano e Diana Severati, membro dell’Asssemblea nazionale di Più Europa e coordinatrice per l’Italia centrale dell’ALDE Party.

Con riferimento alla Brexit poi, si registra, questa settimana, una nuova mancanza di accordi, proprio a pochi giorni dai quattro anni dal referendum del 23 giugno 2016. Il commissario europeo Michel Barnier ha evidenziato come ci si trovi di fronte ad un atteggiamento opportunistico del Regno Unito, nella esclusiva volontà di concentrarsi sugli aspetti economici di tale accordo e di trascurare tutto ciò che può portare ad un futuro di buon vicinato. Riteniamo che, nell’ottica di rilanciare un futuro in cui l’Unione europea riesce più di oggi ad esprimere un ruolo efficace e adeguato alle sfide e alla posta in gioco, una logica del genere ben rappresenti dove sia necessario rinforzare l’azione istituzionale e politica europea. In altre parole, l’Europa, come da molti e da lungo tempo evidenziato, non può più limitarsi ad essere un mercato, ma deve avere capacità di governo e, per farlo,è anzitutto compito dei suoi rappresentanti mettere in atto i principi posti dai trattati e però spesso dimenticati. Considerata la notevole produzione normativa europea, un campo a se stante rispetto a quello del diritto nazionale, ciò che maggiormente si avverte è la necessità di un nuovo slancio in tale direzione.

 


 

...E della nuova settimana

Abbiamo voluto dedicare alcune riflessioni a questi aspetti dei limiti attualmente esistenti nelle dinamiche europee perché ci sembra la cornice complessiva entro cui parlare dei prossimi eventi. Essi infatti vanno ad iscriversi entro la prospettiva attuale del Movimento Europeo che, come molti ricorderanno, è firmatario delle iniziative promosse dalla rete costituita da Sven Giegold, Franziska Brantner e Alexandra Geese, che stanno riscuotendo un notevole successo e sono state già discusse con il commissario Ue per l’economia, Paolo Gentiloni, e l’economista Tito Boeri, oltre a trovare una certa risonanza sulla stampa.

In questa settimana, inoltre, ci sarà spazio anche per un cauto riavvio di eventi anche in presenza. Infatti, l’associazione “Prospettiva Europea”, presieduta dall’esperto di europrogettazione Roberto Giuliani, ha organizzato un evento che vedrà la presenza del Presidente Pier Virgilio Dastoli e del giuslavorista Ciro Cafiero. Per l’occasione il responsabile di questa newsletter, Massimiliano Nespola, avrà il compito di presentare i lavori del giorno che verteranno attorno ai temi trattati nel volume “Europa 4.0 – Il futuro è già qui”, composto da una serie di saggi di esperti sul tema delle nuove frontiere europee in ambito tecnologico, industriale, di sharing economy e processi di innovazione, del mutamento delle dinamiche sociali e occupazionali.

Europa 4.0

Un ulteriore ambito di iniziative sostenute dal Movimento Europeo è quello della rete Eumans, che vede tra i suoi principali esponenti Marco Cappato e che il prossimo 25 giugno, dalle 15 alle 18, vedrà lo svolgimento del IV Meeting of the Council on Participatory democracy. Numerosi sono i punti di convergenza tra Eumans e Movimento Europeo, sui vari aspetti del futuro dell’integrazione europea e delle questioni connesse: ambiente, stato di diritto, partecipazione democratica, rispetto dei trattati, prospettiva federale, e l’elenco potrebbe continuare.

Segnaliamo altresì questi eventi meritevoli di attenzione:

 


 
Testi della settimana

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

Molto resta da migliorare nel settore dei diritti dei cittadini disabili, ai quali l’Unione riconosce e di cui rispetta “il diritto di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”. Analizzando la giursprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue, notiamo come siano numerosi gli ambiti entro cui tali su diritti possono essere chiarimenti interpretativi delle direttive europee. L’articolo 26 della Carta si connette infatti ad altri articoli: per esempio, al diritto all’integrità (art. 3), al diritto al lavoro (art. 15), al diritto alla non discriminazione (art. 21), alla sicurezza e all’assistenza sociale (art. 34), alla protezione della salute (art. 35).

Quello delle politiche sociali, inoltre, è un ambito sul quale si manifestano numerose necessità: è vero infatti che le persone disabili si vedono riconosciuti questi diritti, ma in concreto le modalità di risposta a questo tipo di esigenze variano in relazione ai modelli di welfare, che in Europa vedono l’esistenza di almeno quattro differenti approcci a seconda che l’area di riferimento sia quella mediterranea, mitteleuropea, nordica oppure orientale. Quello della tutela delle persone disabili è, indipendentemente dalle risposte fornite dal contesto di riferimento, un tema sul quale si può rilevare anche in che misura siano rispettati i principi di inclusione sociale e di non marginalizzazione: principi che contribuiscono a poter comprendere quanto all’interno di una società sia sviluppato il senso civico e anche quale sia il livello di libertà di un popolo, perché là dove la sofferenza di una persona disabile generi disagio diffuso, senso di oppressione e condizioni la vita delle persone care vuol dire che ancora non sono state sufficientemente sviluppate delle risposte istituzionali adeguate. Un aspetto particolare del problema è anche quello delle tutele assicurative con cui l’individuo può colmare alle carenze assistenziali da parte dello Stato: in un’epoca in cui le finanze pubbliche riducono il perimetro dell’assistenza a livelli essenziali delle prestazioni e continueranno anche a limitare la spesa per la previdenza, si tratta senz’altro di una soluzione da tenere in debito conto, in un quadro di adeguata informazione e trasparenza per i cittadini.

 


 

L’Europa dei diritti

L’inabilità, anche temporanea, di un lavoratore, può ingenerare delle controversie sull’intepretazione dei suoi diritti fondamentali. Questa settimana, perciò, riteniamo opportuno trattare un caso che riassume in sé alcuni aspetti trattati nella rubrica settimanale dedicata alla Carta dei diritti. Esso verte attorno alla vicenda del sig. Mohamed Daouidi, assunto dalla Bootes Plus come aiuto cuoco in un ristorante di Barcellona. Dopo un periodo di prova di trenta giorni, l’azienda aveva stipulato con il sig. Daouidi un contratto a tempo pieno della durata di nove mesi, dal 15 luglio 2014 al 16 aprile 2015. Tuttavia, il 3 ottobre 2014, il lavoratore “è scivolato sul pavimento della cucina del ristorante in cui lavorava, con conseguente lussazione del gomito sinistro, che ha dovuto essere ingessato. Lo stesso giorno il sig. Daouidi ha avviato la procedura volta ad ottenere il riconoscimento della sua invalidità temporanea. Due settimane dopo detto infortunio sul lavoro il capocuoco della cucina ha contattato il sig. Daouidi per informarsi sulle sue condizioni di salute e comunicargli la sua preoccupazione riguardo alla durata della sua situazione. Il sig. Daouidi gli ha risposto che la ripresa del lavoro non sarebbe stata immediata. Il 26 novembre 2014, benché si trovasse ancora in stato di invalidità temporanea, il sig. Daouidi ha ricevuto dalla Bootes Plus una lettera di licenziamento disciplinare del seguente tenore: «Siamo spiacenti di informarLa che abbiamo deciso di porre termine al suo rapporto di lavoro con la nostra impresa e di procedere al suo licenziamento in data odierna con effetto immediato. Tale decisione è motivata dalla considerazione che Lei non ha soddisfatto le aspettative dell’impresa né ha raggiunto il rendimento che quest’ultima considera adeguato allo svolgimento dei compiti corrispondenti al suo posto di lavoro. I fatti appena esposti sono punibili con il licenziamento, ai sensi [dello statuto dei lavoratori]». Il 23 dicembre 2014 il sig. Daouidi ha presentato dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna) un ricorso inteso a far dichiarare, in via principale, la nullità del suo licenziamento ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, della legge n. 36/2011”.

Numerosi sono stati i punti interrogativi aperti dall’istanza dell’interessato, in quanto il tribunale del lavoro di Barcellona ha rinviato la vicenda all’analisi della CGUE su ben cinque questioni interpretative concernenti i diritti del sig. Daouidi:

“«1)      Se il divieto generale di discriminazione sancito dall’articolo 21, paragrafo 1, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che il divieto e la tutela ivi contemplati si estendono alla decisione del datore di lavoro di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali.

2)      Se l’articolo 30 della [Carta] debba essere interpretato nel senso che la tutela da erogare ad un lavoratore, oggetto di un licenziamento palesemente arbitrario e privo di giustificato motivo, debba essere analoga a quella prevista dalla legislazione nazionale per ogni forma di licenziamento che violi un diritto fondamentale.

3)      Se la decisione di un datore di lavoro di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali, rientri nell’ambito di applicazione e/o di tutela di cui agli articoli 3, 15, 31, 34, paragrafo 1, e 35, paragrafo 1, della [Carta] (uno, alcuni o tutti i suddetti articoli).

4)      Qualora le prime tre questioni (o una di esse) ricevano una risposta affermativa e si ritenga che la decisione di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali, rientri nell’ambito di applicazione e/o di tutela di uno o più articoli della [Carta], se il giudice nazionale possa applicare tali disposizioni per risolvere una controversia tra privati, vuoi perché – a seconda che si tratti di un “diritto” o di un “principio” – sia loro riconosciuta efficacia orizzontale, vuoi in virtù del principio dell’“interpretazione conforme”.

5)      Per il caso in cui le questioni anteriori ricevano una risposta negativa, si formula una quinta questione: “Se la nozione di “discriminazione diretta fondata sull’handicap” come uno dei motivi di discriminazione contemplati dagli articoli 1, 2 e 3 della direttiva 2000/78 possa comprendere la decisione di un datore di lavoro di licenziare un lavoratore fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro»”.

Per conoscere i fatti nel dettaglio, il testo della sentenza è disponibile cliccando qui.

 


 

Consigli di lettura

Una comunità può dirsi tale se i diritti sanciti per i cittadini sono rispettati e possono valere nel territorio di competenza; ciò vale per il sistema europeo e, negli ultimi dieci anni, sono avvenute alcune modifiche sostanziali del quadro normativo, per migliorare il funzionamento del diritto europeo. Ecco perché questa settimana consigliamo la lettura di questo testo: “Attuare il diritto dell'Unione Europea in Italia. Un bilancio a 5 anni dall'entrata in vigore della legge n. 234 del 2012”. Ripercorre infatti alcuni passaggi significativi in merito al nuovo contesto politico – istituzionale disegnato a seguito delle riforme dei trattati, soprattutto quello di Lisbona, a cui però mancava, fino alla legge sopracitata, un seguito nel nostro ordinamento. Compito di questo testo normativo è delineare il nuovo quadro, rilanciando la centralità del ruolo del Parlamento, e non è un caso che uno dei curatori sia Enzo Moavero Milanesi, Ministro degli affari europei dal novembre 2011, nel governo tecnico Monti, al febbraio 2014. È lui stesso ad affermare nel testo che, con la legge n. 234/2012, si sono voluti realizzare dei passi in avanti in termini di maggiore possibilità di informazione per il Parlamento e di una accresciuta trasparenza dei procedimenti che coinvolgono Italia ed Europa: “Questo riassetto risulta comprovato dal riconoscimento dell’opportunità di assicurare la più ampia informazione al Parlamento. Da quella affidata al Governo, in particolare attraverso il confronto strutturato, preventivo e successivo, prima e dopo le riunioni periodiche del Consiglio UE e del Consiglio Europeo; fino a quella che discende dall’obbligo di inviare direttamente al Parlamento ogni atto europeo, anche se di natura meramente preparatoria o interlocutoria.

Al riguardo, la legge n. 234 è estremamente aperta. Prevede unicamente la possibilità per il Governo di limitare la diffusione di alcuni tipi di informazioni, specie quelle che riguardano procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso (art. 14, comma 5). Da un siffatto impianto, discende un forte aumento della trasparenza sui procedimenti UE e della qualità di informazione a disposizione attraverso la presa di conoscenza della medesima da parte del Parlamento.

Un’impostazione che, a ben vedere, estende il perimetro delle informazioni trasmesse addirittura al di fuori del classico raccordo tra livello nazionale e istituzioni dell’Unione Europea. Si riconosce, infatti, la necessità di una costante informazione al Parlamento anche in relazione ad accordi chiamati ‘intergovernativi’, perché conclusi fra Stati membri dell’Unione (art. 4, comma 4, lettera c) al di fuori del quadro istituzionale UE, in senso stretto”.

 


 

 Agenda della settimana

 22-28 June 2020

 

Monday 22 June

Tuesday 23 June

Wednesday 24 June

Thursday 25 June

Friday 26 June

 

 

 

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15-21 June 2020

 Monday 15 June

Tuesday 16 June

Wednesday 17 June

Thursday 18 June

Friday 19 June

 

 

 

 

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Questa settimana proponiamo alla vostra attenzione il testo “Il referendum Brexit e le sue ricadute costituzionali”, del 2017, a cura del Prof. Claudio Martinelli, docente associato di Diritto pubblico comparato presso l’Università Milano Bicocca.  È lui stesso in un’intervista realizzata per l’occasione a parlarci di come è stato concepito. Proponiamo qui una sintesi di quanto detto con il docente che, ricordiamo, scrive su “Il Sole 24 Ore” e rimanda per ulteriori approfondimenti sul tema anche ai suoi saggi gratuitamente reperibili su “Osservatorio Costituzionale”:

“L’idea del libro nasce immediatamente dopo il referendum. All’inizio di luglio, ho organizzato un seminario con alcuni colleghi, presso il mio Ateneo, per commentare quanto accaduto; da lì è nato il progetto, ho coagulato intorno a me un gruppo di autori già esperti sul Regno Unito. Non potevamo prevedere il futuro ma abbiamo fissato una serie di tematiche interessanti, per capire sia i presupposti storico – giuridici del referendum, sia il referendum stesso, sia le prospettive future, con particolare attenzione sia alla forma di Stato, sia alla garanzia dei diritti individuali. Il mio saggio è trasversale, affronta quindi tutte le tematiche poi trattate singolarmente dai vari autori”.

Quali sono state le ricadute costituzionali della Brexit?

“Nel Regno Unito non ci possono essere riforme costituzionali come le intendiamo noi, perché è un altro ordinamento. Ciò non toglie che ci siano state notevolissime conseguenze costituzionali, per esempio con riferimento alle sentenze della Corte suprema. Ce ne sono due in particolare: la sentenza Miller, del 24 gennaio 2017 e la sentenza Cherry / Miller no. 2, del 24 settembre 2019, al cui interno la Corte scrive praticamente due trattati di diritto costituzionale britannico; sono quindi sentenze estremamente importanti. In questi quattro anni, poi sono successe talmente tante cose, sia a livello costituzionale, che di rapporti con l’Ue, che si può dire che la vicenda ha monopolizzato tutto il dibattito pubblico britannico e ha avuto così tante conseguenze profondissime come forse mai era accaduto dal dopoguerra ad oggi ad un’unica vicenda”.

Per esempio?

“Si tratta di conseguenze sulla intepretazione della Costituzione britannica; per esempio, quando si trattava di attivare l’articolo 50 del TUE, sul recesso dall’Ue, per applicare il risultato del referendum, il Governo pensava di emenare un suo atto, senza passare per il Parlamento. Nel frattempo, tuttavia, erano state attivate delle cause presso le Corti britanniche, poi sfociate nella sentenza della Corte suprema che ha sancito che il Governo, per attivare l’articolo 50, aveva bisogno di un’autorizzazione derivante da una legge del Parlamento. Secondo la Corte, questa vicenda non era meramente di relazioni internazionali, perché l’atto con cui il Regno Unito era entrato nel 1972 nelle Comunità europee comportava la nascita di alcuni diritti in capo ai cittadini. Siccome rappresentante dei cittadini è il Parlamento, è con una sua legge che deve autorizzare il Governo a portare all’uscita dello Uk dall’Ue. Questa sentenza è stata sancita con 8 voti a favore e 3 contrari; vi è stata la dissenting opinion di Lord Reed, che mi trova d’accordo, secondo cui non sarebbe l’attivazione dell’articolo 50 a porre una minaccia per i diritti dei cittadini inglesi, ma caso mai saranno i negoziati per la Brexit a farlo; a suo parere, l’attivazione dell’art. 50 poteva essere fatta dal Governo”.

Cosa rimane oggi di quel negoziato?

“Il negoziato è durato dal febbraio 2017 al gennaio 2020, con il Brexit Day. In realtà si era chiuso già a ottobre, con il withdrawal agreement, ed è stato durissimo, ma si è chiuso. Adesso sono ricominciati i negoziati per gli accordi di buon vicinato; ci sono dei punti molto discussi ma ormai si tratta di capire quali saranno i termini. Si avrà un transition period fino al 31 dicembre 2020 e ci potrà essere una proroga fino al 1° luglio 2021. Ci sono numerosi punti controversi, perché ciascuna delle parti vuole minimizzare gli svantaggi di questo divorzio. Dal mio punto di vista, la vicenda ha messo a dura prova la tenuta della British Constitution e delle procedure parlamentari – si può notare per esempio quanto sia emersa la figura dello speaker della Camera dei Comuni John Bercow – questo perché la Brexit ha avuto un impatto molto forte sui lavori parlamentari. Si pensi ai rapporti tra Parlamento e Governo, per esempio nel settembre 2019, quando si ebbe la prorogation di Johnson per evitare che il Parlamento legiferasse sul fatto che lui dovesse essere costretto a chiudere un accordo con l’Ue e a evitare il cosiddetto no deal”.

La Brexit, un primo caso nella storia dell’Ue di fuoriuscita di uno Stato membro, non sarebbe stata possibile senza l’art. 50, introdotto con il Trattato di Lisbona …

“Il problema dell’art. 50 è che era stato inserito per premunirsi nei confronti di alcuni Stati membri dell’Est, per poterne consentire la fuoriuscita laddove non tenessero il passo. Non si sarebbe mai immaginato, apparentemente, che invece venisse utilizzato da uno dei Paesi più grandi dell’Ue. Però è anche da considerare che il Regno Unito è sempre stato con un piede dentro ed uno fuori dall’Unione”.

 

 

 

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Con riferimento allo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, portiamo alla vostra attenzione il caso che ha visto l’interazione tra la magistratura nazionale di uno Stato membro e quella della Corte di Giustizia Europea, per fornire dei chiarimenti interpretativi sulla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri e sull’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali, in cui si afferma che “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza”. Il protagonista della vicenda “è un cittadino britannico residente in Spagna, sospettato di aver partecipato, quale membro di spicco di un’organizzazione criminale, all’importazione, alla distribuzione e alla vendita di droghe pesanti, in particolare di 300 kg di cocaina. Per un simile reato, la pena massima prevista dal diritto del Regno Unito è l’ergastolo”. L’arresto è avvenuto nei Paesi Bassi il 4 aprile 2018. A seguito di ciò, l’interessato “ha chiesto la sospensione della sua custodia con decorrenza dal 4 luglio 2018, data in cui sarebbero trascorsi 90 giorni dal suo arresto”. Tale istanza ha fatto sorgere alcuni dubbi interpretativi per il giudice del rinvio, relativi alla concedibilità o meno di tale sospensione. Si sono infatti verificati altri casi, come quello della sentenza del 16 luglio 2015, Lanigan, richiamata come precedente, secondo cui vi sono “obblighi che incombono, in forza di disposizioni del diritto primario dell’Unione, sul giudice investito di una domanda di esecuzione di un mandato d’arresto europeo, tra cui in particolare l’obbligo, quale giudice di ultima istanza in questo tipo di cause, di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, qualora la risposta a tale domanda sia necessaria per emettere la sua decisione, e di sospendere il procedimento per quanto riguarda la consegna se esiste un rischio concreto di trattamento inumano o degradante nei confronti del ricercato nello Stato membro emittente, ai sensi della sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldărar”. E inoltre: il mantenimento della custodia a fini di consegna in un caso del genere è contrario all’articolo 6 della Carta, in particolare al principio della certezza del diritto? Nel testo della sentenza si può notare come questi dubbi abbiano portato a valutazioni differenti del giudice del rinvio del Tribunale di Amsterdam e della Corte d’appello di Amsterdam, per la cui risoluzione il primo ha invocato la CGUE, in particolare ponendo due quesiti relativi all’interpretazione rispettivamente dell’articolo 17 della decisione quadro 2002/584 e dell’articolo 6 della Carta dei diritti fondamentali. Entrambi i quesiti vertevano su aspetti differenti della sospensione, dopo 90 giorni, della pena detentiva per il soggetto arrestato di cui si è detto. La Corte di Giustizia dell’Ue ha fornito i chiarimenti richiesti con sentenza del 12 febbraio 2019, reperibile cliccando qui.

 

 

 

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