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The Week Ahead 01 – 07 June 2020

European Parliament

Committee meetings - Brussels

COVID-19/Schengen internal checks. A resolution on the situation of the Schengen area following the COVID-19 outbreak will be voted on by the Civil Liberties Committee. During a debate held on 12 May, MEPs emphasised that the temporary checks on Schengen borders need to be lifted in a coordinated manner as soon as conditions allow (Thursday).

New EU long-term budget/Agriculture. The Agriculture Committee will debate the revised MFF proposal and its impact on EU farm policy funding with Budget Commissioner Johannes Hahn. MEPs have repeatedly insisted that only adequately-funded EU farm policy can deliver food security and at the same time take on board the EU Green Deal (Tuesday).

COVID-19/Digital surveillance. The use of digital surveillance in the context of the COVID-19 pandemic and its implications for human rights will be debated by the Human Rights Subcommittee (Friday).

Roma Integration Strategies. The implementation of National Roma Integration Strategies will be debated by the Civil Liberties Committee with Equality Commissioner Helena Dalli and EU Agency for Fundamental Rights (FRA) Executive Director Michael O'Flaherty. These strategies aim at combating negative attitudes towards people of Romani background in Europe and facilitate their integration (Thursday).

President’s diary. EP President David Sassoli will meet, via videoconference, Parliament’s Contact Group on the MFF to discuss the upcoming talks on the new long-term budget, on Tuesday. The President will have a bilateral meeting, also via videoconference, with the Italian Prime Minister Giuseppe Conte as well as a phone call with the Speaker of Ukraine’s Parliament (Verkhovna Rada) Dmytro Razumkov, on Wednesday. On Thursday, President Sassoli will deliver a speech on NEF Online, the online debate platform of the Nueva Economía Forum.

 

European Council

2 June 2020
   • Video conference of sport ministers

4 June 2020
   • Video conference of ministers of justice
   • Video conference of transport ministers

5 June 2020
   • Video conference of home affairs ministers
   • Video conference of ministers responsible for telecommunications

 

 

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Tra gli appassionati, sarà capitato a molti di chiedersi quale sia il rapporto tra gli studi sociali e l’Unione europea e di soffermarsi sulla Sociologia dell’Europa. Ecco perché questa settimana vi proponiamo la lettura di un testo che testimonia la natura complessa, molteplice di tale rapporto. Si intitola “Sociologie per l’Europa” ed è una raccolta di saggi focalizzati ciascuno su un pensatore tra coloro che si possono annoverare tra i decani del pensiero sociologico: si tratta infatti di Ulrich Beck, scomparso nel 2015, di Gerard Delanty, Anthony Giddens, Jürgen Habermas.

Il volume, edito nel 2011, è a cura del prof. Massimo Pendenza, docente ordinario di Sociologia presso l’Università di Salerno, che chiarisce da subito il fatto che l’approccio sia stato volutamente di analisi sociale e, più in particolare, vicino alla teoria sociologica e non piuttosto focalizzato sulle istituzioni europee. Proprio per questo motivo, riteniamo possa rappresentare un punto di riferimento per studiosi che concentrino le proprie ricerche e i propri interessi professionali sulla società europea nel suo insieme.

 

 

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Vediamo un esempio concreto di applicazione del principio secondo cui, ai sensi dell’articolo 34 della Carta, il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale è riconosciuto “secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”. A tal proposito, in una sentenza della Corte di Giustizia europea del 5 marzo scorso, sono stati forniti alcuni chiarimenti in merito all’articolo 3 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, poi modificato dal regolamento n. 465/2012.

Il caso riguardava una cittadina austriaca nata nel 1965 che, “dopo aver vissuto e lavorato in Austria, nel 1990, ha trasferito la propria residenza in Germania, dove vive da allora e dove ha svolto un’attività lavorativa fino al 2013. In Austria e in Germania ha acquisito rispettivamente 59 mesi e 235 mesi di assicurazione”. Il 18 giugno 2015, mentre in Austria non era più soggetta all’assicurazione sociale obbligatoria, essendosi trasferita in Germania, l’interessata presentava all’Istituto previdenziale austriaco “una domanda di pensione di invalidità o, in subordine, di misure di riabilitazione medica e di un’indennità di riabilitazione o, in ulteriore subordine, di misure di riqualificazione professionale. L’istituto pensionistico respingeva la domanda con l’argomento che la resistente nel procedimento principale non si sarebbe trovata in una situazione di invalidità e che, in ogni caso, non sarebbe stata affiliata al sistema obbligatorio di sicurezza sociale austriaco né avrebbe dimostrato una relazione sufficientemente stretta con tale sistema”.

A seguito di ciò, la cittadina austriaca presentava ricorso al Tribunale del Land di Salisburgo, quale giudice del lavoro e della previdenza sociale austriaca. “Con sentenza del 29 settembre 2017, tale giudice accertava l’esistenza di un’invalidità temporanea della resistente nel procedimento principale per un periodo prevedibilmente di almeno sei mesi, a partire dal 18 giugno 2015, e considerava che quest’ultima dovesse beneficiare, da parte della sicurezza sociale austriaca, di misure di riabilitazione medica e di un’indennità di riabilitazione per la durata della sua invalidità temporanea. Il medesimo giudice respingeva invece il ricorso per quanto riguarda la domanda di concessione di una pensione di invalidità e di misure di riqualificazione professionale”. A sua volta, l’istituto pensionistico austriaco ha presentato ricorso avverso tale decisione - vedendola dapprima respinta dal Tribunale superiore del Land di Linz, in qualità di giudice d’appello in materia di diritto del lavoro e di previdenza sociale austriaca  - e, successivamente, ha presentato un ricorso per cassazione alla Corte Suprema. Quest’ultima, “ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)   Se, ai sensi del regolamento [n. 883/2004], l’indennità di riabilitazione austriaca debba essere qualificata:

–  prestazione di malattia ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento; oppure

–  prestazione di invalidità ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), del regolamento; oppure

–  prestazione di disoccupazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera h), del regolamento.

2)   Se, alla luce del diritto dell’Unione, il regolamento [n. 883/2004] debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro, quale precedente Stato di residenza e di lavoro, sia tenuto a corrispondere prestazioni come l’indennità di riabilitazione austriaca a un soggetto residente in un altro Stato membro, nel caso in cui tale soggetto abbia maturato la maggior parte dei periodi contributivi ai fini dell’assicurazione sanitaria e pensionistica come lavoratore subordinato in quest’altro Stato membro (dopo avervi trasferito, anni prima, la propria residenza) e da allora non abbia percepito alcuna prestazione in base all’assicurazione sanitaria o pensionistica del precedente Stato di residenza e di lavoro»”.

Nella sentenza, la CGUE ha fornito chiarimenti sul regolamento n. 883/2004, secondo cui:

1)   Una prestazione come l’indennità di riabilitazione di cui trattasi nel procedimento principale costituisce una prestazione di malattia;

2)   Il regolamento n. 883/2004, non osta ad una situazione in cui a una persona che non è più affiliata alla sicurezza sociale del suo Stato membro di origine dopo avervi cessato l’esercizio dell’attività lavorativa e aver trasferito la propria residenza in un altro Stato membro, dove ha lavorato e acquisito la maggior parte dei suoi periodi assicurativi, venga negato dall’ente competente del suo Stato membro di origine il beneficio di una prestazione come l’indennità di riabilitazione di cui trattasi nel procedimento principale, dato che a tale persona si applica non la legislazione di detto Stato di origine, bensì quella dello Stato membro di residenza.

Per leggere il testo completo della sentenza, clicca qui.

 

 

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La sicurezza e l’assistenza sociale sono trattati dalla Carta all’articolo 34, che ne delinea nei suoi tre commi alcuni aspetti. In primo luogo, si ha il riconoscimento del “diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali”. Bisogna ricordare che quello che oggi è riconosciuto come diritto è sia una conquista che una responsabilità della società nel suo insieme di fronte ad eventi nei quali l’individuo deve poter essere tutelato. Vengono quindi riportati questi eventi: la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, la perdita del posto di lavoro. Sempre ai sensi di questo primo comma, le tutele previste si applicano “secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”. C’è da dire che la tenuta di questo modello sociale è onerosa e nel corso degli ultimi decenni, per esempio nel settore della previdenza e quindi di tutto ciò che riguarda l’anzianità, si è assistito ad una riduzione dell’intervento pubblico e che il fattore demografico e quello occupazionale hanno portato, in concreto, a rivedere per esempio i parametri per poter accedere alla pensione. Ciò lascia intuire come, se è vero che si tratti sia di conquiste che di responsabilità sociali, al tempo stesso queste tutele possono trovare applicazione all’interno di un determinato contesto e possono mutare nel tempo, in parallelo al mutamento socio - economico.

Il secondo comma parla del diritto di “ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione europea” a poter usufruire di  tali prestazioni. Quindi, si estende ad una sfera più ampia rispetto a quella dei cittadini europei, perché include coloro che si spostino legalmente all’interno dell’Ue. Anche in questo caso, la norma si applica “conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. Pensiamo alla portata di questo diritto nell’ambito delle tutele sanitarie: il riconoscimento operato dalla Carta, a confronto con altri sistemi, è decisamente ampio, se si pensa che esistono Stati in cui l’automaticità di tali prestazioni non è riconosciuta nemmeno ai cittadini degli stessi, ma occorre far affidamento su soluzioni di tipo assicurativo gestite da privati.

Infine, nel terzo comma l’Unione, nell’attuare la lotta contro l’esclusione sociale e la povertà, afferma di riconoscere e rispettare “il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”. Anche in questo caso, l’impegno istituzionale assunto è consistente e non si rivolge soltanto ai cittadini europei.

 

 

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